Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 12 aprile 2009
«Villa Sant’Angelo era una bomboniera. Ne andavo davvero fiero. Ora non mi resta che essere fiero dei suoi abitanti». Pierluigi Biondi (nella foto a destra), giornalista 34enne, collaboratore del nostro Secolo, è il primo cittadino di un borgo che, come altri, è stato cancellato dal sisma della settimana scorsa. L’hanno definito, senza esagerare, il «sindaco-eroe». Perché, come i suoi compaesani, non si è risparmiato. Ha consumato in silenzio e in fretta le sue lacrime e si è rimboccato le maniche, come fosse la cosa più naturale da fare. Scavare a mani nude. Aiutare gli altri. Perfino consolare. Nel buio e nella polvere che ti avvolgono. Organizzare il futuro, il mestiere più difficile. Nelle sue parole amare c’è il rammarico di chi ha visto sbriciolarsi in pochi secondi il lavoro di tanti anni, ma anche la fierezza di chi è pronto a ricominciare. Di chi vuole ripartire.
Il racconto del terremoto che ha flagellato il territorio aquilano è tutto in quella frase asciutta, priva di autocommiserazione. La devastazione di luoghi bellissimi, dall’imponente valore storico e simbolico, come la Torre medicea di Santo Stefano di Sessanio, e ancor di più la basilica di Collemaggio, chiesa della Perdonanza e di Papa Celestino V. I paesi rasi quasi interamente al suolo, località dai nomi sino a ieri pressoché ignorati dalla grande opinione pubblica: Onna, Paganica, San Demetrio, San Gregorio, Pianola, Poggio Picenze, Carapelle Calvisio... E le vittime, naturalmente. Persone comuni che si sono ritrovate, loro malgrado, protagoniste per una notte, l’ultima della loro vita. Tante storie drammatiche. Poche a lieto fine: il salvataggio dei sette bimbi della casa famiglia “Immacolata Concezione” che a San Gregorio da sempre ospita piccoli bisognosi; Marta, la studentessa teramana rimasta bloccata sotto le macerie per 23 ore; Francesca, la ragazza di Loreto Aprutino che si è salvata annodando le lenzuola e calandosi in strada dal balcone. Meno fortunato di lei un altro ragazzo di Loreto, Giuseppe Chiavaroli, campioncino di calcio passato dalle giovanili della Fiorentina, morto lunedì scorso a seguito delle ferite riportate. Una vera e propria strage di studenti. È crollata persino la Casa dello studente, l’edificio moderno che si è piegato su se stesso seppellendo i sogni dei tanti ragazzi che avevano scelto l’ateneo aquilano per gli studi universitari.
Cifre che si rincorrono, morti che ci si ostina a chiamare dispersi, le speranze che si affievoliscono con il passare delle ore, l’eroismo dei soccorritori provenienti da tutto il mondo e di chi si è salvato ma non ha nessuna intenzione di scappare, pronti a frugare tra i detriti per strappare più persone possibili alla notte. Malgrado le scosse continuino a minacciare nuovi crolli. Incuranti del pericolo. Li hanno chiamati, con una piccola concessione alla retorica, “gli angeli delle macerie”. Una gioventù che accorre da tutta Italia. Non per mettersi in fila a un casting sperando di partecipare a un reality show. Ricordano, piuttosto, i volontari dell’alluvione di Firenze.
Un esempio tra tanti, quello offerto da Guido Liris (foto a sinistra), medico 29enne specializzando in igiene e medicina preventiva. La sua Pianola va in frantumi ma lui non si perde d’animo. Si precipita in strada, il tempo di estrarre dalle pietre che lo ricoprono il corpo senza vita dello zio e di salvare la cugina, riparata da un armadio incastrato nel muro a mo’ di capanna, e già organizza un primo soccorso per i feriti. All’alba è ancora in prima linea, all’Ospedale San Salvatore. Costata nove volte più del previsto, tirata su in ventisette anni di sprechi, la struttura è al limite del collasso. Bisogna evacuare in fretta tutti i reparti, persino la rianimazione. Senza poter usare l’ascensore, caricandosi sulle spalle un paziente dietro l’altro mentre la terra continua a tremare e i calcinacci vengono giù. E poi il ritorno a Pianola, la decisione spontanea e immediata di organizzare un punto medico nello spiazzo del campo sportivo dove chi l’ha scampata si è rifugiato per cercare un minimo di tranquillità. Per avere l’autorizzazione il Centro emergenze pretende la presenza di un medico che se ne prenda la responsabilità. Guido non ci pensa due volte: è un medico, conosce le patologie di ogni singolo compaesano, sa chi sta male davvero e chi è solo emotivo ma non per questo va trascurato, anzi. Adesso il punto medico di Pianola, con oltre duecento volontari della protezione civile, settecento persone che vi pernottano e oltre duemila pasti giornalieri, è uno dei più efficienti del dopo-terremoto e Guido è lì. «Non mi allontano neanche per un minuto, non c’è altro posto al mondo dove vorrei essere se non tra la mia gente». Un’ultima cosa, però, ci tiene a dirla: «Le istituzioni, tutte, ci sono vicine, scrivilo!».
