lunedì 19 gennaio 2009

Obama e Sarkozy, eredi di Chatwin (di Antonio Rapisarda)

L'analisi di Antonio Rapisarda
Dal web magazine della Fondazione Farefuturo (18 gennaio 2009)
Un'ideale staffetta di "viandanti". Tra il 18 e il 20 di questo inizio 2009 si celebrano due momenti diversi e importanti. Oggi si ricordano i vent'anni dalla scomparsa dello scrittore "avventuroso" Bruce Chatwin. Martedì, invece, il mondo intero accoglierà il primo presidente di colore nella storia degli Stati Uniti, Barack Obama. A prima vista quasi niente unisce i due avvenimenti, se non un mera vicinanza cronologica. Ma se si considera la vicenda del neopresidente e si riporta poi alla mente il motto per eccellenza dello scrittore e viaggiatore inglese - «Che ci faccio qui?» - non risulta complicato accomunare in un certo senso le esperienze dei due. Uno rifiutava i sogni radiosi della "dittatura" del progresso e dell'ideologia declinati in qualsiasi colore, l'altro è chiamato adesso a dare una risposta a una nazione che chiede di essere portata fuori dalle maglie dello scontro di civiltà. Da un'ideologia, per l'appunto.
«Già, chi meglio di Chatwin poteva incarnare l'irrequietezza delle generazioni post-ideologiche degli anni Ottanta e Novanta?», così Roberto Alfatti Appetiti dalle pagine del Secolo d'Italia ha ricordato il perché dell'amore di una generazione per gli "altrove" di Chatwin. E questa stessa inquietudine è la chiave del successo dei "tipi nuovi" della politica mondiale. Giovani, professionisti, smaliziati e con (quasi) niente da farsi perdonare. È la generazione Obama, ma - se si vuole- è anche quella "Sarkò". Se è vero, infatti, che il neopresidente degli Stati Uniti è la novità politica dell'anno, anche il francese Nicolas Sarkozy, il capo dell'Eliseo, dalla sua elezione continua a ricevere apprezzamenti ed estimatori bipartisan per la sua politica della "rupture". Proprio questa, la capacità di intendere la prassi politica come un "altrove" dove approdare, è una delle chiavi del successo dei due leader.
Ed è proprio l'immagine del viaggio, inteso come contaminazione, che accomuna infine questi tre personaggi. Se è vero che per l'autore di "In Patagonia" il viaggio non era solo un luogo letterario ma l'ideale ricerca di un posto dove identificarsi e riconoscersi, non stupisce che, nell'epoca del commiato dal Novecento ideologico, due fra i maggiori rappresentanti della classe dirigente internazionale abbiano, senza scandalo, una concezione particolarmente fluida e sintetica della politica.
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