mercoledì 17 settembre 2008

A Milano sulla tracce di Bukowski (di Ippolito Edmondo Ferrario)

Articolo di Ippolito Edmondo Ferrario
Dal Secolo d'Italia di martedì 16 settembre 2008
Non sempre gli addii al celibato finiscono nel modo giusto, specialmente quando scorrono fiumi e fiumi di alcool. A Carlo Boschi, tranquillo trentenne milanese e impiegato di banca modello, un bicchiere di troppo cambierà decisamente la vita. Questo è l’antefatto del nuovo e originale romanzo Taccuino di una sbronza (edizioni Kowalski, pp. 192, euro 11), ultima opera del giallista milanese Paolo Roversi, classe 1975, già creatore del giornalista hacker Enrico Radeschi, protagonista dei suoi precedenti noir tutti editi per Mursia editore. Ma seguiamo la nuova vicenda. Le nozze con Sara sono fissate per il 12 marzo 1994. Dieci giorni prima della cerimonia, Romeo, il miglior amico di Boschi, decide di fargli vivere un addio al celibato diverso e memorabile: tre giorni etilici a Dublino. E qui, in seguito a una sbronza colossale, il promesso sposo cade in coma etilico.
Quando si risveglia il protagonista della storia non è più lo stesso: è convinto di essere la reincarnazione del suo scrittore preferito, Charles Bukowski – il vecchio “Hank” – morto proprio quella notte. Possibile? Da quel momento in avanti, la sua vita cambierà radicalmente e della sua identità precedente non ricorderà più nulla. Rinuncia a sposarsi, abbandona il lavoro e, in perfetto stile bukowskiano, inizia a rimorchiare donne nei bar, vive di espedienti e di lavori saltuari, si ubriaca ogni notte, si fa assumere come postino, tiene sgangherati reading di poesia, scrive racconti a notte fonda con l’illusione di pubblicarli un giorno, fa a pugni nei vicoli. Roversi dunque rispolvera con grande ironia il tema della ribellione alla tranquilla vita borghese inserendolo nel contesto della grande “Milano da bere”. Ed è lo stesso autore a confermare che il protagonista Giacomo Boschi nasce dalla semplice osservazione di una certa generazione di trentenni “rampanti” e modaioli: «Carlo Boschi è un mio coetaneo: questo è tutto ciò che abbiamo in comune. Almeno all’inizio del romanzo, piano piano, infatti, la sua personalità si evolve e nel finale direi che i punti in comune fra me e il mio personaggio sono molti. Per immaginarlo mi sono ispirato a due persone ben diverse: il Carlo pre-sbronza è un bocconiano doc, impiegato di banca e qui a Milano esempi di persone di questo tipo ce ne sono fin che si vuole quindi nessuna fatica a trovare l’ispirazione. La seconda persona, quella di cui Carlo assume l’identità, è proprio lo scrittore americano Charles Bukowski che ha vissuto una vita davvero da romanzo».
Non è comunque la prima volta che Roversi fa riferimento al celebre e trasgressivo scrittore americano; risale infatti a tre anni fa la biografia scritta insieme a Fernanda Pivano dal titolo Bukowski scrivo racconti, poi ci metto il sesso per vendere (edito da Stampa Alternativa, pp. 120, euro 10), un autentico viaggio nel mondo di Bukowski che spazia dalla poesia all’alcool, dalla religione al cinema, dal teatro alla musica, dalle corse dei cavalli ai reading letterari da ubriachi. D’altronde, a Charles Bukowski, pur senza scimmiottarlo mai nello stile di vita e nella scrittura, Roversi deve davvero molto: «Di ogni maestro bisogna recepire la lezione, farla propria ma necessariamente rielaborarla. Io non scrivo certo come Bukowski, non tratto gli argomenti a lui così cari (donne, alcol e corse di cavalli) – e mi riferisco chiaramente ai gialli – ma ho cercato di fare tesoro di quello che poteva darmi come scrittore. La cosa più importante: la costanza. Non scoraggiarsi dopo i primi rifiuti, tenere duro nonostante spesso la