Dal Secolo d'Italia di martedì 5 maggio 2008
«Altro che Woodstock – (di cui il prossimo ferragosto si celebrerà il quarantennale, ndr) – la prima “festa” libertaria del Novecento avvenne a Fiume nel 1919, novant'anni fa, quando la gioventù, fino a quel momento considerata tout court una fase della vita, prese coscienza di poter incidere da protagonista nella storia come generazione».
Parola di Gabriele Marconi, che nel suo ultimo libro, da pochi giorni in libreria, Le stelle danzanti. Il romanzo dell’Impresa fiumana (Vallecchi, pp. 320, € 15) racconta proprio quella straordinaria epopea: migliaia di ragazzi – reduci della grande guerra e anarchici, soldati e artisti giunti d’ogni dove – che, guidati da Gabriele d’Annunzio, il più importante rappresentante della cultura del tempo, per sedici mesi (dal settembre 1919 al dicembre 1920) tennero in scacco il governo italiano e la diplomazia internazionale.
Portarono l’arte al potere – come teorizzato da F. T. Marinetti, tra i primi a accorrere a Fiume – e realizzarono il sogno di uno Stato libero e nuovo. Sì, perché quella “grande impresa dadaista” – così la salutò il club Dada berlinese – nata sulla spinta di un moto spontaneo di natura irredentista, si trasformò ben presto in un progetto simbolo capace di richiamare nella città irredenta tutti i ragazzi che credevano in un mondo migliore e che – come avrebbe cantato mezzo secolo più tardi Jim Morrison dei Doors – quel mondo «lo volevano e lo volevano… now/ora».
Parola di Gabriele Marconi, che nel suo ultimo libro, da pochi giorni in libreria, Le stelle danzanti. Il romanzo dell’Impresa fiumana (Vallecchi, pp. 320, € 15) racconta proprio quella straordinaria epopea: migliaia di ragazzi – reduci della grande guerra e anarchici, soldati e artisti giunti d’ogni dove – che, guidati da Gabriele d’Annunzio, il più importante rappresentante della cultura del tempo, per sedici mesi (dal settembre 1919 al dicembre 1920) tennero in scacco il governo italiano e la diplomazia internazionale.
Portarono l’arte al potere – come teorizzato da F. T. Marinetti, tra i primi a accorrere a Fiume – e realizzarono il sogno di uno Stato libero e nuovo. Sì, perché quella “grande impresa dadaista” – così la salutò il club Dada berlinese – nata sulla spinta di un moto spontaneo di natura irredentista, si trasformò ben presto in un progetto simbolo capace di richiamare nella città irredenta tutti i ragazzi che credevano in un mondo migliore e che – come avrebbe cantato mezzo secolo più tardi Jim Morrison dei Doors – quel mondo «lo volevano e lo volevano… now/ora».
Non è un caso che proprio l'epopea fiumana abbia suscitato recentemente anche l'interesse dei due registi Pasquale Squitieri e Tinto Brass, che vorrebbero realizzarne un film intitolandolo proprio Me ne frego, motto dei legionari di d'Annunzio. E che lo scrittore d'avanguardia Akim Bey, situazionista e sufi allo stesso tempo, indicava nel modello di Fiume una delle sue Taz, zone temporaneamente autonome, negli anni Novanta nuova mitologia generazionale.
Ma chi erano i ragazzi di Fiume?«Giovani la cui progettualità e sperimentazione – ha scritto Claudia Salaris, storica delle avanguardie e autrice del fondamentale saggio Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D’Annunzio a Fiume (Il Mulino 2008, pp. 272, € 12) – presentano con la controcultura dei movimenti giovanili degli anni Settanta contatti troppo spesso offuscati da letture condizionate da ciò che è venuto dopo». Già, in quanto prefascista – come tale enfatizzata dal fascismo – la parentesi fiumana è stata liquidata come reazionaria e marginalizzata nei testi scolastici. Riassunta, con colpevole sufficienza, in minuscoli paragrafi del tutto insufficienti a esprimerne l’originalità e la forza anticipatrice. Certo, la marcia da Ronchi di Monfalcone (dei Legionari, come il fascismo ribattezzerà la località) – che il 12 settembre 1919 porterà d’Annunzio e i suoi duemila volontari a liberare Fiume – ispirò quella che tre anni dopo condusse Mussolini al potere. E altrettanto incontestabile è che le liturgie politiche di massa inaugurate a Fiume diventeranno arma di propaganda del regime. Ma lo spirito autentico del fiumanesimo rimane quello dell’avventura libertaria, «di un lungo e febbrile carnevale della trasgressione – ha scritto ancora la Salaris – in grado di coagulare una quantità di esperienze diverse, di ansie di ribellione, di velleità rivoluzionarie che si apparentano alle avanguardie del tempo, ma anche a un momento insurrezionale come il Sessantotto».
