sabato 25 ottobre 2008

Houellebecq: che stupidità in quegli anni... (di Luciano Lanna)

Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di venerdì 24 ottobre 2008
Intervistato da Vittorio Zincone per il Corriere della Sera-Magazine, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, riformista da sempre e già socialista lombardiano, ha sentenziato senza mezzi termini che il male oscuro della società italiana starebbe tutto nel “sessantottismo”.
E al giornalista che gli ribatteva sul fatto che il ’68 è stato però la grande spinta verso «l’evoluzione dei costumi e i diritti», Sacconi replicava: «Io parlo di sessantottismo». È una distinzione sottile ma fondamentale che, da tempo, viene sottolineata anche dallo scrittore francese Michel Houellebecq: «Io sono – ha detto – troppo contro il sessantottismo per piacere a sinistra ma, allo stesso tempo, troppo legato al tema dell’eros per piacere ai conservatori». Ecco, mentre in Francia fa molto discutere l’epistolario tra lui e il filosofo Bernard- Henri Levy – Nemici pubblici edito da Flammarion e Grasset – in Italia è arrivato nelle librerie La ricerca della felicità (Bompiani, pp. 363, euro 18,00), prima raccolta di saggi dello scrittore pubblicata nel nostro paese a eccezione del suo studio su Lovercraft – Contro il mondo, contro la vita (Bompiani) – uscito nel 2001.
Sullo sfondo di questi «saggi dissimulati » – così come li definisce Simone Barillari nella postfazione – c’è, per tornare alla sollecitazione iniziale, un attacco spietato al progressismo a buon mercato e alle conseguenze esistenziali e sulla vita di relazione del sessantottismo come ideologia del ”tutto è facile”, ”tutto e subito”: «Il capitalismo liberale – scriveva già nel suo saggio su Howard Philip Lovecraft – ha allargato la propria presa sulle coscienze; di pario passo sono andati affermandosi il mercantilismo, la pubblicità, il culto cieco e grottesco dell’efficienza economica, l’appetito esclusivo e immorale per lòe ricchezze materiali. Peggio ancora, il liberalismo è passato dal campo economico al campo ses suale. Tutte le convenzioni sentimentali sono andate in pezzi. La purezza, la castità, la fedeltà, la decenza sono diventatri marchi infamanti e ridicoli. Oggigiorno il valore di un essere umano si misura tramite la sua utilità economica e il suo potenziale erotico ». Le conseguenze di una “modernizzazione senz’anima” sono chiare a Houellebecq: «Il fatto che esista soltanto il rapporto individuale fa sì che il fallimento delle coppie diventi un evento ancora più drammatico perché la coppia rappresenta l’ultimo nucleo comunitario che separa l’individuo dal puro mercato».
E non sono pochi in questo La ricerca della felicità gli attacchi alla cultura “politicamente corretta” specifica del sinistrese postsessantotto, come nel capitolo “Jacques Prévert è un coglione”, in cui Houellebecq ridicolizza il facile «ottimismo» della generazione degli anni Settanta: «All’epoca si ascoltavano Vian, Brassens... Innamorati che si sbaciucchiano sulle panchine, baby-boom, costruzione massiccia di case popolari per alloggiare tutta quella gente. Molto ottimismo, molta fiducia nel futuro e un po’ di stupidità...».
Lo scrittore francese, autore di autentici best seller come Estensione del dominio della lotta, Le particelle elementari, Piattaforma nel centro del mondo, La possibilità di un’isola (tutti tradotti e pubbblicati in Italia da Bompiani) arriva in quest’ultima opera saggistica a chiarire fino in fondo il suo pensiero. Quel ragionare fuori degli schemi che negli anni lo ha fatto collocare sulla scia della le tutzione di Louis-Ferdinand Céline. E, non casualmente, di Houllebecq aveva scritto il narratore italiano Alessandro Baricco: «Da lui ho imparato cosa vuol dire essere di destra oggi». D’altronde in quest’ultimo libro leggiamo a chiare lettere: «L’errore del marxismo è stato quello di immaginare che bastasse cambiare le strutture economiche, che il resto sarebbe seguito. Ma il resto, come si è visto, non è seguito, Se, per esempio, i giovani russi si sono adattati così rapidamente all’atmosfera ripugnante di un capitalismo mafioso, è perché il regime precedente si era dimostrato di promuovere l’altruismo».
Efficace il suo ricordo personale del ’68, nel capitolo “La poesia del movimento arrestato”: «Nel maggio del 1968 – annota – avevo dieci anni. Giocavo con le biglie, leggevo Pif le Chien, era una bella vita. Degli “avvenimenti del ’68 serbo solo un ricordo, ma abbastanza vivo. All’epoca mio cugino Jean-Pierre faceva la prima liceo a Le Raincy. Il liceo mi appariva allora come un posto vasto e spaventoso in cui dei ragazzi più grandi studiavano con accanimento materie difficili. Un venerdì, non so perché, mi recai con mia zia ad aspettare mio cugino all’uscita delle lezioni. Lo stesso giorno il liceo entrava in sciopero a oltranza. Il cortile, che mi aspettavo di vedere pieno di centinaia di adolescenti indaffarati, era deserto. Alcuni professori si attardavano senza scopo fra i pali della pallamano. Mi ricordo di avere camminato lunghi minuti in quel cortile mentre mia zia cercava di raccogliere briciole di informazioni. La pace era totale, il silenzio assoluto. Era un momento meraviglioso...».
Houllebecq, insomma, si mostra in linea con quanto aveva affermato tempo fa decretando il fallimento tale della cultura cosiddetta “impegnata” successiva al ’45, quella che secondo molti – soprattutto in Italia – costituirebbe lo scenario dell’egemonia di sinistra che ancora oggi condizionerebbe il discorso pubblico: «Sul piano della letteratura e del pensiero il crollo è quasi incredibile e il bilancio costernante». E andava giù pesante contro «la crassa ignoranza scientifica» di un Sartre e Simone de Beauvoir, contro le «sciocchezze» di Bourdieu e Baudrillard e tutto il «gradino di abbrutimento al quale ci avrà portato la nozione di impegno politico». Rievocando i «misfatti» degli intellettuali di sinistra, Houellebecq si mostra impietoso: «Marxisti, esistenzialisti ed estremisti di sinistra di tutti i tipi hanno potuto prosperare e infettare il mondo conosciuto proprio come se Dostoevskij non avesse mai scritto una riga. Hanno almeno apportato un’idea, un pensiero nuovo rispetto ai loro predecessori del romanzo I demoni? Neanche un po’». Si torni al grande russo, quindi. Altro che Prévert.
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia.

Nessun commento: