La lezione di Madrid: nel mausoleo della guerra civile i "nacionales" di Franco riposano con i "republicanos"
Articolo di Roberto Pellegrino
Da Libero di mercoledì 29 aprile 2009
MADRID. La croce, soprattutto. Il massimo simbolo della cristianità svetta nel cielo della Sierra de Guadarrama e ti guida come fosse una stella cometa, rimanendo sempre presente all’orizzonte, quasi capace di ipnotizzarti di notte quando risplende ed è visibile a oltre 40 chilometri di distanza. E’ gigantesca, la più alta del mondo con i suoi 150 metri di cemento e i suoi bracci di 46 metri. Appare come un enorme chiodo piantato in quello che è un punto di arrivo e di partenza nella cartina a pelle di toro degli ultimi settanta anni di storia di Spagna. Si lascia Madrid e si punta il becco dell’auto in direzione nord ovest per guidare per poco più che 50 chilometri nel verde e nell’ocra arido della Sierra. E si segue la croce, più che le indicazioni per raggiungere la Valle de los Caídos.
È il luogo dove la storia ha lasciato una sua firma con un evento così feroce come fu la guerra civile che insanguinò il Paese dal 1936 al 1939, e dove uomini che non esistono più e uomini che invece sono in vita e sanno ricordare, hanno voluto dare un senso a parole come pace, perdono, rispetto e fratellanza per chi ha combattuto per un’ideologia. Sbagliata o giusta che fosse, qui non si viene per recriminare o aggiungere sale alle ferire della storia. Perchè in questa spianata che sormonta la Sierra, un luogo di roccia spigolosa, candidi marmi e cieli blu cobalto, bisogna entrarvi senza nessuna retorica. Vi riposano vinti e vincitori, “nacionales” di Francisco Franco assieme ai “republicanos”: sono 33.872, un paese. Tutti soldati dei due fronti contrapposti, tutti con i loro diversi ordini di grado militare, tutti con le loro storie, uniche e comuni tra loro. Tutti nello stesso luogo assieme alle tombe di José Antonio Primo de Rivera, fondatore della Falange Spagnola, e di Franco che ha voluto edificare il mausoleo tra il 1940 e il 1958.
È un monumento che non ha eguali al mondo per il suo semplice e disarmante messaggio. Un villaggio che ogni spagnolo, almeno una volta in vita sua, ha visitato, pagando i 5 euro all’ingresso, e che è composto da un’enorme spianata, da un’abbazia benedettina e da una basilica, ricavata scavando 200mila metri cubi di roccia e dove ci sono le tombe di Franco e di de Rivera.
Le due cappelle della basilica accolgono i resti di nazionalisti e repubblicani, in un numero pressoché identico. Sono posizionate nei bracci laterali del transetto che taglia perpendicolarmente i 262 metri della navata. Da qui bisogna iniziare la visita, nel silenzio freddo e austero di questo luogo di culto, poi, una volta ritornati alla luce accecante che avvolge la spianata, si può decidere di arrampicarsi sulla croce, per godere della vista e magari domandarsi se un luogo del genere funzionerebbe in Italia che ogni 25 Aprile osserva il riaffiorare puntuale di divisioni, tra fascisti e antifascisti, mai riconciliati nemmeno davanti alla morte.
Ma l’Italia, da qui è lontana, non solo geograficamente, anche se tra questi resti ci sono anche italiani. E chissà quanti. L’atteggiamento degli spagnoli nei confronti di questa crudele, controversa, dibattuta, pagina della loro storia moderna, è stato spiegato da diversi storici che hanno raccontato come da un profondo trauma, come una guerra fratricida, qualcosa è maturato nelle teste degli spagnoli, innescando quella “Transición” che ha portato a un sostanziale cambio di mentalità negli anni Settanta, raffreddando gli animi davanti all'impegno comune di costruire una solida democrazia. Per andare oltre, gli spagnoli hanno dovuto porre l’accento sui ricordi della guerra, sulla memoria traumatica del conflitto civile e sul desiderio generalizzato di evitare il ripetersi di questo orrore. Partendo da questo, allora, si possono spiegare le posizioni favorevoli alla negoziazione e al consenso dei principali attori politici. Solo così si può spiegare la condivisione di questi accordi da parte della maggioranza della popolazione che ha scelto, senza mai dimenticare o rimuovere i fatti, di non accapigliarsi in strada e tra gli scranni nel nome della sofferenza di altri. E si spiega anche la presenza della Valle de los Caídos, del significato semplice e schietto che questo luogo racchiude: la morte è uguale per tutti e merita solo il rispetto, perché è l’unico evento che si deve leggere con l’unico significato che ha e che è capace di suscitare.
Come quell’enorme croce che ci lasciamo alle spalle, planando sulle strade tortuose che ci riportano a Madrid: quella croce è diventata anche l’enorme parafulmine che tiene lontani rossi e neri, buoni e cattivi, che esorcizza ogni istinto riottoso, che ripulisce dalla dietrologia e dalle manipolazioni storiche.
Roberto Pellegrino è corrispondente da Madrid per Libero, Il Riformista e il Giornale.Il suo blog è Concime per la mente
"Qualcuno ha detto che la gente scrive perché non ha abbastanza carattere per non scrivere. Poi Truman Capote: "Gli scrittori dovrebbero sforzarsi di scrivere il meno possibile, quasi niente". E l'abate francese del Seicento, J.A. Dinouart: "Scrivere e parlare sono movimenti scomposti del corpo da restituire al sacro paradigma del silenzio". Ecco, io non ho abbastanza carattere per non scrivere e ho un controllo difettoso del corpo. E poi ci sono cose difficili da spiegare a voce, va a finire che le scrivo".
1 commento:
Ho visitato nel lontano 1986 la Valle de los Caídos e, in effetti, mi è difficile rimuovere quel sentimento di composto eroismo che il luogo evoca e diffonde. Tra i visitatori distratti ( o politicizzati) di allora qualche italiano si lamentò che ci facessero "commemorare il franchismo". Ma non sono affatto questi i sentimenti che diffonde quel luogo negli spagnoli. Indubbiamento, im materia di rinconciliazione nazionale, noi italiani abbiamo ancora qualcosa da imparare.
MT
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