A distanza di novant’anni, tale laboratorio socio-politico – talmente sui generis da coniugare aspirazioni politiche diverse e plurali – continua a mettere in imbarazzo, oltre agli storici e ai politici, anche intellettuali, registi e scrittori. Un silenzio interrotto, pressoché in contemporanea, dal romanzo di Marconi e dall’ultimo libro di Antonella Sbuelz Carignani, Greta Vidal (Frassinelli, pp. 352, € 17,50). Una storia di passioni nella Fiume di D’Annunzio, quest’ultima, tra Greta, diciottenne della buona borghesia, e Tullio, giovane ex aviatore. Due ragazzi che, come tanti altri, si innamorarono dell’idea di una città governata da un poeta.
«Una vicenda – ci confessa Marconi – che conoscevo poco. Quando Area (la rivista mensile di cultura politica di cui Gabriele è direttore responsabile, ndr) dedicò un focus di approfondimento sull’impresa, impaginando i pezzi dei collaboratori, mi sono incuriosito e ho cominciato a studiarla». Un lavoro di anni, il suo, che ricostruisce fedelmente lo spirito del tempo, dosando finzione e fatti storici.
Il libro, prima di essere pubblicato dalla Vallecchi, è stato presentato ad altri autorevoli editori, «ma – ci racconta l’autore – l’hanno ritenuto troppo appassionato e coinvolto. I protagonisti, mi hanno detto, avrebbero dovuto parlare più criticamente di d’Annunzio, ma non potevo ridimensionare l’entusiasmo di giovani ventenni, forgiati dalla guerra, che si trovavano di fronte un poeta andato veramente in trincea, non come gli intellettuali cui siamo abituati noi, che negli anni Settanta firmavano appelli di sostegno alla lotta armata bevendo comodamente champagne nei salotti». A differenza di uno dei rari romanzi sull’impresa fiumana, Poeta al comando (Mondadori, 2003) di Alessandro Barbero, in cui il protagonista assoluto è proprio lui, il vate guerriero, nel libro di Marconi sono soprattutto i giovani ad esserlo.
«Disertori in avanti», li definì Marinetti. I tanti militari che, da soli o a battaglioni interi, per raggiungere Fiume disertarono dalle caserme, la maggior parte di loro rischiando la Corte Marziale, e dalle famiglie. Molti vi rimasero fino al “natale di sangue” del 1920, quando il governo italiano decise di fare sul serio. Una decisione a lungo rimandata: «Quando Nitti chiedeva di intervenire militarmente, il generale Badoglio – spiega Marconi – rispondeva che tutto l’esercito era infiammato e tutti volevano andare a Fiume. È singolare come questi ragazzi, appena usciti da una carneficina, fossero già pronti a ricominciare». Il “comandante” li aveva conquistati tuonando contro la “vittoria mutilata” e un governo che troppo debolmente aveva cercato di far valere le proprie ragioni. «Ascoltare d’Annunzio – dice l’ardito Marco Paganoni, uno dei protagonisti del romanzo – è stato come tornare a casa». Perché, come conferma l’amico fraterno Giulio Jentile, «adesso pare una colpa aver fatto la guerra. Siamo dovuti tornare di notte, dal fronte, per non causare agitazioni, mentre i soldati francesi passavano sotto l’arco di trionfo coi fiori e la banda». È, la loro, un’amicizia nata in trincea. Tornati ognuno a casa propria, Marco a Bergamo e Giulio a Roma, non riusciranno a riadattarsi alla vita civile. Non è facile per una generazione che, per dirla con Giulio, «è maturata al sole delle bombe, troppo per non sentirsi responsabile di ogni ingiustizia che ci capita di vedere». Così decide di partire per l’Argentina, dove lo aspetta un futuro da maestro elementare. Ma all’ultimo momento il destino lo porta a Fiume, dove ritroverà Marco e Daria, crocerossina triestina di cui entrambi sono infatuati. E sarà proprio per amore che Giulio si unirà agli Uscocchi, i corsari di d’Annunzio, i legionari scelti dall’Ufficio “colpi di mano” per rimediare nei modi più creativi i beni di prima necessità per la città assediata. Vestiti con abiti borghesi, il loro compito è individuare un mercantile «abbastanza cicciotto», imbarcarsi e, una volta in mezzo al mare, tirare fuori le pistole e condurlo a Fiume. «Più che dei pirati slavi da cui prendevamo il nome – pensa Giulio – sembriamo usciti da un libro di Salgari. Soldati del re che fanno concorrenza alle Tigri di Mompracem».
