giovedì 5 marzo 2009

A chi interessa l'immigrazione senza retorica? (di Antonio Rapisarda)

Articolo di Antonio Rapisarda
Dal Secolo d'Italia di giovedì 5 marzo 2009
Uno scrittore antirazzista deluso dagli antirazzisti di sinistra. E che piace a destra. Non se l’aspettava proprio Piersandro Pallavicini, autore di African Inferno, di essere recensito con tutti gli onori e per primo dal Secolo d’Italia e di essere poi praticamente dimenticato dalla cosiddetta stampa amica, sopratutto quando si parla di immigrazione. E lo scrittore-professore di questa vicenda ne ha fatto argomento di discussione su Facebook, il social network più in voga nel momento, dove ha scritto di aver gradito molto l’interessamento della destra sul tema da lui affrontato. La cosa non è sfuggita al Corriere della sera che ieri ha commentato così l’apprezzamento del quotidiano di An per la storia di Pallavicini: «La cosa ha una sua logica, visto che il protagonista del romanzo è lentamente costretto a ridimensionare il suo irritante (e Pallavicini lo rende benissimo) pregiudizio positivo verso ogni immigrato». Scrivere di immigrazione da una prospettiva diversa, senza scadere nel pietismo ma raccontando l’immigrazione senza retorica né cattiverio: proprio questa sembra essere la “dannazione” del libro da parte della sinistra “che pensa”. E proprio questo, invece, è uno dei motivi perché è piaciuto a destra.
Di tabù infranti e del mancato “soccorso rosso” ne abbiamo parlato con lo stesso Pallavicini, che non nasconde da subito di essere rimasto piacevolmente spiazzato dall’endorsement del Secolo: «Sono sorpreso positivamente perché esiste questa idea preconfezionata - ma che è anche sostenuta da certe dichiarazioni di alcuni politici - che in passato ha fatto intendere che per la destra il tema di cosa facciano in realtà gli immigrati sia un fatto secondario». Merito di African Inferno, allora, è stato probabilmente quello di voler raccontare una storia di interazione “normale”: «Questo libro non lesina la stigmatizzazione dei preconcetti degli italiani contro gli immigrati – ci spiega Pallavicini – Ma allo stesso tempo sono convinto che sia un libro onesto, perché si occupa anche dei preconcetti degli africani rispetto al Paese che li ospita». Che sia proprio questo il motivo dello scarso rilievo del libro è lo stesso autore a pensarlo: «Non l’ho capito. Anche se, a onor del vero, proprio domenica Liberazione ha recensito il libro con la stessa e intelligente chiave di lettura della firma del Secolo Roberto Alfatti Appetiti. La scarsa attenzione della sinistra culturale deriva a mio avviso perché a quest’ultima l’immigrazione interessa di più quando assume toni patetici: quando si parla di razzismo violento, delle tragedie sul lavoro e delle difficoltà etiche. Un po’ meno quando si parla di immigrati della middle class, come i personaggi del mio romanzo». E Pallavicini, proprio per rimarcare un certo conformismo nel mondo della comunicazione, lancia anche una provocazione: «Se questa storia l’avesse scritta un immigrato avrebbe avuto di sicuro la copertina su tutti i maggiori quotidiani, invece l’ha scritta un italiano e quindi non acquisisce il giusto appeal».
Il romanzo, infatti, non parla di disperazione ma di una convivenza fra un italiano e due immigrati: una storia di amicizia, insomma, dove non manca però anche la presa di
coscienza che l’integrazione debba passare da un rapporto di apertura reciproco. La conferma di questo conformismo è, per l’autore, «questa voglia di andare a cercare la bella storia, estrema, con l’immigrato da celebrare. Ma poi se un personaggio come me, di sinistra ma non aderente a nessuna scuola, scrive una storia che racconta come sia complessa l’integrazione ecco che la vicenda interessa di meno». A Pallavicini – proprio lui, legato da storiche amicizie con immigrati - non sembra essere perdonato lo sforzo di raccontare una storia diversa dai canoni tradizionali dell’immigrato come “buono” per condizione: «Il pregiudizio positivo sull’immigrato c’è e bisogna smontarlo. C’è da dire che molte persone di sinistra ci ragionano e riescono ad avere un’idea meno cristallizzata. È la sinistra culturale che fatica a comprendere quello che di diverso si sta muovendo nella società». Allo stesso tempo, poi, avviene anche l’incontro inaspettato: «Credo – continua Pallavicini - che ci sia una destra che ha voglia di sganciarsi dai pregiudizi. E mi fa piacere che da quest’altra parte ci sia stato chi ha apprezzato il mio libro e il modo di parlare onestamente del problema: proprio questo, a mio avviso, ha fatto sì che chi è di destra ha potuto approcciarsi al libro con facilità, soprattutto perché è scevro da quella visione terzomondista tipica di una certa sinistra». E se all’autore, infine, gli si chiede come è nata l’idea di raccontare la storia di un’immigrazione “normale”, dove non si fanno sconti a nessuno, la risposta è duplice: «Il libro nasce da una combinazione: prima di tutto dal fatto che nessun scrittore italiano aveva mai scritto una storia da una tale prospettiva; in secondo luogo, manca nell’immaginario collettivo una rappresentazione degli immigrati per quello che sono: esseri umani che hanno la nostra stessa vita e i nostri stessi difetti. Nei media l’immigrato viene percepito soltanto come clandestino o delinquente o povera vittima: io ho scritto della classe media degli immigrati proprio per far conoscere davvero qual è la reale dimensione di questa gente. Perché è dall’accettazione reciproca che deve passare l’integrazione».
Antonio Rapisarda, classe 1980, giornalista professionista e laureato in Lettere moderne in quel di Catania. Scrive per il Secolo d'Italia e per Ffwebmagazine.it. Ha collaborato anche con il Riformista e Panorama. Vive a Roma.
Riassunto delle puntate precedenti:
Recensione del 29 gennaio QUI
Articolo del Corriere della Sera QUI

1 commento:

Anonimo ha detto...

Gentile Pupetta, mi perdoni l'appunto (che, dopo la lettura, potrà pure destinare al cestino; tanto, non mi offendo per così poco),ma adesso si è messo a farmi addirittura il corifeo surretizio dell'immigrazione extracomunitaria?

Che è mai accaduto? Un'evoluzione spirituale autonoma od un adeguamento al "neopensiero" di Fini che, con tutta evidenza, sempre più manifestamente tradisce l'ambizione di poter assurgere ai sommi fasti di successore del "vicedisastro" Franceschini? (Ovviamente, contento lui ...)

La saluta, molto cordialmente,il sempre
Suo aff.mo
Teognide