Dal Secolo d'Italia di mercoledì 13 maggio 2009
È un dato di fatto l’overdose di ricorso al termine “populismo” con cui i media, non solo italiani, tentano di ovviare all’incapacità di interpretare le nuove dinamiche della politica. Anche se, nella stragrande maggioranza dei casi, l’impressione è quella di un nuovo specchietto per le allodole per rinviare la comprensione di tanti fenomeni coprendoli con la nuova categoria-feticcio. «In generale – ha annotato, sul quotidiano La Stampa, il ministro della Cultura Sandro Bondi – in Italia si ripete l’errore sintetizzato in un celebre aforisma di Nicolàs Gòmez Dàvila: “Demagogia è il vocabolo usato dai democratici quando la democrazia li spaventa”. Allo stesso modo, “populismo” è oggi la parola che si usa quando si teme il popolo e le leadership carismatiche che lo rappresentano e che non sono una prerogativa italiana, basta guardare a Blair, Obama, Sarkozy...».
Giunge a proposito un libro che affronta e articola tutta la questione ribaltando la prospettiva rispetto a tutte le letture convenzionali. Si tratta del saggio Il campo del possibile. Sguardi sulla modernità sociale, politica e culturale (pubblicato dalla Controcorrente dell’editore Pietro Golia, pp. 518, euro 30,00), il cui autore, Thibault Isabel, si dimostra uno dei più originali interpreti dei fenomeni sociali e politici contemporanei. È uno studioso francese, esperto di storia del cinema e dell’immaginario novecentesco, e collabora con molte riviste, non solo accademiche, tra le quali, Éléments e Nouvelle École, le testate fondate da Alain de Benoist. Anzi, per dirla tutta, Isabel, nato nel 1978, rappresenta – insieme al quasi coetaneo Charles Champetier, autore del saggio sociologico Homo consumans – la nuova leva intellettuale del movimento di pensiero espresso dagli anni dagli ambienti del Grece debenoistiano. L’intuizione fonda mentale che attraversa Il campo del possibile è intanto la constatazione che la realtà sociale contemporanea manifesta uno squilibrio che assume la forma di una turba maniaco-depressiva. L’approccio alla società è, ancor prima che economico o strutturale, innanzitutto di natura esistenziale e, da questo punto di vista, emergono in tutta evidenza la de-strutturazione delle relazioni esistenziali e il disagio umano nell’Occidente contemporaneo. Per quanto riguarda l’affaccio sulla dimensione politica, il saggio di Isabel si qualifica soprattutto – come accennavamo all’inizio – per la risignificazione semantica della prospettiva populista. «Si tratterebbe – osserva nel capitolo intitolato, non a caso, “Per un’alternativa popolare” – di restituire un contenuto alle rivendicazioni del popolo e di canalizzarle in una direzione che non sia soltanto di protesta, ma costruttiva». Un lavoro preliminare che chiarirebbe i contorni esatti del dibattito politico-culturale nell’epoca della globalizzazione e che non lascerebbe il monopolio di una prospettiva postideologica a posizioni estremiste o antipolitiche.
In questa chiave Isabel invita a riappropriarsi della lezione teorica di Christopher Lasch, studioso americano che – per primo – ha formulato una teoria positiva del populismo, manifestando una esplicita volontà di rompere con gli stessi luoghi comuni della politica post-novecentesca. Lasch faceva infatti appello alla rinascita di una tradizione che si fondava sull’ideale regolativa della democrazia partecipata.
Non c’è una sola accezione di populismo, insomma. «L’espressione – annota Isabel – serve abitualmente a designare un atteggiamento politico demagogico che offrirebbe ai rancori e alle angosce del momento solo soluzioni semplicistiche ed esageratamente contestatariee, mischiate a un fondo di anti-democraticismo fascistoide più o meno dissimulato. Tuttavia, il vero populismo è cosa ben diversa, e la fortuna perlomeno negativa dell’etichetta attesta il disprezzo riservato da molto tempo dagli intellettuali alle correnti che hanno manifestato la loro ostilità nei confronti del progressismo». Sul piano filosofico come su quello storico – è l’osservazione dell’autore de Il campo del possibile – il populismo costituisce di fatto una rinascita del repubblicanesimo dell’antichità e del Rinascimento e troverebbe di conseguenza le sue prime influenze in Aristotele e in Machiavelli. Per poi proseguire con Thomas Jefferson, Proudhon, Emerson, Thoreau, Ezra Pound e, appunto, Lasch. «Le principali preoccupazioni di questi autori – annota Isabel – scaturiscono dalla convinzione secondo cui la “virtù” fosse l’oggetto della cittadinanza: ne risultava la certezza che ogni sistema politico dovesse essere giudicato in base alle qualità di spirito e di carattere che può suscitare».