Tutto vero. E reali sono le figure irregolari che “popolano” il romanzo. Leone Kochnitzky, ad esempio, il poeta e combattente belga che durante il periodo della reggenza fiumana ebbe un ruolo da ministro degli esteri. Alceste de Ambris, il sindacalista rivoluzionario cui si deve la Carta del Carnaro, una delle più avanzate del periodo. Mario Carli, animatore del drappello ardito-futurista del giornale La testa di ferro, colui che coniò il motto “Arditi, non gendarmi”. Fiume, del resto, non sarà mai una città irreggimentata, rimarrà una sarabanda ricca di guasconate e beffe spettacolari. Celebre quella di cui fu protagonista Guido Keller – fondatore a Fiume del gruppo mistico-politico dello Yoga (Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione) – volato fino a Roma sulla sua avamposto SVA per sganciare un pitale pieno di rape su Montecitorio.
La mobilitazione degli artisti in favore della causa fiumana sarà totale, ma il clima di festa permanente attirerà anche avventurieri spregiudicati, opportunisti travestiti da legionari della prima ora, delinquenti comuni in cerca di impunità e spie di Roma pronte a complottare ai danni del comandante. Saranno proprio i nostri eroi, sotto la direzione di Horst-Venturi, a sventarne le trame in un susseguirsi di colpi di scena. Scanditi a ritmo musicale. «All’inizio di molti capitoli – ci dice Gabriele, che è anche apprezzato autore e performer di musica alternativa – ho inserito dei brani di Altaforte, la canzone di Renato Colella ispirata alla Sestina Altaforte di Ezra Pound: sono versi dedicati al trovatore Bertrand de Born, ma si adattavano splendidamente alla vicenda fiumana, perché parlano la stessa lingua interiore». Quella del caos. Perché se è vero che simbolo della reggenza del Carnaro furono le stelle dell’Orsa Maggiore – indicanti la Stella Polare – altrettanto importanti sono quelle danzanti del titolo, che, citando Nietzsche, possono essere generate «da chi ha il caos dentro di sé».
Un romanzo storico, pertanto, ma anche attuale. La vicenda magmatica e incandescente di Fiume può essere letta come una metafora, tutt’altro che nostalgica, dei nostri tempi. «Chi studia vulcanologia – chiosa Gabriele – sa che quando c’è un’eruzione la lava fonde insieme minerali diversi e crea il cristallo nuovo, che può venire forgiato solo dal mescolamento». E tante identità diverse possono crearne una nuova, originale, avanzata e vincente.
A distanza di novant’anni, tale laboratorio socio-politico – talmente sui generis da coniugare aspirazioni politiche diverse e plurali – continua a mettere in imbarazzo, oltre agli storici e ai politici, anche intellettuali, registi e scrittori. Un silenzio interrotto, pressoché in contemporanea, dal romanzo di Marconi e dall’ultimo libro di Antonella Sbuelz Carignani, Greta Vidal (Frassinelli, pp. 352, € 17,50). Una storia di passioni nella Fiume di D’Annunzio, quest’ultima, tra Greta, diciottenne della buona borghesia, e Tullio, giovane ex aviatore. Due ragazzi che, come tanti altri, si innamorarono dell’idea di una città governata da un poeta.
«Una vicenda – ci confessa Marconi – che conoscevo poco. Quando Area (la rivista mensile di cultura politica di cui Gabriele è direttore responsabile, ndr) dedicò un focus di approfondimento sull’impresa, impaginando i pezzi dei collaboratori, mi sono incuriosito e ho cominciato a studiarla». Un lavoro di anni, il suo, che ricostruisce fedelmente lo spirito del tempo, dosando finzione e fatti storici.
