lunedì 26 ottobre 2009

Ricordando Nino Rota. Quando la musica pop accarezza le emozioni (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 25 ottobre 2009
Nino Rota si presta all’equivoco: è il musicista di formazione classica, con tutta la preparazione accademica che vi si accompagna, che esce di slancio dal mondo sussiegoso della musica colta e si proietta in quello accomodante della musica pop. Mentre tanti suoi colleghi si inoltrano tra i ghiacciai dell’avanguardia, dove tutto è concetto e la commozione è il più indesiderato degli ospiti, lui passeggia beato al sole delle emozioni. Non è che non conosca i loro strani viaggi e che non sia perfettamente in grado di leggere le loro mappe. È che quel genere di paesaggi non gli piacciono proprio. Tanta fatica per aggirarsi in uno scenario così inaridito. Per tornare indietro con quelle sculture di ghiaccio fin troppo ambiziose e fin troppo fragili, che vanno custodite e contemplate in ambienti altrettanto gelidi. La sua natura è un’altra. Le sue intenzioni sono completamente diverse: non vuole stupire i cervelli; vuole conquistare i cuori. Compone musiche per il cinema e lo fa con passione: non è un lavoro ben pagato da fare per convenienza. È l’occasione di entrare nell’immaginario collettivo sull’onda dei sogni a occhi aperti generati dai film. Innanzitutto quelli di Federico Fellini, che gli attribuì quel delizioso soprannome di “amico magico”, ma anche di Lina Wertmuller e di Luchino Visconti; e ovviamente di Francis Ford Coppola, di cui firmerà, con straordinario successo, la colonna sonora de Il Padrino.
Anche gli Avion Travel si prestano all’equivoco: sono i musicisti autodidatti che partono senza nessuna credenziale e, nonostante tutto quello che possono fare in seguito, continuano a dover fare i conti col pregiudizio snob di chi vede la cultura a compartimenti stagni. Che siano stati bravi glielo si può anche riconoscere, ma sempre a posteriori. Il fatto che questa volta sia andata bene non implica mai un riconoscimento definitivo. È stata “questa volta”, appunto. Il tiro azzeccato di un giocatore volenteroso, piuttosto che la conferma di un talento indiscutibile. All’appuntamento successivo si ricomincia: se si cimentano di nuovo in qualcosa di diverso dalle semplici canzoni, devono dimostrare daccapo che non si tratta di velleità da parvenu ma di digressioni consapevoli e del tutto legittime. Ispirate da un coinvolgimento sincero e temprate da uno studio accurato. Non la solita musica leggera che si alza in punta di piedi nel tentativo, puerile, di guadagnare qualche centimetro: la musica leggera che si è nutrita come si deve e che ora può allungare le mani sugli scaffali più alti, dove riposano gli spartiti di maggior pregio.
Nino Rota è scomparso nel 1979. Gli Avion Travel si sono formati nel 1980. Il trentennale di una morte a ridosso del trentennale di una nascita. Una coincidenza che resta una coincidenza, ma che vale un presagio. Quando Caterina Caselli, loro scopritrice e ancora oggi loro discografica e mentore, ha avanzato la proposta di rendere omaggio a Rota, loro sono stati i primi, a rimanere sorpresi. Però lo hanno capito in fretta, che era un’ipotesi affascinante. E che, al di là delle sue intrinseche difficoltà, meritava di essere seguita fino a portarla a compimento. «Abbiamo affrontato il lavoro con un certo timore – dice il cantante Peppe Servillo – ma poi i classici di Rota ci hanno scaldato il cuore.» Si è trattato, aggiunge il chitarrista Fausto Mesolella, di «una produzione particolare, preceduta da una lunga fase di studio, per entrare cautamente in un territorio talmente conosciuto da risultare sconosciuto».
La classica sfida delle cover, quando non si riducono a operazioni di facciata che hanno il solo scopo di sfruttare il successo altrui. L’inevitabile dilemma di come trovare la giusta distanza tra l’eccesso di cautela, che si appiattisce sull’originale, e l’eccesso di libertà, che dice tutto dell’interprete e più niente dell’autore. In aggiunta, a complicare le cose, ecco la scelta di estendere il tributo non a un singolo brano ma a un intero album. Nonché, ancora prima che il cd venisse pubblicato, a uno spettacolo teatrale che è andato in scena nel maggio scorso al Teatro degli Arcimboldi di Milano e nel quale la band (la “Piccola orchestra Avion Travel”, come amano autodefinirsi) ha suonato insieme a un’orchestra sinfonica vera e propria.
Gli Avion Travel ne sono usciti benissimo. In questa dimensione a metà strada fra raffinatezze da esteti e fremiti da popolani il gruppo si trova perfettamente a suo agio, raccogliendo a piene mani i frutti di un processo di affinamento che va avanti da almeno due decenni e che, ormai, è stato metabolizzato in profondità. C’è tecnica e c’è pathos. C’è meraviglia e c’è lucidità. Come scrisse Enrico Deregibus già nel 1998, all’indomani della partecipazione al Festival di Sanremo con la toccante Dormi e sogna, “costruiscono con un’anima bambina, ma non sulla sabbia. E si erge quella che un tempo si chiamava, semplicemente, bella musica. Ricca e delicata, ariosa e precisa, di grande perizia ma anche gioiosa, giocosa, gioconda, perché non si nega mai il gusto dell’intrattenimento nel suo senso più alto”.
È questo che rende così naturale l’incontro che avviene oggi con la musica di Nino Rota e col grande respiro dell’orchestra (anzi: dell’orchestrazione). È la consapevolezza che la stessa melodia si può rendere in tanti modi, con gradi crescenti di rifinitura. E di arricchimento. La melodia è la pietra preziosa che brilla di per se stessa, e senza la quale la montatura più sapiente rimane vuota come una cornice priva del quadro; ma la melodia da sola non è ancora un gioiello completo e pronto da indossare. La forza dell’orchestra è che le sue potenzialità aleggiano anche quando non si esprimono: ora suona solo un ottavino, ma tra un istante si libereranno gli archi, gli ottoni, i legni. La sua grande lezione è che abitua l’orecchio a una percezione più ampia e variegata, in cui non contano soltanto i primi piani ma anche i più minuscoli dettagli dello sfondo. La musica pop tende a schiacciare l’immagine, nell’ansia di colpire l’attenzione e farsi ricordare. La grande orchestra, se non è usata come un semplice sovrappiù (come accade di solito a Sanremo), le restituisce uno sviluppo tridimensionale. Gli Avion Travel lo hanno capito col tempo. Nino Rota lo sapeva dall’inizio.


Federico Zamboni, nato a Milano nel 1958 ma cresciuto a Roma, è giornalista e conduttore radiofonico. Tra il 1979 e il 1981, con lo pseudonimo di Claudio Fossati, ha tenuto una rubrica (quasi) fissa sul quindicinale “Linea”, dedicata a quella che allora si chiamava la “musica giovanile”. Dopo aver smesso di scrivere articoli per circa 15 anni, dedicandosi a tutt’altre cose, ha ripreso a pubblicare regolarmente nel 2000 su Ideazione.com. Attualmente, tra l’altro, cura la rubrica “Ad alto volume” sull’edizione domenicale del "Secolo d’Italia" e collabora al mensile “La voce del ribelle”, la neonata rivista diretta da Massimo Fini. Ogni lunedì sera, dalle 21 alle 23, conduce la trasmissione web “The Ghost of Tom Joad” su http://www.radioalzozero.net/.

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