Ed è vero, malgrado del palazzo della prefettura non sia rimasto altro che una facciata martoriata, lasciando il governo sfollato tra gli sfollati, gli uffici – insieme con il nuovo prefetto – ospitati dai Vigili del Fuoco. I primi a intervenire, insieme alle forze dell’ordine, alla Forestale, alla Guardia di Finanza e agli Alpini, che qui hanno le caserme. La Provincia rimane inagibile, la presidente Stefania Pezzopane ha avuto un luto in famiglia, ma non fa mancare il suo supporto. La Regione non ha più uffici operativi, eppure il governatore Gianni Chiodi (nella foto a sinistra) non ne vuole sapere di arrendersi. «Avremo 25mila persone che non potranno rientrare a casa, un evento senza precedenti. Ma gli abruzzesi sono persone forti, più forti del terremoto». Donne e uomini che, diceva il pescarese Ennio Flaiano, «conoscono il pudore dei sentimenti», abituati come sono a una concretezza misurata da una geografia aspra e da una storia che non ha mai concesso sconti. Non è certo il primo terremoto, questo. L’Aquila ne ha subito uno apocalittico nel 1703 con 6000 morti. E nel 1915 il terremoto di Avezzano ne ha contati in tutta la Marsica quasi 30.000. Eppure anche in quelle occasioni la gente seppe reagire con una compostezza incredibile. «Quello che più mi sorprese – scrisse nell’autobiografico Uscita di sicurezza (1949) Ignazio Silone, che in quella sciagura perse la famiglia – fu la naturalezza con cui i miei paesani accettarono la tremenda catastrofe». È quello che confermano le reazioni dignitose degli anziani e i loro volti intatti, com’erano le loro case. «Facce d’Abruzzo – ha scritto la narratrice Silvia Balestra – gente legata alla terra, che pure il mondo l’ha percorso in lungo e in largo, ma che di terra riconosce solo quella. E pare di vedere, in queste facce e in questi sguardi diritti, qualcosa di simile alla saggezza e all’orgoglio».
Lo Stato c’è – dicevamo – e oggi è atteso il presidente della Camera Gianfranco Fini, che passerà la Pasqua insieme agli sfollati. Non si tratta di politici che vengono a fare passerella, come ha detto chi, pensando di avvantaggiarsene politicamente, non perde il gusto della polemica neanche in questi momenti e, forse, avrebbe preferito uno Stato assente. Mai come stavolta le istituzioni, in una gara di solidarietà senza precedenti, si sono dimostrate così reattive. Pronte a dare il loro contributo ma anche attente a dare sollievo a un’umanità dolente. Nel campo attrezzato dalla Protezione civile a San Vittorino, la piccola Arianna ha festeggiato i suoi nove anni, in una tenda blu che sarà la sua casa ancora per un po’, con altrettante candeline da spegnere e un invitato speciale: Gianni Alemanno. «Nel 1980, col Fronte della Gioventù – ha ricordato il sindaco di Roma – andai in Irpinia come volontario. Sono rimasto dieci giorni: un’esperienza dura, ma anche bella». Non è mancato il presidente Giorgio Napoletano, quasi infastidito dai flash: «Non sono venuto qui a farmi fotografare – ha detto – ma a portare il mio sostegno alla popolazione e ai soccorritori». E tra i tanti ministri accorsi, c’è stata anche Mara Carfagna, che s’è portata dietro i pediatri clown per distrarre bambini che hanno ancora la paura negli occhi. Alcuni di loro hanno perso i genitori, altri i nonni o i cuginetti, persino i compagni di scuola. Ridono e giocano ma poi chiedono di tornare a casa. Non sarà possibile tanto presto. La normalità non abita più qui. C’è molto da fare per riavere una quotidianità serena. Per dare un futuro alla piccola Giorgia, venuta al mondo poche ore prima della famigerata scossa delle 3.32 di domenica notte.