Il libro, prima di essere pubblicato dalla Vallecchi, è stato presentato ad altri autorevoli editori, «ma – ci racconta l’autore – l’hanno ritenuto troppo appassionato e coinvolto. I protagonisti, mi hanno detto, avrebbero dovuto parlare più criticamente di d’Annunzio, ma non potevo ridimensionare l’entusiasmo di giovani ventenni, forgiati dalla guerra, che si trovavano di fronte un poeta andato veramente in trincea, non come gli intellettuali cui siamo abituati noi, che negli anni Settanta firmavano appelli di sostegno alla lotta armata bevendo comodamente champagne nei salotti». A differenza di uno dei rari romanzi sull’impresa fiumana, Poeta al comando (Mondadori, 2003) di Alessandro Barbero, in cui il protagonista assoluto è proprio lui, il vate guerriero, nel libro di Marconi sono soprattutto i giovani ad esserlo.
«Disertori in avanti», li definì Marinetti. I tanti militari che, da soli o a battaglioni interi, per raggiungere Fiume disertarono dalle caserme, la maggior parte di loro rischiando la Corte Marziale, e dalle famiglie. Molti vi rimasero fino al “natale di sangue” del 1920, quando il governo italiano decise di fare sul serio. Una decisione a lungo rimandata: «Quando Nitti chiedeva di intervenire militarmente, il generale Badoglio – spiega Marconi – rispondeva che tutto l’esercito era infiammato e tutti volevano andare a Fiume. È singolare come questi ragazzi, appena usciti da una carneficina, fossero già pronti a ricominciare». Il “comandante” li aveva conquistati tuonando contro la “vittoria mutilata” e un governo che troppo debolmente aveva cercato di far valere le proprie ragioni. «Ascoltare d’Annunzio – dice l’ardito Marco Paganoni, uno dei protagonisti del romanzo – è stato come tornare a casa». Perché, come conferma l’amico fraterno Giulio Jentile, «adesso pare una colpa aver fatto la guerra. Siamo dovuti tornare di notte, dal fronte, per non causare agitazioni, mentre i soldati francesi passavano sotto l’arco di trionfo coi fiori e la banda». È, la loro, un’amicizia nata in trincea. Tornati ognuno a casa propria, Marco a Bergamo e Giulio a Roma, non riusciranno a riadattarsi alla vita civile. Non è facile per una generazione che, per dirla con Giulio, «è maturata al sole delle bombe, troppo per non sentirsi responsabile di ogni ingiustizia che ci capita di vedere». Così decide di partire per l’Argentina, dove lo aspetta un futuro da maestro elementare. Ma all’ultimo momento il destino lo porta a Fiume, dove ritroverà Marco e Daria, crocerossina triestina di cui entrambi sono infatuati. E sarà proprio per amore che Giulio si unirà agli Uscocchi, i corsari di d’Annunzio, i legionari scelti dall’Ufficio “colpi di mano” per rimediare nei modi più creativi i beni di prima necessità per la città assediata. Vestiti con abiti borghesi, il loro compito è individuare un mercantile «abbastanza cicciotto», imbarcarsi e, una volta in mezzo al mare, tirare fuori le pistole e condurlo a Fiume. «Più che dei pirati slavi da cui prendevamo il nome – pensa Giulio – sembriamo usciti da un libro di Salgari. Soldati del re che fanno concorrenza alle Tigri di Mompracem».
Tutto vero. E reali sono le figure irregolari che “popolano” il romanzo. Leone Kochnitzky, ad esempio, il poeta e combattente belga che durante il periodo della reggenza fiumana ebbe un ruolo da ministro degli esteri. Alceste de Ambris, il sindacalista rivoluzionario cui si deve la Carta del Carnaro, una delle più avanzate del periodo. Mario Carli, animatore del drappello ardito-futurista del giornale La testa di ferro, colui che coniò il motto “Arditi, non gendarmi”. Fiume, del resto, non sarà mai una città irreggimentata, rimarrà una sarabanda ricca di guasconate e beffe spettacolari. Celebre quella di cui fu protagonista Guido Keller – fondatore a Fiume del gruppo mistico-politico dello Yoga (Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione) – volato fino a Roma sulla sua avamposto SVA per sganciare un pitale pieno di rape su Montecitorio.