vita si metta di traverso. Lui è diventato uno scrittore affermato a cinquantanni suonati. Diciamo che è anche il mio obiettivo: ho ancora diciassette anni di buono... Scherzi a parte, ritengo, stilisticamente parlando, di aver assorbito da lui il gusto per i dialoghi e le frasi brevi, essenziali». E a far da sfondo alla storia c’è naturalmente Milano in un arco di tempo piuttosto vasto, ricco di avvenimenti che Roversi ha saputo raccontare con grande spirito e acume: «La Milano di Boschi è una metropoli in continua evoluzione: il libro si apre infatti nel 1994 e si chiude nel 2008. Si raccontano gli anni di Tangentopoli e quelli delle metropolitane dove si può finalmente parlare col telefonino. Quindi è una Milano varia che ho conosciuto e vissuto personalmente. Descrivo molti luoghi riconoscibili, che sono rimasti immutati negli anni, come la biblioteca Sormani, ad esempio, o il Rolling Stone al fianco di altri che sono profondamente mutati. Credo che nel romanzo Milano la si respiri: berla, nonostante il tema del libro e la battuta facile, non si può più da parecchi anni purtroppo».
Sempre per gli amanti del genere bukowskiano non possiamo dimenticare il precedente costituito dal bel romanzo del milanese Gino Armuzzi intitolato Sognavo di essere Bukowski (Sperling e Kupfer, pp. 200, euro 14) di cui Giacomo Boschi è senza dubbio “figlio”. Nel libro di Armuzzi – uscito quattro anni fa – si raccontava la Milano degli anni Ottanta vissuta da un personaggio d’eccezione, il Guzzi, sempre un bocconiano doc che in seguito a una sorta di crisi ideologico-esistenziale passa dallo status di figlio di papà a studente fuori corso, da studente fuori corso a irregolare esistenziale, e poi più giù ancora, fino a vero border line, il tutto tra colonne sonore di prima e anche di seconda scelta, derive esistenziali, feste a imbuco e concerti. Erano gli anni Ottanta e tra Sex Pistols e Duran Duran, punk e neo-edonisti, ermerge il protagonista di una storia che «voleva vivere come Miller, morire come Mishima e sognava di essere Bukowski». Un giorno c’è la scoperta di Bukowski e da allora cambia tutto: «Cominciai ad alternare la giacca e cravatta ad abiti più informali. Alle Timberland e alle Church sostituii prima le più alternative Clark, poi le truvide Doc Martens...». E agli amici che lo sfottevano – «Che ti succede, Guzzi, non è che diventi comunista?» – lui rispondeva rassicurando: «Chi, io? Ma sei scemo? Piuttosto milanista che comunista». E poi tornava in libreria a cercare i libri di Bukowski e degli altri maledetti. E l’elenco è davvero significativo della trasformazione della sensibilità culturale che irruppe proprio negli anni Ottanta: «C’erano gli alcolizzati come Kerouac, gli alcolizzati ed erotomani come Bukowski, i suicidi come Hemingway... gli oppiomani come Quincey e Baudelaire, i nazisti come Evola e Céline, i nazisti e suicidi come Mishima, quelli come la Rochelle... i pazzi e sifilitici come Nietzsche». Forse è anche per questo che Paolo Roversi può tornare sullo stesso cliché e rilanciare l’efficacia di Charles Bukowski come modello esistenziale e letterario.
Ippolito Edmondo Ferrario, classe 1976, vive e sopravvive a Milano, dove si diletta a fare il mercante d'arte. Giornalista e scrittore, ha pubblicato numerosi libri dedicati a Triora, il famoso paese delle streghe, di cui è cittadino onorario, i noir Il pietrificatore di Triora col quale ha dato vita al detective Leonardo Fiorentini, suo alter ego, e Il collezionista di Apricale... e le stelle grondano sangue (rispettivamente Fratelli Frilli Editori, 2006 e 2007). Di recente uscita, per Mursia, Milano sotterranea e segreta con Gianluca Padovan.

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