Nel frattempo il ministro Maria Stella Gelmini ha annunciato un decreto che, consentendo di superare il vincolo minimo dei 200 giorni di lezione per la validità dell’anno scolastico, di fatto farà sì che nessuno studente perda l’anno. Una “promozione” anticipata che, per una volta, non sarà festeggiata dagli studenti. La realtà parla d’altro. C’è il dolore dei familiari delle vittime, le migliaia di feriti da curare, la necessità di dare risposte immediate ai senza tetto, le imprese da sostenere, gli sciacalli – e i soliti idioti che non trovano di meglio da fare che seminare il panico con falsi allarmi – da combattere.
Si scorre l’ormai definitivo e lunghissimo elenco delle vittime, le foto sorridenti pubblicate dalla stampa locale, con il terrore di trovare il nome di un amico, di un collega. «L’elenco? – si sorprende Pierluigi Biondi – Qui ci conosciamo tutti, siamo un’unica grande famiglia». Li conosce uno per uno, i 17 “caduti” del suo comune. Anche L’Aquila, con i suoi 70.000 abitanti, è poco più di un paese. E se è vero che sono caduti tanti, troppi campanili di Chiese, è altrettanto vero che sono venuti meno anche quei piccoli e stupidi campanilismi che a volte resistono nelle province italiane. Non è retorica dire che nelle difficoltà gli uomini danno il meglio di loro stessi. Ma c’è anche chi non sa aspettare e le calamità naturali va ad affrontarle dove si presentano, esprimendo la generosità in silenzio, senza ostentazione. L'aquilano Sandro Spagnoli (nella foto a sinistra), 52 anni, dipendente regionale, disaster manager e responsabile delle missioni internazionali di Nuova Acropoli, associazione di volontariato con sede in 54 Stati, era uno di loro. Un destino assurdo, il suo: dopo aver girato il mondo, letteralmente, per guidare le squadre di soccorso ovunque ce ne fosse bisogno – dalla Thailandia devastata dallo tsunami ai sismi in Pakistan e Indonesia del maggio 2006 con epicentro nell’isola di Giava – è stato raggiunto e ucciso dal terremoto in casa. Anche nel suo nome, la città di Federico II deve continuare a vivere.
Il racconto del terremoto che ha flagellato il territorio aquilano è tutto in quella frase asciutta, priva di autocommiserazione. La devastazione di luoghi bellissimi, dall’imponente valore storico e simbolico, come la Torre medicea di Santo Stefano di Sessanio, e ancor di più la basilica di Collemaggio, chiesa della Perdonanza e di Papa Celestino V. I paesi rasi quasi interamente al suolo, località dai nomi sino a ieri pressoché ignorati dalla grande opinione pubblica: Onna, Paganica, San Demetrio, San Gregorio, Pianola, Poggio Picenze, Carapelle Calvisio... E le vittime, naturalmente. Persone comuni che si sono ritrovate, loro malgrado, protagoniste per una notte, l’ultima della loro vita. Tante storie drammatiche. Poche a lieto fine: il salvataggio dei sette bimbi della casa famiglia “Immacolata Concezione” che a San Gregorio da sempre ospita piccoli bisognosi; Marta, la studentessa teramana rimasta bloccata sotto le macerie per 23 ore; Francesca, la ragazza di Loreto Aprutino che si è salvata annodando le lenzuola e calandosi in strada dal balcone. Meno fortunato di lei un altro ragazzo di Loreto, Giuseppe Chiavaroli, campioncino di calcio passato dalle giovanili della Fiorentina, morto lunedì scorso a seguito delle ferite riportate. Una vera e propria strage di studenti. È crollata persino la Casa dello studente, l’edificio moderno che si è piegato su se stesso seppellendo i sogni dei tanti ragazzi che avevano scelto l’ateneo aquilano per gli studi universitari.