Al centro di questa prospettiva c’è l’importanza congiunta della solidarietà comunitaria e dell’indipendenza economico-politica delle singole persone. È la visione politica propria, negli Stati Uniti e anche in Europa, dei ceti medi e popolari, degli artigiani, dei piccoli commercianti e produttori, degli agricoltori... E c’è la naturale e spontanea opposizione alle burocrazie e alle banche, allo strapotere delle questure e del fisco... Cristopher Lasch fa anche l’apologia della mentalità contadina, «perché vi vede un’accettazione serena dei limiti inerenti all’esistenza, che rimette radicalmente in discussione l’ottimismo progressista e si situa sulla scia di una visione eroica incarnata ed espressa da Emerson, Proudhon, Peguy, Sorel...
Isabel ci spiega che il recupero di queste autentiche istanze populiste conduce direttamente a un’idea di “democrazia diretta” fondata sull’autonomia delle persone. «L’autentico populismo – precisa – non attende che un leader carismatico più o meno intenzionato si imponga come portavo ce dei senza voce. In un’ipotesi del genere, ammettendo che la volontà del capo sia effettivamente conforme a quella della base, gli interessi oggettivi del popolo saranno certo preservati, ma i cittadini non portavomanifesteranno la loro autonomia, che sarà loro in un certo senso negata». Ecco, allora, che in una sana “alternativa popolare” quale quella delineata da questa tradizione di pensiero politico, la difesa dell’autonomia dei cittadini e la loro messa in guardia contro il governo delle burocrazie e delle élite passa necessariamente attraverso una maggiore partecipazione alla vita delle città. Si tratta di una difesa della democrazia diretta che – annota il nostro autore – trova la sua leggitimazione in presupposti filosofici dionisiaci e tragici, profondamente europei, tutt’altro che illuministici o contrattualistici. E da questo punto di vista salta un altro stereotipo negativo: si dice spesso che il populismo sia colmo di rancori e risentimento. Qui, invece, emerge tutt’altro...
C’è poi, seguendo la ricostruzione de Il campo del possibile, un suo apparentamento con il libertari smo, «con il quale mantiene una innegabile vicinanza a causa del suo anti-statalismo e della sua critica all’eccessiva industrializzazione ».Ugualmente essenziali, inoltre, «tenendo conto del rispetto dell’autonomia, al contempo nei confronti delle banche e dello Stato, le società di mutuo soccorso, le cooperative e tutti i sistemi di reciproca assistenza autogestiti atti ad assicurare alle persone una sicurezza contro le avversità senza avvantaggiare un organismo finanziario né passare attraverso un’amministrazione centrale burocratica ». Il merito di questo populismo, annota Isabel, rispetto al vecchio capitalismo e al comunismo è inoltre di prospettare un percorso senza cedere né all’individualismo utilitarista né al collettivismo burocratico: «Versante politico ed economico di una visione personalista delle relazioni umane, il pensiero populista potrebbe farsi valere oggi come valida alternativa ». È una prospettiva – anche politica – che Isabel tratteggia attraverso Nietzsche, Emerson, il padre del libertarismo americano Thoreau, arrivando a Henry Miller, John Steinbeck, Frank Capra...
Vale la pena concludere con questa considerazione di Isabel: «Certo, il mondo antico non era perfetto, e il mondo moderno, viceversa, resta qualcosa di più di un campo di rovine. Tuttavia, se gli antichi fossero tra noi, forse ci direbbero che non dobbiamo lasciarci abbattere dalla miseria dei tempi. È dunque permesso sperare: per gli uomi e le donne d’azione, ancorati nella vita delle città, questo vuol dire prendere il meglio del tempo in cui vivono, volgere uno sguardo sul passato e tentare di costruire collettivamente, con prudenza e coraggio, il loro avvenire».
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia.
2 commenti:
Da leggere, mi sa. Assolutamente.
Senza il "mi sa"!
:)
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