Il Pantheon della nuova destra
Articolo di Simonetta Fiori
Da la Repubblica del 2 dicembre 2009
(pagina 60 sezione cultura)
«Lasciatemi divertire», invocava Palazzeschi nella sua stagione futurista, età di rovesciamentie terremoti ideali. «Lasciateci divertire» potrebbe essere lo slogan di una nuova destra culturale, libertaria e non autoritaria, riformatricee non conservatrice, democratica e non populista, che dell' eclettismo e del trasversalismo intellettuali fa una bandiera da innalzare contro quei musi illividiti del potere berlusconiano. Una destra che celebra il nomadismo esistenziale di Chatwin e Kerouac, adotta Albert Camus tra i propri Lari, rilegge classici come Tocqueville e Renan e cerca il dialogo a sinistra con Asor Rosa e Tronti, figure-simbolo dell'eterodossia. Geografie scompaginate, antichi altari rovesciati. Il nuovo firmamento culturale, frutto di ibridazione tra costellazioni diversissime, brilla dalle pagine culturali del Secolo d' Italia o dal web magazine di Farefuturo, la fondazione presieduta da Gianfranco Fini. E quanto a citazioni inusuali non manca di stupire Il futuro della libertà, il «breviario» civile appena vergato dal presidente della Camera. Tra gli storici non c' è Nolte, ma Hobsbawm e Ginsborg sì. Tra i maîtres à penser del Novecento grandeggia Hannah Arendt, neppure una nota a piè di pagina per Jünger e Schmitt. E al pensiero di von Hayek e Popper, assai in voga agli albori della destra berlusconiana, si preferisce il liberalismo di Raymond Aron e Isaiah Berlin, il primato della politica sugli spiriti animali dell' economia.
Il Pantheon della nuova destra democratica si rinnova, ma non è solo questione di busti e lumini. «L'aspetto più interessante del nuovo corso finiano», spiega lo storico Alessandro Campi, direttore scientifico di Farefuturo e consigliere assai ascoltato dal presidente della Camera, «non è tanto di aver sostituito alcuni nomi con altri, quanto l'idea che oggi si è liberi di dialogare con chiunque, alla ricerca di convergenze inedite e di altrettanto inedite nuove sintesi politiche e culturali». Non ci sono più confini o appartenenze da rispettare, ma nuove identità da costruire: con i materiali culturali messi a disposizione dal Novecento, nessuno escluso.
«Un'operazione seria e capillare, che non può essere liquidata come puro tatticismo», interviene Luciano Lanna, responsabile della politica culturale del Secolo d'Italia. «Siamo estranei all'antipolitica e al qualunquismo predicato dalla destra berlusconiana, a quell'enorme complesso di inferiorità che la condanna a subalternità. E nell'inventariare tutta la cultura politica novecentesca, cerchiamo un dialogo con chi si fa carico d'un destino comune, seppure su posizioni storicamente opposte alle nostre, ma dentro una tradizione nazionale». Perché noi possiamo capire Asor Rosa, titola la prima pagina del Secolo d' Italia. Perché io posso capire voi, replica lo studioso in una lettera privata, divenuta un articolo del quotidiano. «Un reciproco riconoscimento di minorità culturale, ciascuno nel proprio schieramento», così spiega Asor l' insolito confronto. «Un dialogo senza paure da parte nostra», aggiunge Campi. «Oggi ci si confronta con la sinistra culturale con grande libertà, senza finalità di legittimazione: non come accadeva 25 anni fa, quando l' attenzione di personaggi come Massimo Cacciari ed Enrico Filippini erano medaglie da appuntare sul petto». Ora il dialogo cresce nella convinzione che sia prezioso per il libero commercio delle idee. E nella gauche - da Miriam Mafai a Paul Ginsborg, da Biagio De Giovanni a Michele Salvati, da Barbara Spinelli ad Aldo Schiavone, - non sono poche le firme autorevoli che plaudono e incoraggiano la nuova destra culturale.
Asor Rosa suggerisce una prospettiva storica. «È in atto il tentativo inedito di creare un polo politico autonomo dal premier attraverso la revisione di categorie culturali e di valori. Nell' Italia di primo Novecento è esistita una poderosa cultura conservatrice o fieramente antiprogressista, che è stata poi spazzata via dal fascismo. Dalla Liberazione fino quasi alla fine del XX secolo, la cultura di destra ha stentato a sollevare la testa o perché identificata con il ventennio nero oppure perché incapace di fare i conti con quella eredità. La possibilità di riproporre una forte cultura democratica di destra - successiva all' atto celebrato da Fini a Fiuggi - è stata quasi subito travolta dall' avventura berlusconiana. Oggi assistiamo ai prodromi di una nuova elaborazione, fondata sul rispetto delle regole e delle istituzioni, sull' equo primato del pubblico sul privato, su un equo sentimento dell' identità nazionale. Un progetto da seguire con attenzione, anche se non può fermarsi agli articoli di giornale, ma deve produrre libri e ricerca autonoma».