La mobilitazione degli artisti in favore della causa fiumana sarà totale, ma il clima di festa permanente attirerà anche avventurieri spregiudicati, opportunisti travestiti da legionari della prima ora, delinquenti comuni in cerca di impunità e spie di Roma pronte a complottare ai danni del comandante. Saranno proprio i nostri eroi, sotto la direzione di Horst-Venturi, a sventarne le trame in un susseguirsi di colpi di scena. Scanditi a ritmo musicale. «All’inizio di molti capitoli – ci dice Gabriele, che è anche apprezzato autore e performer di musica alternativa – ho inserito dei brani di Altaforte, la canzone di Renato Colella ispirata alla Sestina Altaforte di Ezra Pound: sono versi dedicati al trovatore Bertrand de Born, ma si adattavano splendidamente alla vicenda fiumana, perché parlano la stessa lingua interiore». Quella del caos. Perché se è vero che simbolo della reggenza del Carnaro furono le stelle dell’Orsa Maggiore – indicanti la Stella Polare – altrettanto importanti sono quelle danzanti del titolo, che, citando Nietzsche, possono essere generate «da chi ha il caos dentro di sé».
Un romanzo storico, pertanto, ma anche attuale. La vicenda magmatica e incandescente di Fiume può essere letta come una metafora, tutt’altro che nostalgica, dei nostri tempi. «Chi studia vulcanologia – chiosa Gabriele – sa che quando c’è un’eruzione la lava fonde insieme minerali diversi e crea il cristallo nuovo, che può venire forgiato solo dal mescolamento». E tante identità diverse possono crearne una nuova, originale, avanzata e vincente.
Le stelle danzanti. Il romanzo dell'impresa fiumana
EditoreVallecchi (collana Stelle) 2009, 320 p., brossura € 15,00
EditoreVallecchi (collana Stelle) 2009, 320 p., brossura € 15,00
L'autore.
Gabriele Marconi, nato a Roma nel 1961, è giornalista professionista, direttore responsabile del mensile “Area - politica, comunità, economia”. È arrivato in finale al Premio Tolkien 1988 con il racconto “Il Guardiano”. Il suo primo romanzo è “L’enigma di Giordano Bruno” (Minotauro, 1996). Tra i fondatori della Società Tolkieniana Italiana, ha collaborato al “Dizionario dell’universo di J.R.R Tolkien” (Bompiani, 2003). Nel 2001 ha vinto il premio “Tolkien on line” con il racconto “L’ultima notte di luna piena”; altri racconti sono presenti all’interno di alcune antologie di narrativa fantastica. Il suo secondo romanzo, un main stream sugli anni di piombo dal titolo “Io non scordo” (Settimo Sigillo, 1999), è stato riedito da Fazi nel 2004 ed è stato scelto per la terna finalista del Premio Alfredo Cattabiani.
Nel maggio del 2008 ha pubblicato un romanzo per la Dario Flaccovio editore, “Il Regno nascosto” (insieme ad Errico Passaro).
Ha collaborato come autore alla trasmissione di Radio2 Rai “La storia in giallo” e inciso due cd musicali: “Noi felici pochi” e “In viaggio”.
Nel maggio del 2008 ha pubblicato un romanzo per la Dario Flaccovio editore, “Il Regno nascosto” (insieme ad Errico Passaro).
Ha collaborato come autore alla trasmissione di Radio2 Rai “La storia in giallo” e inciso due cd musicali: “Noi felici pochi” e “In viaggio”.
Il blog di Gabriele Marconi: La casa sull'albero
6 commenti:
Giulio Jentile e Marco Paganoni...gran bella coppia: affiatata e complementare. Ma il migliore resta "Gnolini"...E complimenti a te, caro Roberto: una recensione molto professionale, approfondita e partecipata. Mica la solita fuffa.
Un caro saluto.
Marco Cimmino (Paganoni)
Bergamasco!!! Lo sapevo che non potevi che essere tu. Gran bel romanzo, me lo sono proprio goduto e lo sto consigliando a tutti i miei amici.
Graze Marco, mi fa piacere sapere che ti è piaciuta.
Un abbraccio.
Gabriele mi ha anche detto che l'episodio del bambino glassato è vero :-)
Pura e semplice!
Ma nella realtà si collocò in altro loco (nella Calabrie...)
Cosa dici, Ga: alla prima occasione gliela raccontiamo dal vivo, davanti a una birra? Versione integrale, con annessi e connessi? Secondo me, RAA è l'unico a non averla ancora sentita! Ma lo sai che, mentre ci ripenso, rivedo la faccia del bambinetto rognoso e mi viene da ridere di bestia? Quanto al romanzo, è davvero bellissimo e avrà il successo che merita.
Fate i bravi...
MC
Davanti a una birra mi sembra un'ottima idea!
A presto
Posta un commento