martedì 15 settembre 2009

"Savana Padana" di Matteo Righetto: è la nuova narrativa a spiegare il nord-est

Dal Secolo d'Italia di martedì 15 settembre 2009
«Non voglio che i negri mi tocchino!». Livio Strumendo, 56enne impresario edile di Portogruaro, comune della provincia di Venezia, piuttosto che farsi medicare dall’infermiera congolese, avrebbe messo a ferro e fuoco il reparto del Centro Ustioni dov’è ricoverato in seguito a un incidente. «Tutti a casa, Bossi ha ragione», avrebbe urlato – il condizionale è d’obbligo – scagliando un computer a terra e strappandosi le bende prima di essere sedato dal personale medico. È successo venerdì notte al Policlinico di Padova. Profondo nord e pregiudizi radicati. Altro che integrazione e apertura ai nuovi cittadini. L’insofferenza nei confronti degli immigrati di colore ha raggiunto il disco rosso. Vanno aiutati, sì, ma a casa loro, come ha ribadito il leader della Lega. Poco importa se Isabel, l’infermiera quarantenne in questione, sia in Italia da anni e abbia dimostrato di saper fare il proprio lavoro. Faccia le valigie. Raccolga i suoi stracci e tolga il disturbo. E come se non il clima non fosse già abbastanza arroventato, Bossi già ha annunciato per l’anno prossimo una nuova iniziativa: dare vita a una catena umana sul Po, un atto che dovrebbe simboleggiare una barriera contro l’immigrazione.
A restituire il ritratto di un nordest che, malgrado il benessere economico, continua a presentare preoccupanti segnali di chiusura, per non dire di grettezza, è Matteo Righetto – giovane narratore padovano già autore di apprezzate pubblicazioni per l’infanzia – nel suo Savana Padana (Editrice Zona, pp. 120 € 13), da poche settimane in libreria. Il suo è il primo romanzo “sugarpulp”, come l’autore ha battezzato la corrente letteraria che ha recentemente fondato col conterraneo Matteo Strukul, giovane consulente editoriale e critico musicale, autore del saggio Il cavaliere elettrico. Viaggio romantico nella musica di Massimo Bubbola (Meridiano Zero, pp. 287, € 15). Il progetto è spudoratamente ambizioso: rompere le geometrie narrative attraverso la contaminazione dei generi più diversi – western, pulp, noir, folk e quant’altro – e soprattutto coniugare un certo stile di scrittura made in Usa – rapido, veloce, cinematografico – rappresentato dalle opere di Cormack McCarthy, Victor Gischler e Joe Lansdale, con i paesaggi epici, la realtà sociale e i sapori di un Veneto selvaggio che sembra richiamare le suggestioni, la cultura contadina e le grandi estensioni del Texas. Tanto che il logo del visitatissimo sito del movimento – www.sugarpulp.it – è la raffigurazione stilizzata della sezione della barbabietola da zucchero, prodotto di punta della bassa padana, motore dell’economia locale. L’idea è quella di scrivere storie che nascono dalla terra. Storie piene di polpa, per l’appunto. Il lettore è avvisato: non avrà modo di annoiarsi. «Vogliamo realizzare qualcosa di diverso – ci spiega Righetto – dalle autoreferenziali contemplazioni dell’ombelico che caratterizzano buona parte della produzione dei sopravvalutati autori italiani, qualcosa che metta insieme gusto dell’azione e arte della narrazione. Il nostro intento – continua Righetto – è creare un vivaio di appassionati della scrittura che vogliano dare vita a una narrativa giovane, fresca, dinamica, che racconti storie slabbrate, rischiose, piene di humor nero, legate al nostro territorio, così vivo eppure incredibilmente trascurato dai produttori d’inchiostro». E le adesioni fioccano, le aspirazioni si materializzano. Sul sito, inaugurato a gennaio con un’intervista inedita a Pedro Juan Gutierrez, il Bukowski cubano, si alternano recensioni a romanzi e fumetti e consigli di lettura con racconti veneto… americani. Sì, perché se una volta c’era il West adesso è la volta del Nordest. La prospettiva – dichiaratamente ispirata al maestro dello spaghetti-western Sergio Leone – è proprio quella di creare e soprattutto consolidare un genere nuovo: il western in salsa padana o anche polenta western. Di cui Savana Padana si propone come l’opera prima. I fans del “gruppo” appositamente aperto su facebook sono cinquecento e il numero è destinato a crescere in un passaparola che ha già reso il romanzo un vero e proprio “caso letterario” del social network.