Un progetto non a caso quotidianamente svillaneggiato o bersagliato a pallettoni dalle colonne del Giornale e di Libero, mentre "l'ateo devoto" Ferrara - ormai minoritario rispetto all'evoluzione terminale del berlusconismo - sembra guardare con interesse al tentativo di Fini di imporre anche in Italia una destra di stile europeo, e la contrappone positivamente alle «rotture culturali prepolitiche, istintuali, prelogiche» di quello che resta pur sempre l'Amor Suo ossia Silvio Berlusconi. «Interlocutore critico sì, ma non ostile», dicono del Foglio i fautori del nuovo corso finiano. Dai tempi biopolitici all' immigrazione, dai diritti civili al principio di laicità, dal patriottismo repubblicano alle questioni del femminismo, si delinea una «destra dei diritti e delle garanzie», così la definisce Aldo Schiavone, «in netta opposizione alla destra tremontiana e leghista, chiusa, arroccata e divisiva, che si pone fuori dalla tradizione repubblicanae costituzionale». Una destra acculturata, curiosa e trasversale che s' oppone a quella di governo che disprezza impudentemente il colto e rispolvera l' antico stigma di "culturame". «Ero in studio da Lerner», racconta Campi, «quando Bondi è sbottato: «Odio gli intellettuali!». Un' immagine proverbiale dell' impotenza del potere politico di tradursi anche in potere culturale».
Esemplare può sembrare lo stesso percorso degli ideologues della nuova destra finiana. Sia Campi che Lanna - professore universitario di Storia contemporanea il primo, allievo di Ernesto Galli della Loggia; direttore responsabile del Secolo d' Italia il secondo, laureato in filosofia con una tesi sul personalismo e autore di Fascisti immaginari - provengono dalla Nuova Destra, movimento attivo nei primi anni Ottanta sotto la guida di Marco Tarchi. Comune l'approdo alla metà degli anni Novanta a IdeAzione, la rivista organica a Forza Italia nata poco dopo il partito. «In una formazione politica plasmata sulla figura del leader», racconta Campi, «si cercavano nuove coordinate culturali. Era la stagione di Martino e Urbani, Vertone e Melograni, Colletti e Adornato. Su IdeAzione scriveva un liberalconservatore della finezza di Carlo Galli. Questa ricercaè andata esaurendosi. Da due anni IdeAzione non esce più. E Magna Carta, l'altro think tank berlusconiano, con la trasformazione di Gaetano Quagliariello da studioso di storia in militante militarizzato, ha perso ogni caratterizzazione intellettuale». Il vuoto culturale è evidente. «Il berlusconismo appare sempre più come un sistema di potere senza visione né disegno». L'ambizione della nuova droite finiana è di conquistare nel proprio schieramento l'egemonia delle idee e dell' immaginario. Aprendosi alla cultura pop, mescolando Fiorello e Pupi Avati, ma anche coinvolgendo nel progetto scrittori tradizionalmente estranei alla propria famiglia quali Scurati e Culicchia, De Carlo e Conte, o anche sostenendo con massicci contributi finanziari premi letterari del prestigio dello Strega.
Ma vi sono le condizioni per la conquista delle casematte? «Quando la stagione del postberlusconismo sarà ufficialmente inaugurata», risponde Schiavone, «lo scontro tra l'anima che ho definito "dei diritti e delle garanzie" e l'anima leghista e tremontiana sarà molto aspra. Ma se la prima non diventa maggioritaria, assisteremo inevitabilmente alla frattura di quello schieramento. E quindi alla fine del bipolarismo». Lasciateci divertire, invocano i ribelli colti della nuova destra. Ma in gioco, forse, è il futuro stesso della politica italiana.
SIMONETTA FIORI
SIMONETTA FIORI
3 commenti:
Ottimo articolo
Sì, davvero!
Non solo di "testa" è fatta la politica, non è solo riferimenti storici, culturali, esistenziali, mitologie e letteratura. Chi fonda un progetto solo su queste architravi, costruisce un edificio di scarsa solidità. La politica è anche "pancia", soddisfazione di bisogni, difesa dei redditi, consolidamento delle posizioni socioeconomiche, sacralità dei diritti individuali. Con la testa si possono solcare tutti i mari, cercare convergenze e commistioni ideologiche, soluzioni innovative, bizzarre e divertenti ipotesi di aggregazione. Ma poi si vota. E si vota con la pancia. MT
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