Cifre che si rincorrono, morti che ci si ostina a chiamare dispersi, le speranze che si affievoliscono con il passare delle ore, l’eroismo dei soccorritori provenienti da tutto il mondo e di chi si è salvato ma non ha nessuna intenzione di scappare, pronti a frugare tra i detriti per strappare più persone possibili alla notte. Malgrado le scosse continuino a minacciare nuovi crolli. Incuranti del pericolo. Li hanno chiamati, con una piccola concessione alla retorica, “gli angeli delle macerie”. Una gioventù che accorre da tutta Italia. Non per mettersi in fila a un casting sperando di partecipare a un reality show. Ricordano, piuttosto, i volontari dell’alluvione di Firenze.
Un esempio tra tanti, quello offerto da Guido Liris (foto a sinistra), medico 29enne specializzando in igiene e medicina preventiva. La sua Pianola va in frantumi ma lui non si perde d’animo. Si precipita in strada, il tempo di estrarre dalle pietre che lo ricoprono il corpo senza vita dello zio e di salvare la cugina, riparata da un armadio incastrato nel muro a mo’ di capanna, e già organizza un primo soccorso per i feriti. All’alba è ancora in prima linea, all’Ospedale San Salvatore. Costata nove volte più del previsto, tirata su in ventisette anni di sprechi, la struttura è al limite del collasso. Bisogna evacuare in fretta tutti i reparti, persino la rianimazione. Senza poter usare l’ascensore, caricandosi sulle spalle un paziente dietro l’altro mentre la terra continua a tremare e i calcinacci vengono giù. E poi il ritorno a Pianola, la decisione spontanea e immediata di organizzare un punto medico nello spiazzo del campo sportivo dove chi l’ha scampata si è rifugiato per cercare un minimo di tranquillità. Per avere l’autorizzazione il Centro emergenze pretende la presenza di un medico che se ne prenda la responsabilità. Guido non ci pensa due volte: è un medico, conosce le patologie di ogni singolo compaesano, sa chi sta male davvero e chi è solo emotivo ma non per questo va trascurato, anzi. Adesso il punto medico di Pianola, con oltre duecento volontari della protezione civile, settecento persone che vi pernottano e oltre duemila pasti giornalieri, è uno dei più efficienti del dopo-terremoto e Guido è lì. «Non mi allontano neanche per un minuto, non c’è altro posto al mondo dove vorrei essere se non tra la mia gente». Un’ultima cosa, però, ci tiene a dirla: «Le istituzioni, tutte, ci sono vicine, scrivilo!».
Ed è vero, malgrado del palazzo della prefettura non sia rimasto altro che una facciata martoriata, lasciando il governo sfollato tra gli sfollati, gli uffici – insieme con il nuovo prefetto – ospitati dai Vigili del Fuoco. I primi a intervenire, insieme alle forze dell’ordine, alla Forestale, alla Guardia di Finanza e agli Alpini, che qui hanno le caserme. La Provincia rimane inagibile, la presidente Stefania Pezzopane ha avuto un luto in famiglia, ma non fa mancare il suo supporto. La Regione non ha più uffici operativi, eppure il governatore Gianni Chiodi (nella foto a sinistra) non ne vuole sapere di arrendersi. «Avremo 25mila persone che non potranno rientrare a casa, un evento senza precedenti. Ma gli abruzzesi sono persone forti, più forti del terremoto». Donne e uomini che, diceva il pescarese Ennio Flaiano, «conoscono il pudore dei sentimenti», abituati come sono a una concretezza misurata da una geografia aspra e da una storia che non ha mai concesso sconti. Non è certo il primo terremoto, questo. L’Aquila ne ha subito uno apocalittico nel 1703 con 6000 morti. E nel 1915 il terremoto di Avezzano ne ha contati in tutta la Marsica quasi 30.000. Eppure anche in quelle occasioni la gente seppe reagire con una compostezza incredibile. «Quello che più mi sorprese – scrisse nell’autobiografico Uscita di sicurezza (1949) Ignazio Silone, che in quella sciagura perse la famiglia – fu la naturalezza con cui i miei paesani accettarono la tremenda catastrofe». È quello che confermano le reazioni dignitose degli anziani e i loro volti intatti, com’erano le loro case. «Facce d’Abruzzo – ha scritto la narratrice Silvia Balestra – gente legata alla terra, che pure il mondo l’ha percorso in lungo e in largo, ma che di terra riconosce solo quella. E pare di vedere, in queste facce e in questi sguardi diritti, qualcosa di simile alla saggezza e all’orgoglio».