Il dibattito, quanto mai attuale, è aperto. La realtà sociale rappresentata da Righetto, sia pure filtrata da una consapevole chiave fumettistica e da uno spiccato gusto per la provocazione, è una giungla in cui gli uomini, loro malgrado, finiscono per “animalizzarsi” proprio come i grandi mammiferi della Savana. Non è certo un caso se i malavitosi, equamente distribuiti tra veneti, zingari e cinesi – perché non ci sono buoni e cattivi ma, semmai, cattivi e supercattivi – hanno soprannomi come il Bestia e il Tigre. Il primo a comparire in scena e subito impegnato a occultare un cadavere, del resto, è Berto, «uomo di poche parole e tante bestemmie al punto di essere soprannominato “Sacramento”». Malgrado, va detto, fosse devoto della Madonna di Monte Berico e solo di quella, ché le altre sono straniere e, come tali, prive di interesse. La location, infatti, è determinante: il Brenta da una parte, il Piovego dall’altra. Due corsi d’acqua che stringono a tenaglia una terra piatta umida e tignosa dove l’afa d’estate è mortifera. Tra queste campagne c’è l’apparentemente sonnolenta San Vito Oltrebrenta. Una chiesa, tre condomini e qualche villetta su una strada lunga e dritta che spacca in due l’intero paese. Un bar da una parte e uno dall’altra, uno contro l’altro armati. Meglio: tutti contro tutti. Delinquenti locali, la sgangherata quanto spietata gang dei tosi, e mafiosi cinesi che nascondono i loro traffici loschi dietro il paravento di attività commerciali. A rompere il fragile equilibrio ci penseranno gli zingari, che ogni 13 giugno arrivano da ogni parte d’Europa per onorare Sant’Antonio (devoti, come sono) e profittano dell’occasione di festa per saccheggiare le case inabitate. Ma stavolta commetteranno l’errore di rubare nella villa sbagliata e da lì prenderà il via un’escalation di violenza, una girandola impazzita di ritorsioni e omicidi in una sorta di delirio collettivo. Fedele alla linea sugarpulposa, nel romanzo non manca il ricorso al dialetto, lingua principale dei protagonisti. Il che non significa che l’autore apprezzi l’idea leghista dell’introduzione del dialetto nelle scuole né dei test cui i professori “terroni” dovrebbero sottoporsi per iscriversi all’albo apposito. Anzi. «Intendiamoci, io parlo bene i dialetti veneti, ma insegnando lingua e letteratura italiana, non vedo perché dovrei sostenere un test in dialetto per poter svolgere il mio mestiere – puntualizza – e poi sarebbe come far fare un corso di volo a vela a un pescatore di trote. Anziché insegnare il dialetto ai docenti si insegni piuttosto l’italiano agli studenti, che qui parlano tutti il dialetto come prima e a volte unica lingua. Stesso discorso per l’inno nazionale, che non è un’acconciatura o un pullover che si possono cambiare in base allo stato d’animo o alla convenienza politica del momento. La Lega fa male a strizzare l’occhio alla fascia più retrograda dell’elettorato e dimostra di non fare l’interesse del popolo. E sbaglia Feltri. Ho trovato del tutto fuori luogo l’attacco populista a Fini pubblicato sul Giornale – conclude – che mi è sembrato un disegno premeditato e ben preciso mirato a zittire l’unico politico del Pdl in grado di proporre una destra laica, moderna, liberale, europea, che è proprio quello di cui ha bisogno l’Italia in questo momento».

3 commenti:

Giacomo Brunoro ha detto...

Ottimo articolo, come il libro di Matteo del resto!

Jessica V. ha detto...

Molto interessante...

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Grazie! :-)