Dal Secolo d'Italia di giovedì 24 settembre 2009
L’Iran "non rappresenta una minaccia per gli Stati Uniti". Parola di Ahmadinejad. Non l’abbiamo mai pensato, a dire il vero. La minaccia non è l'Iran, ma il suo focoso presidente. E i più minacciati non sono gli americani ma proprio gli iraniani. A cominciare dagli oppositori di Ahmadinejad: i più fortunati, si fa per dire, sono finiti in galera, ché di molti non si hanno più notizie. A questa situazione, tutt’altro che pacificata, si aggiunge l’ennesima offensiva oscurantista. L’agenzia Irna è di ieri: la polizia per la morale islamica ha avviato una nuova campagna contro la corruzione. No, non è il sistema politico a finire sotto la lente degli inquirenti, ma i negozi di abbigliamento. Più esattamente le vetrine: non sarà tollerata l’esposizione di cravatte o papillon, simboli della deprecata decadenza occidentale. Né sarà ammesso l’uso di manichini giudicati provocanti. Sembra di essere tornati al 1979, quando a Teheran quelle scostumate delle donne inanimate furono spedite nei magazzini per un restayling. Gli orli delle gonne vennero allungati a coprire le gambe. Non solo: la testa con la folta e peccaminosa chioma cedette il posto a un’inespressiva sagoma di cartone senza occhi né sopracciglia. E se questa fu la sorte dei manichini dopo la rivoluzione, il peggio, per le iraniane in carne e ossa, doveva ancora arrivare. Per evitare carcere e legnate era bene evitare lo smalto sulle unghie, le scarpe della Reebok ai piedi o un sospetto di rossetto sulle labbra. Ce l’ha raccontato benissimo Marjane Satrapì in Persepolis. Singolare destino per un popolo culturalmente vivace quanto legittimamente esasperato dal vivere con il fiato dei fanatici paramilitari che vigilano sul rispetto della moralità pubblica sul collo. A noi non resta che tenere i riflettori accesi.
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