Articolo di mercoledì 08 luglio 2009
Da Il Giornale
La polemica Tra Moretti e Bombolo le vie del cinema sono infinite
di Redazione
La sinistra che litiga con se stessa, che si avvita in interminabili cervellotici processi di autocoscienza, ha smesso di interessare per eccesso d’offerta. Ci sono però dei piccoli episodi che hanno tanto da raccontare.Come questa invettiva: buttiamo al mare il cinema impegnato e ossessionato dal messaggio che deve offrire agli spettatori, che barba che noia, e riscopriamo il valore della commedia. Se a dirlo fossero Massimo Boldi, uno scudiero del parco Vanzina, un dirigente della televisione commerciale, un politico di centrodestra o, tutt’al più, qualche genio del caratterismo italiano, non staremmo a parlarne. Ma se a dichiararsi stufa della «dittatura del messaggio», del «perpetuo ricatto dell’argomento nobile, dell’impegno da sventolare nell’arte in genere e nel cinema in particolare» è Laura Morante, ovvero la musa ispiratrice di tante pellicole di Nanni Moretti e che certamente a Moretti deve gran parte della sua fortuna d’attrice, tiriamo il freno a mano e riflettiamo. La protagonista di Bianca o La stanza del figlio l’altra sera alla Milanesiana è stata chiara: «Ai festival le commedie sono al bando, chi non arriva con temi forti, esplosivi, ha poche chance». Allora, così come i generi di intrattenimento o la letteratura leggera alla Moccia sono condannati pregiudizialmente dai critici a essere buttati nel cestino, allo stesso modo la commedia, pure quella d’autore, non piace ai custodi del cinema snob. Ecco, la Morante non lo dice e chissà se lo pensa, questa difesa della «leggerezza dell’essere» cinematografico, diciamo così, l’appello a fare film che divertano oltre che richiedere al pubblico lo sforzo di immergersi nella profondità del messaggio etico, politico e civile che vogliono consegnare, questa esternazione liberatoria può essere recapitata proprio a Moretti, che del cinema d’impegno è icona incontrastata. L’eterna icona fantozziana del «No, il dibattito no!» s’affaccia a gran carriera sulle ombre dei progressisti amanti del cinema colto perché impegnato, e impegnato perché naturalmente di sinistra.E caso vuole che la Morante esterni nello stesso giorno in cui Elena Di Cioccio, la vulcanica presentatrice di Stracult, al grido di «Meglio Banfi che Moretti» spiega perché la sua trasmissione ambisce a rivalutare il cinema cosiddetto trash, quello che ha fatto sganasciare o ha turbato i sensi delle generazioni degli anni Settanta. Il cinema pecoreccio, dice Di Cioccio, «è stato un genere basso che ha dato la possibilità di fare prodotti alti. I film popolari hanno fatto cassa e abituato la gente ad andare al cinema. Piano con gli snobismi...». Christian Uva e Michele Picchi in Destra e sinistra nel cinema italiano (Edizioni Interculturali) si erano già divertiti a esplorare le rivalutazioni a sinistra del poliziottesco o dei fratelli Vanzina e, a destra, dei film di Virzì o Muccino. E allora viva Alvaro Vitali, Bombolo, le cosce della Bouchet, allenatori nel pallone e sante Ubalde, scoregge e parolacce distribuite sugli sketch indimenticabili di un Banfi, appunto.Forse, ci toccherà difenderlo, Moretti, dall’assalto dei supporter del cinema disimpegnato, disinibito e a tratti sbrindellato. In verità, due anni fa questo aveva scritto Roberto Alfatti Appetiti sul Secolo d’Italia: «Ha fatto film importanti, che hanno saputo raccontare - con sarcasmo feroce ma anche con malinconica autoironia - i tic e i luoghi comuni che hanno afflitto più generazioni, da quella sessantottina al travaglio del periodo post-ideologico». L’«appropriazione indebita» non era però piaciuta a qualche politico di destra che a Moretti non perdonava lo stile troppo militante.
