domenica 19 ottobre 2008

Torniamo a leggere Mika Waltari (di Luigi G. de Anna)

Articolo di Luigi G. de Anna
Dal Secolo d'Italia di venerdì 17 ottobre 2008
La Finlandia, anzi, la letteratura europea, festeggia, seppure alquanto in sordina, il centenario della nascita di Mika Waltari (1908-1979), uno dei rari scrittori europei capace di unire il senso dell’avventura alla solidità dell’impianto narrativo. Waltari nasce a Helsinki, dove compie gli studi e si laurea in lettere nel 1929. Già nel 1925 aveva pubblicato l’opera prima (Jumala paossa; La fuga da Dio). Oltre che romanziere fu giornalista, autore di teatro e poeta. Durante la seconda guerra mondiale fu arruolato nel servizio informazioni, insieme ad altri letterati ed accademici. Nel primo dopoguerra inizia la sua straordinaria carriera di scrittore di successo, tanto da diventare l’autore più tradotto in Scandinavia. Nel 1957 viene eletto membro dell’Accademia di Finlandia e nel 1970 riceve la laurea honoris causa.
Fu autore particolarmente prolifico. L’elenco delle sue opere comprende un centinaio di lavori. Citeremo solo i più noti: nel 1928 si impone all’attenzione della critica con La grande illusione, in cui riprende il tema del celebre film di Jean Renoir, romanzo che fece divenire questo Scott Fitzgerald finlandese l’eroe della sua generazione. Segue la trilogia “cittadina” Mies ja haave (1933; Un uomo e un sogno), Sielu ja liekki (1934; L’anima e la fiamma), Palava nuoruus (1934, Gioventù ardente). L’esperienza della guerra segna Waltari, come un po’ tutti gli scrittori della sua generazione, riflettendosi in Antero non tornerà più del 1940 e L’amore al tempo della persecuzione del ’43.
Col 1945 inizia la sua lunga ricerca nel campo del romanzo storico, comunque già preannunciata in Akhnaton, nato dal sole e in Paracelso a Basilea. Waltari si sentiva a suo agio tanto nelle epoche più lontane come nel medioevo. Menzioniamo tra i lavori più letti il celebre Sinuhe l’egiziano del 1945 che venderà in poco tempo 100mila copie), L’avventuriero, del 1948, romanzo che termina col sacco di Roma del 1527, dove si nota un forte interesse per il cattolicesimo, il suo seguito Mikael Hakim (1949; tr. it., 1953, Il vagabondo, che indica un uguale interesse per l’Islam), Turms l’etrusco del 1955). A volte unì il tema storico alla problematica di tipo religioso, come Marco il Romano del 1959 o nel suo seguito, Lauso il Cristiano, del 1964.
Nessuno scrittore scandinavo seppe come lui passare da un tema all’altro con tanta sicurezza: ricorderemo ancora La legione straniera del 1929 e quel piccolo gioiello che fa concorrenza a Simenon, Chi ha ucciso la signora Skrof? del 1955). Waltari fu anche poeta lirico di discreto valore, aderendo alla scuola modernista dei Tulenkantajat (“I portatori di fuoco”) di cui fa parte un altro grande della letteratura finlandese, in Italia sconosciuto, quell’Olavi Paavolainen (1903-1964) che sotto molti aspetti ricorda gli estetismi e le tentazioni politiche di d’Annunzio e Drieu La Rochelle.
E Waltari rappresenta in sostanza l’incontro tra una tradizione culturale molto radicata in Finlandia, che è quella legata a un mondo contadino che negli anni ’20 e ’30 continua a essere vivace e produttiva, e quella, che si sta affermando proprio negli stessi anni nell’intera Scandinavia, che invece avverte le irrequietezze di una società industrializzata nell’ambito della quale il capitalismo agisce con la sua forza economicamente aggregante ma socialmente disgregante.
In precedenza un altro grande della letteratura nordica, il norvegese Knut Hamsun (1859-1952, ebbe il premio Nobel nel 1920), si era fatto portatore di questo disagio. Nel caso di Hamsun l’antidoto viene trovato nella fuga dalla città verso le campagne e i boschi (come ad esempio in Pan e I frutti della terra), mentre Waltari attua un viaggio non nello spazio fisico ma nel tempo. Ma al contrario di Hamsun, che trovò in Pan, cioè nella natura nordica, l’evasione consolatrice, Waltari si rifugiò, come ha affermato il suo ultimo biografo, Panu Rajala (Unio mystica, Helsinki 2008) nel misticismo di origine mediterranea. In Waltari permane dunque il misterioso senso di una cultura nordica ancestrale, ma si rivitalizzano anche le angosce di una educazione luterana che approdano a Fine van Brooklyn (tr. it. 1995).
Waltari è però, culturalmente, anche il prodotto di quella maturazione “europea” che prende piede nelle lettere finlandesi tra gli anni Venti e Trenta. La Finlandia, paese bilingue, ma che porta i segni di profondi e continui contatti con il mondo germanico e russo, che ha in Helsinki, Turku e Viipuri i centri in cui questi influssi europei vengono recepiti e rimodellati, da poco divenuta indipendente, si apre al mondo esterno. Non per confrontarsi, ma per apprendere. E così l’io narrante del romanzo Fine van Brooklyn, l’intellettuale della nuova Finlandia, timidamente, quasi con paura, parte alla volta dei grandi centri di un’Europa in fermento. Nella realtà, Waltari cercherà la nuova Europa a Parigi, mentre Roma sarà la meta del poeta filo-fascista Veikko A. Koskenniemi e Berlino quella di Olavi Paavolainen.
Arriva poi l’esperienza della seconda guerra mondiale, che travolge, anche fisicamente e non solo moralmente, questa generazione. Non è una drole de guerre, come sarà per un Drieu La Rochelle o un Céline. È una guerra contro l’Urss, voluta, cercata, desiderata. Ma resterà un’esperienza tragica, come nel grande affresco realistico che ne lascia Väinö Linna ne Il soldato sconosciuto. E figlio della guerra è proprio quel Sinuhe che potrebbe sembrare lontano, lontanissimo nella sua proiezione storica, ambientata nell’antico Egitto, ma che porta nella sua irrequietezza, nella sua ricerca di giustizia, i segni di una generazione che tutto ha perduto, tranne la libertà. Sinuhe diventerà presto un successo mondiale, grazie anche alla versione hollywoodiana fattane nel 1954 da Michael Curtiz con Victor Mature nella parte del protagonista. E Curtiz è il regista di Casablanca; un’altra Africa, certo, ma con lo stesso senso di sradicamento dalla società del proprio tempo. E con lo stesso rimpianto per un mondo che non esiste più.
Luigi G. de Anna (3.8.1946), giornalista e scrittore, si è laureato in Lettere nel 1973 (Università di Firenze). Nel 1988 ha presentato la sua tesi di dottorato: "Conoscenza e immagine della Finlandia e del Settentrione nella cultura classico-medievale". Dal 1997 è professore di Lingua e cultura italiane presso l'Università di Turku, in Finlandia. Gran parte del suo lavoro di ricerca è incentrato sulle relazioni culturali tra Italia e Finlandia. A Turku, De Anna è stato fra i fondatori della Società di Lingua e cultura italiane che pubblica la rivista 'Settentrione'.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Letto...
Ciao Roby.

Anonimo ha detto...

Saluti, Sandro.