(intervista a Checco Zalone a cura di Michele De Feudis)
L'Italia ha una grande tradizione di comici passati con successo dalla televisione al grande schermo. L'archetipo resta il mito indiscusso di Massimo Troisi, irripetibile maschera del Sud profondo. Cado dalle Nubi, opera prima cinematografica di Checco Zalone, musicista e attore comico cresciuto nel vivaio di Zelig, nell'ultimo fine settimana ha sbancato i botteghini delle sale italiane. L'artista barese affronta il momento di notorietà con le armi della naturalezza. Ironia e semplicità restano le sue bussole, insieme ai consigli del regista della pellicola, Gennaro Nunziante (un originale creativo cresciuto nell'estrema sinistra). Nell'ottobre scorso aveva suscitato la curiosità del vicedirettore del Corriere della Sera, Pierluigi Battista, che gli dedicò un ritratto politico-sociologico: «Il parodista che fa della volgarità un'arte, della trivialità una costruzione sofisticatissima. E che scatena l'entusiasmo delle platee che si deliziano per le imitazioni, i doppi sensi espliciti, le rime oscene, Fabrizio De André come base musicale per le gesta della D'Addario a Palazzo Grazioli, Giovanni Allevi dileggiato come un povero demente e per giunta copione. YouTube è tutta per lui. È il nuovo fenomeno della scena televisiva». Complice il successo in zona Cesarini della squadra del cuore, il Bari (2-1 al Siena) con annesso salto in zona Europa League, abbiamo incontrato l'artista nel capoluogo pugliese dove era presente per incontrare i media in vista del lancio del suo film.
Checco, il campionato italiano ha incoronato la formazione rivelazione...
Sì, è la Bari. Non il Bari. Da noi si chiama al femminile. Il successo con il Siena cancella l'amarezza per la sconfitta sfortunata con la Roma di Totti... Io amo solo i biancorossi.
È un frequentatore abituale delle gradinate del San Nicola?
No. Ci sono andato due volte. La prima, il 15 settembre del 1991. Bari-Samp. Ricordo ancora il fallo che compromise la carriera del nostro idolo, il fantasista brasiliano Joao Paulo. L'autore dell'entrata criminale si chiamava Lanna... Poi ero sugli spalti il 18 dicembre del 1999. Altra data storica. Il giovanissimo Antonio Cassano mise a dormire la difesa dell'Inter, dribblò un certo Blanc e superò Ferron. Ero in curva. Una notte indimenticabile.
Il suo percorso artistico è stato segnato da canzoni dedicate al mondo del calcio.
Ai tempi dell'inchiesta di calciopoli, con Moggi che impazzava, provai a dare una scossa musicale all'ambiente. Composi "I juventini"... I bianconeri furono spediti tra i cadetti. Un testo esilarante.Tutto ruotava intorno alla seconda lettera dell'alfabeto... "Oggi porto mio figlio alla scuola, che ci devo cambiare sezione, non è giusto che tu resti lì, in Primo B", oppure "E ho stracciato dal muro quel poster, di Brigitte Bardot la mia amata BB". Voleva essere un invito a non prendersi troppo seriamente. Qualche tifoso bianconero si è arrabbiato ma il presidente della Juve, Giovanni Cobolli Gigli, chiamò il mio produttore per chiedere una copia del cd.
L'Italia è ostaggio del duello Lippi-Cassano. Inutile chiederle per chi parteggia...
Per Antonio. Tutta la vita. Il ct gli ha negato già per Italia-Irlanda delle qualificazioni la gioia di giocare al San Nicola, davanti al suo pubblico. Il calcio azzurro senza fantasia è poca cosa. Gli allenatori hanno le loro responsabilità. Devono fare le scelte. Ma insomma, il mio appello è questo: Lippi, avast, mitt a Cassan!
Proviamo a mettere Checco Zalone sulla panchina della Nazionale dei politici.
Va bene. A vostro rischio e pericolo.
Da dove iniziamo?
Dal ministro Sandro Bondi. Lo schiaffo subito tra le riserve. Ha una certa età.
Il governatore della Puglia Nichi Vendola?
Starebbe bene in barriera...Antonio Di Pietro?Perfetto come centrocampista rompiscatole.
Poi bisognerebbe trovare una collocazione in campo a Veltroni.
In politica non gli va tanto bene ultimamente...Numero dieci. Fantasista straordinario.
Al presidente della Camera...
Viste le sue ultime performance, Fini lo vedo bene come l'arbitro.
D'Alema?
Non può essere altro che un grigio mediano.
Dimenticavamo il premier, Silvio Berlusconi...
Nessuna maglia per il Cavaliere. Lui lo vedo a cena con le mogli dei calciatori...
Meglio fermarci qui. Di questo passo non salviamo nessuno.
Sulle notti di Palazzo Grazioli ho scritto una ballata sulle note di Fabrizio De André. Ora punto nell'altro campo, tra i santoni dell'opposizione. Il prossimo obiettivo è il signor Marco Travaglio.
Michele De Feudis è giornalista e scrittore, redattore di Epolis e collaboratore di varie testate tra cui il Secolo d'Italia. Scrive di libri, cinema, politica e calcio per quotidiani nazionali. Ha curato il libro Tolkien, la Terra di Mezzo e i miti del III millennio, edito da L'arco e la corte (Bari).
Catenaccio o calcio champagne? Se una nazione è felice gioca a pallone in modo felice...
