Dal Secolo d'Italia di mercoledì 8 ottobre 2008
E così ieri ci ha lasciato anche lui, l’ingegner Renzo Lodoli, lo scrittore, il reduce della guerra di Spagna, il giornalista che ha sempre guardato coraggiosamente oltre le lacerazioni della prima metà del Novecento. Negli ultimi anni aveva anche perso la vista, ma rispondeva sempre cortese a chiunque gli telefonava. Del resto era stato lui, negli anni ’60, a raccontare la fine del suo mondo di prima: «In Italia la guerra era finita da una dozzina di giorni... Ed ero in galera, per mia fortuna con moltissimi altri. Ma il 7 maggio 1945 la voce di uno sconosciuto ufficiale italiano si levò da Radio Creta, trascorse il mare, raggiunse il continente insanguinato... “Sono le parole di un mondo che se ne va. Abbiamo combattuto talvolta credendo e più spesso solo sperando, abbiamo pagato con lanostra giovinezza gli errori che altri compirono. Non rimpiangiamo nulla, saremmo pronti a ricominciare. Ascoltateci ancora una volta, ascoltateci per l’ultima volta, amici e nemici di ieri. Che Dio ci aiuti e vi aiuti a non dimenticare... ”». E Lodoli ricordava come lui e gli altri si misero a cantare, gli inni di un’Italia che era finita: «Eravamo retorici e ridicoli, eravamo miserabili, affamati, straccioni. Ed eravamo meravigliosi».
Nato nel 1913 a Venezia, nel 1946 fu tra i fondatori del Msi e successivamente alternò la sua professione con la scrittura, passione che trasmetterà anche al figlio Marco, narratore e giornalista a sua volta. Dalla parte sbagliata intitolò una sua nota raccolta di racconti. Un’espressione che passerà nell’immaginario per indicare la scelta che il “ragazzo” Renzo aveva fatto come tanti giovani della sua e delle generazioni immediatamente successive, in totale e disinteressata buona fede. La stessa espressione tornerà in una canzone di Francesco De Gregori: «Qui si fa l’italia e si muore / dalla parte sbagliata / in una grande giornata si muore / in una bella giornata di sole / dalla parte sbagliata si muore». È giusto dedicarla anche a Renzo Lodoli.
3 commenti:
http://anpi-lissone.over-blog.com/article-11803768.html
Voglio spiegare il link di cui sopra.
Non c'è stato, storicamente, ventennio della storia della nostra penisola più produttivo di morti, dispersi, feriti, perseguitati, caduti in miseria del ventennio fascista.
Ma la tragedia peggiore è la sottovalutazione, il minimizzare, se non il nascondere i numeri della catastrofe fascista.
Nuto Revelli, ufficiale sopravvissuto alla campagna di Russia, passò il resto della sua vita, a cercare di riscattarsi, avendo capito quanto fosse sbagliata la parte per cui aveva combattuto.
Non aspettò che fosse il figlio Marco (ironia della sorte, stresso nome del figlio di Lodoli) a fare i conti con la storia del padre, e con la storia di questo disgraziatissimo Paese.
Un vecchio fascista di meno: le prese a Guadalajara dai 'Garibaldini' della 12a Internazionale e non gli andò mai giù.
Marcisca all'inferno (esistesse...) con quel boia di Franco !
Posta un commento