La polemica Tra Moretti e Bombolo le vie del cinema sono infinite
di Redazione
La sinistra che litiga con se stessa, che si avvita in interminabili cervellotici processi di autocoscienza, ha smesso di interessare per eccesso d’offerta. Ci sono però dei piccoli episodi che hanno tanto da raccontare.Come questa invettiva: buttiamo al mare il cinema impegnato e ossessionato dal messaggio che deve offrire agli spettatori, che barba che noia, e riscopriamo il valore della commedia. Se a dirlo fossero Massimo Boldi, uno scudiero del parco Vanzina, un dirigente della televisione commerciale, un politico di centrodestra o, tutt’al più, qualche genio del caratterismo italiano, non staremmo a parlarne. Ma se a dichiararsi stufa della «dittatura del messaggio», del «perpetuo ricatto dell’argomento nobile, dell’impegno da sventolare nell’arte in genere e nel cinema in particolare» è Laura Morante, ovvero la musa ispiratrice di tante pellicole di Nanni Moretti e che certamente a Moretti deve gran parte della sua fortuna d’attrice, tiriamo il freno a mano e riflettiamo. La protagonista di Bianca o La stanza del figlio l’altra sera alla Milanesiana è stata chiara: «Ai festival le commedie sono al bando, chi non arriva con temi forti, esplosivi, ha poche chance». Allora, così come i generi di intrattenimento o la letteratura leggera alla Moccia sono condannati pregiudizialmente dai critici a essere buttati nel cestino, allo stesso modo la commedia, pure quella d’autore, non piace ai custodi del cinema snob. Ecco, la Morante non lo dice e chissà se lo pensa, questa difesa della «leggerezza dell’essere» cinematografico, diciamo così, l’appello a fare film che divertano oltre che richiedere al pubblico lo sforzo di immergersi nella profondità del messaggio etico, politico e civile che vogliono consegnare, questa esternazione liberatoria può essere recapitata proprio a Moretti, che del cinema d’impegno è icona incontrastata. L’eterna icona fantozziana del «No, il dibattito no!» s’affaccia a gran carriera sulle ombre dei progressisti amanti del cinema colto perché impegnato, e impegnato perché naturalmente di sinistra.E caso vuole che la Morante esterni nello stesso giorno in cui Elena Di Cioccio, la vulcanica presentatrice di Stracult, al grido di «Meglio Banfi che Moretti» spiega perché la sua trasmissione ambisce a rivalutare il cinema cosiddetto trash, quello che ha fatto sganasciare o ha turbato i sensi delle generazioni degli anni Settanta. Il cinema pecoreccio, dice Di Cioccio, «è stato un genere basso che ha dato la possibilità di fare prodotti alti. I film popolari hanno fatto cassa e abituato la gente ad andare al cinema. Piano con gli snobismi...». Christian Uva e Michele Picchi in Destra e sinistra nel cinema italiano (Edizioni Interculturali) si erano già divertiti a esplorare le rivalutazioni a sinistra del poliziottesco o dei fratelli Vanzina e, a destra, dei film di Virzì o Muccino. E allora viva Alvaro Vitali, Bombolo, le cosce della Bouchet, allenatori nel pallone e sante Ubalde, scoregge e parolacce distribuite sugli sketch indimenticabili di un Banfi, appunto.Forse, ci toccherà difenderlo, Moretti, dall’assalto dei supporter del cinema disimpegnato, disinibito e a tratti sbrindellato. In verità, due anni fa questo aveva scritto Roberto Alfatti Appetiti sul Secolo d’Italia: «Ha fatto film importanti, che hanno saputo raccontare - con sarcasmo feroce ma anche con malinconica autoironia - i tic e i luoghi comuni che hanno afflitto più generazioni, da quella sessantottina al travaglio del periodo post-ideologico». L’«appropriazione indebita» non era però piaciuta a qualche politico di destra che a Moretti non perdonava lo stile troppo militante.
Ma in questa discussione, e nelle stesse parole della Morante, si danno per scontate due cose: che il cinema «impegnato» deve avere per forza una connotazione politica, e che la connotazione politica deve essere per forza di sinistra, mentre la destra insegue solo il cinema del disimpegno e dello svago. Bellocchio contro Bombolo, sinistra contro destra, impegno contro svago, tanto per cambiare. Sarebbe arrivato il momento, invece, di pensare che – è il caso di un film come Gomorra, che non è proprietà privata di qualche corrente ideologica – l’Italia dovrebbe esser pronta per fare cinema di impegno sociale e di mobilitazione civile, su temi caldi come il dramma dell’immigrazione clandestina, la criminalità organizzata o, per dire, lo sfilacciamento delle solidarietà familiari, senza per forza agitare bandierine politiche. Ne guadagna la qualità del prodotto e l’aria che tira nell’industria culturale.
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