Lo Stato c’è – dicevamo – e oggi è atteso il presidente della Camera Gianfranco Fini, che passerà la Pasqua insieme agli sfollati. Non si tratta di politici che vengono a fare passerella, come ha detto chi, pensando di avvantaggiarsene politicamente, non perde il gusto della polemica neanche in questi momenti e, forse, avrebbe preferito uno Stato assente. Mai come stavolta le istituzioni, in una gara di solidarietà senza precedenti, si sono dimostrate così reattive. Pronte a dare il loro contributo ma anche attente a dare sollievo a un’umanità dolente. Nel campo attrezzato dalla Protezione civile a San Vittorino, la piccola Arianna ha festeggiato i suoi nove anni, in una tenda blu che sarà la sua casa ancora per un po’, con altrettante candeline da spegnere e un invitato speciale: Gianni Alemanno. «Nel 1980, col Fronte della Gioventù – ha ricordato il sindaco di Roma – andai in Irpinia come volontario. Sono rimasto dieci giorni: un’esperienza dura, ma anche bella». Non è mancato il presidente Giorgio Napoletano, quasi infastidito dai flash: «Non sono venuto qui a farmi fotografare – ha detto – ma a portare il mio sostegno alla popolazione e ai soccorritori». E tra i tanti ministri accorsi, c’è stata anche Mara Carfagna, che s’è portata dietro i pediatri clown per distrarre bambini che hanno ancora la paura negli occhi. Alcuni di loro hanno perso i genitori, altri i nonni o i cuginetti, persino i compagni di scuola. Ridono e giocano ma poi chiedono di tornare a casa. Non sarà possibile tanto presto. La normalità non abita più qui. C’è molto da fare per riavere una quotidianità serena. Per dare un futuro alla piccola Giorgia, venuta al mondo poche ore prima della famigerata scossa delle 3.32 di domenica notte.
Nel frattempo il ministro Maria Stella Gelmini ha annunciato un decreto che, consentendo di superare il vincolo minimo dei 200 giorni di lezione per la validità dell’anno scolastico, di fatto farà sì che nessuno studente perda l’anno. Una “promozione” anticipata che, per una volta, non sarà festeggiata dagli studenti. La realtà parla d’altro. C’è il dolore dei familiari delle vittime, le migliaia di feriti da curare, la necessità di dare risposte immediate ai senza tetto, le imprese da sostenere, gli sciacalli – e i soliti idioti che non trovano di meglio da fare che seminare il panico con falsi allarmi – da combattere.
Si scorre l’ormai definitivo e lunghissimo elenco delle vittime, le foto sorridenti pubblicate dalla stampa locale, con il terrore di trovare il nome di un amico, di un collega. «L’elenco? – si sorprende Pierluigi Biondi – Qui ci conosciamo tutti, siamo un’unica grande famiglia». Li conosce uno per uno, i 17 “caduti” del suo comune. Anche L’Aquila, con i suoi 70.000 abitanti, è poco più di un paese. E se è vero che sono caduti tanti, troppi campanili di Chiese, è altrettanto vero che sono venuti meno anche quei piccoli e stupidi campanilismi che a volte resistono nelle province italiane. Non è retorica dire che nelle difficoltà gli uomini danno il meglio di loro stessi. Ma c’è anche chi non sa aspettare e le calamità naturali va ad affrontarle dove si presentano, esprimendo la generosità in silenzio, senza ostentazione. L'aquilano Sandro Spagnoli (nella foto a sinistra), 52 anni, dipendente regionale, disaster manager e responsabile delle missioni internazionali di Nuova Acropoli, associazione di volontariato con sede in 54 Stati, era uno di loro. Un destino assurdo, il suo: dopo aver girato il mondo, letteralmente, per guidare le squadre di soccorso ovunque ce ne fosse bisogno – dalla Thailandia devastata dallo tsunami ai sismi in Pakistan e Indonesia del maggio 2006 con epicentro nell’isola di Giava – è stato raggiunto e ucciso dal terremoto in casa. Anche nel suo nome, la città di Federico II deve continuare a vivere.
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