Dal Secolo d'Italia di mercoledì 23 settembre 2009
Nel 2001 si parlò molto della nave libertaria Freedomship. Più che a un bastimento o uno yacht, Freedomship doveva somigliare nei propositi dei suoi ideatori a una chiatta di mastodontiche proporzioni con annessi grattacieli galleggianti. I capitali di provenienza norvegese: infatti è un pool di imprenditori di Oslo che ha deciso di investire somme considerevoli nell’impresa. L’obiettivo era di far incrociare perennemente Freedomship in acque extraterritoriali, trasformandola in una mini Repubblica galleggiante senza nessuna legge imposta dall’esterno, dando vita a una concreta utopia.
Ma a dire il vero, la Repubblica galleggiante scandinava non vanta affatto la primogenitura in questo versante. Intanto, esiste da tempo anche un libero atollo del Pacifico chiamato Oceania, oltre a una grintosa città tutta privata che sta in Costarica. Traguardo condiviso da tutte queste esperienze è l’eliminazione delle tasse e di ogni coercizione burocratica. Ma a rileggere bene le cronache e stando a un ritrovamento dello scorso luglio il primato, anche in queste esperienze, è tutto italiano. Sono infatti stati ritrovati i resti dell’Isola delle Rose, una delle più bizzarre e originali sperimentazioni del nostro Sessantotto. «Noi eravamo completamente indipendenti», ci dice al telefono da Bologna l’ingegner Giorgio Rosa, animatore, progettista e direttore dei lavori di quell’isola che non c’è più. «Ci lavorammo tre anni – aggiunge – e la inaugurammo il 1° maggio 1968».
Ha scritto Marco Imarisio sul Corriere della Sera: «Nell’anno che doveva cambiare il mondo con la fantasia al potere, in Italia l’uomo che più si è avvicinato alla realizzazione dell’utopia e che oggi viene riscoperto come simbolo di una indomabile volontà anarchica, è stato un pragmatico ingegnere bolognese». Classe 1925, laureatosi nel 1950, era nell’Italia della metà dei Sessanta un quarantenne non allineato, al di fuori, dice, «di tutte le consorterie allora egemoni», figlio di un ufficiale dell’esercito, discendente di una famiglia di militari giunta in Italia nel 1400, a sua volta prima giovanissimo soldato nella Rsi, poi – come tanti altri coetanei, a cominciare dallo scrittore Giorgio Soavi – anche disertore per intrinseca refrattarietà all’inquadramento. «Io credo – precisa – nella libertà senza declinazioni o aggettivazioni. In quell’Italia democristiana di allora mi resi conto che era impossibile essere liberi, far le cose da soli, senza condizionamenti o compromessi. E il mio progetto era proprio quello di costruire una realtà che fosse libera da lacci e da laccioli oltre a non costare troppo ». Una visione del mondo e delle cose a cui ha sempre tenuto fede. Senza nessun cedimento nei confronti della doppia egemonia cattolico- conservatrice e comunista. Tanto che Giorgio Rosa ha votato solo due volte: per Berlusconi nel ’94 e per Guazzaloca nel ’99. Come a dire, lo ha fatto solo quando ha sentito evocare il richiamo alla libertà.
In quel 1968, «siccome vedevamo nella libertà qualcosa – aggiunge – che doveva restare nel ricordo della gente, realizzammo l’Isola delle Roc se: una struttura di tubi in acciaio saldati a terra e appoggiati sul fondale marino, sulla quale poggiava un piano in laterizio, quattrocento metri quadrati di superficie a disposizione dei giovani...». Il tutto collo ato sull’Adriatico al largo di Rimini, a undici chilometri al largo della costa italiana, la piattaforma confinava con acque internazionali a eccezione del lato sud-ovest. «Diciamolo », ammette oggi, «ogni essere umano libero e formatosi sull’idea e la pratica della libertà sogna di fondare uno Stato indipendente». E quindi quel 1° maggio nasceva, con atto unilaterale, la Repubblica dell’Isola delle Rose, “Insulo de la Rozoj” in esperanto che venne adottato come lingua ufficiale di quell’utopia libertaria realizzata: «Ci siamo davvero divertiti con i miei amici, definemmo anche il governo dell’Isola composto da sei di noi, fu una vera avventura, mangiavamo, bevevamo, ascoltavamo musica, volevamo anche aprire un bar e un ristorante... ».
Il nuovo stato fece in tempo a stampare i suoi francobolli (oggi una rarità ricercatissima dai collezionisti), si pensò anche di battere moneta, ma si scatenò l’offensiva dei benpensanti. Il ministro dell’interno, il democristiano Paolo Emilio Taviani, parla ad esempio di un «grave pericolo». La destra parlamentare dell’epoca arriva addirittura a evocare la «violazione del suolo patrio». Il servizio segreto militare denuncia la possibilità che l’Isola possa essere una base camuffata per l’attracco dei sommergibili dell’Urss. Ma anche il parlamentare comunista Renato Zangheri, il futuro sindaco di Bologna che chiederà l’esercito per contrastare il movimento del ’77, sostiene che dietro il progetto potesse nascondersi una manovra destabilizzante dell’albanese filo-cinese Enver Hoxha. Sul l’Isola, intanto, venne girato un bel documentario e anche allestito uno spettacolo teatrale. «La libertà fa proprio paura», commenta oggi Rosa, «e in quell’Italia per i democristani e per i preti, diffidenti come erano di chiunque volesse essere libero, fu facile scatenarci tutto contro e alla fine farci fuori». Mentre Rimini si riempie di giornalisti e giovani di tutto il mondo, era il periodo degli hippy e dei ragazzi “on the road”, il 24 giugno dieci pilotine con a bordo tanti poliziotti e carabinieri circondano l’isola e ne prendono possesso. Quasi un atto di guerra.
L’epopea dell’ingegnere e dei suoi amici durò solo cinquantacinque giorni. «Quando il Consiglio di Stato diede parere favorevole alla demolizione, non facemmo ricorso. Ma io – ci dice con un pizzico di nostalgia Giorgio Rosa – da allora non sono più tornato a Rimini». L’Isola fu distrutta dagli artificieri della Marina con 1.080 chili di dinamite il 13 febbraio e dieci giorni dopo finiva affondata per una burrasca.
Ma l’esperimento è rimasto nell’immaginario. All’Isola è stato uno spettacolo teatrale nel 2008 e un altro è in allestimento, c’è un gruppo su Facebook, c’è una installazione al museo di Vancouver che la mette a confronto con l’utopia di Tommaso Moro, mentre alcuni libertari progettano di riprovarci con una nuova libera Repubblica dal nome di Isola di Eden. «In Gran Bretagna – conclude l’ingegnere – tentarono un progetto analogo, Sealand. E loro vinsero la loro battaglia con le istituzioni. Ma in Italia, si sa, la libertà ha sempre fatto paura...».
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia.
Nessun commento:
Posta un commento