(Articolo di Giovanni Tarantino)
Perché per diversi anni il calcio italiano si è espresso attraverso un vezzo - o un vizio - che faceva delle nostre squadre e della nostra Nazionale l'emblema del cosiddetto "catenaccio"? E perché, invece, dall'Olanda dei Provos, nel bel mezzo degli anni Settanta, venne fuori un calcio più spumeggiante che consentiva al meglio l'espressione delle varie individualità pur in contesto collettivo, come quello di una squadra? E ancora: cosa c'entra il Milan di Sacchi con lo spirito degli anni Ottanta?
La madre di tutte le risposte a domande di questo genere è una sola: il calcio è una storia di idee. «Sono convinto che un Paese giochi a calcio come vive. Se una nazione è felice, gioca un calcio felice. Una nazione triste gioca un calcio triste e spesso finisce per involversi. È una regola che gira nell'aria, non è una regola esatta. Ci sono decine di eccezioni, ma ci sono anche molte dimostrazioni che l'assunto è quasi aritmetico». È quanto afferma Mario Sconcerti, affermato giornalista fiorentino, già direttore del Corriere dello Sport, e oggi opinionista del Corriere della Sera oltre che volto noto di Sky. Con Storia delle idee del calcio (Baldini Castoldi Dalai, pp. 390) Sconcerti si cimenta nell'impresa di andare a indagare negli oltre cento anni di calcio per ricostruire i passaggi più significativi che hanno contribuito alla modernizzazione dello stesso, tenendo ben presente che «siamo sempre stati molto documentati su quello che era accaduto, poco sul motivo per cui era accaduto». Così, ad esempio, sappiamo che il calcio italiano ha vissuto un'«età dell'oro» negli anni Trenta - a margine dei due successi mondiali del '34 e del '38 - senza saperci spiegare bene per quale motivo. Alla stessa maniera ogni epoca calcistica ha sempre caratteristiche diverse perché alimentate dalla spinta propulsiva di sentimenti e idee. «Dal sistema di Chapman alle grandi innovazioni di Viani, Rocco ed Herrera, dal calcio olandese contrapposto a quello all'italiana, all'arrivo della tecnologia con le sue macchine e le preparazioni personalizzate, fino alla rivoluzione di Sacchi e al calcio multietnico di oggi». Sconcerti guida il lettore attraverso un grande viaggio raccontando un secolo di idee che hanno trasformato il calcio nel grande gioco di tutto il mondo.
Non sfugge l'esistenza di un filo rosso che congiunge questo lavoro di Sconcerti alla Storia critica del calcio italiano di Gianni Brera. Anche lì "el Gioann" abbandonava i panni del semplice cronista per andare a indagare, quasi con fare antropologico, o da storico degno della scuola degli Annales, alle ragioni profonde che stavano dietro al calcio. Brera era un convinto sostenitore di una "inferiorità fisica" degli italiani dovuta a motivazioni alimentari, etniche, climatiche, secondo cui il calcio nostrano non avrebbe potuto essere altro che il "catenaccio": si trattava di uno schema molto semplice. Tutti in difesa, pronti a ripartire in contropiede. Un'idea che ha dominato per anni.
In un certo senso potremmo dire che Sconcerti riprende da dove Brera aveva concluso. Se era vero il postulato breriano dell'italiano inferiore, è altrettanto vero che le evoluzioni che la società ha avuto negli anni successivi hanno aperto le strade a nuove prospettive e nuove idee di gioco.
Non che il Belpaese, in fin dei conti, abbia prodotto orrori: il Grande Torino e il modulo WM, la nascita del libero, erano invenzioni tutte italiane che non facevano necessariamente il verso al difensivismo. Ma, secondo Sconcerti, bisognava scrollarsi di dosso il «calcio catto-comunista» che aveva imperato negli anni Cinquanta e nei Sessanta: «Eravamo un Paese di fascisti che stava imparando a essere social-comunista rimanendo rigorosamente attaccato alle regole della Chiesa. Avevamo troppe religioni da rispettare, abbiamo cercato una via di mezzo. Un calcio un po' bigotto che ci permettesse di commettere peccati senza andare all'inferno…».
Il calcio all'italiana non bastava più. L'idea che fosse necessario difendersi sempre e comunque non era sufficiente, ci si chiedeva se era possibile anche fare dell'altro e nel vero senso della parola giocare. La rivoluzione arrivò dall'Olanda: vestiva le maglie arancioni o bianche, con una striscia rossa al centro, dell'Ajax a seconda che gli interpreti del "calcio totale" - i vari Cruyff e compagni - giocassero in nazionale o nel club. Totale perché coinvolgeva i giocatori anche in fase di non possesso palla: il vento olandese giunse in Italia recepito da Maestrelli che lo applicò sulla sua Lazio, campione 1974, e da Radice, che vinse lo scudetto col Torino nel '76. Che rimangono comunque antenati rispetto al "sacchismo" degli anni Ottanta, gli anni dell'edonismo, degli yuppies, dei socialisti e del Milan, squadra perfetta, secondo qualcuno. Lo spettacolo innanzitutto, il calcio era ormai televisivo e doveva essenzialmente divertire. Poi magari a qualcuno non piaceva, e i detrattori furono pronti a rivendicare che si stava meglio quando si stava peggio. Ognuno, in merito, ha una sua opinione: il calcio, del resto, è fatto di idee.
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Giornalista attento alle culture e alle dinamiche giovanili, lavora per E-Polis e collabora con il Secolo d’Italia. Si è laureato in Scienze storiche con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra.Squalo bianco, sfondo rosso e nuove sfide in acqua, per i Black Shark capitolini si scaldano gli under 20
(Articolo di Roberto Alfatti Appetiti)
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