martedì 8 dicembre 2009

La vita? Imprevedibile come una partita di tennis. Gozzi in "Giovani promesse" racconta il confronto continuo con se stessi

Dal Secolo d'Italia di martedì 8 dicembre 2009
Giovani promesse. Non parliamo di super Mario Balotelli o della formica atomica Sebastian Giovinco. Giovani promesse (Feltrinelli, pp. 238, € 16) è il titolo del nuovo romanzo di Martino Gozzi. Allo scrittore ferrarese – classe ’81, alla seconda prova dopo Una volta Mia (PeQuod 2004) – va il merito di aver acceso i riflettori su un altro sport. Ritenuto minore malgrado le tradizioni, brillanti. E le prospettive, rosee. In rosa, a dirla tutta, ché il tennis è tornato in auge grazie ai successi della brindisina Flavia Pennetta. Finalmente qualcuno l’ha raccontato. Sfida doppia: non solo letteratura che si “contamina” con uno sport – provocando più di qualche sopracciglio alzato – ma, addirittura, non con quello nazionale.
Gozzi, va detto, non è un ex tennista, ma un appassionato sì. «Conquistato – ci spiega – dal carattere solitario di una disciplina in cui si gioca contro un avversario ma soprattutto contro se stessi. E dove, a differenza di altri sport, non puoi rinunciare all’iniziativa e fermarti a tirare il fiato». Bisogna rimanere in piedi. Senza poter fare affidamento sugli altri. Punto dopo punto. Niente pareggio. Nessuna combine possibile. «O si vince o si perde – aggiunge Gozzi – e la sconfitta determina l’eliminazione. Dovrai ricominciare da zero».
Il romanzo è bellissimo. Non c’è un crimine a impressionare il lettore, eppure la trama affascina e sin dall’inizio non ci si può che immedesimare nel diciassettenne Emiliano, catapultato in una scuola di tennis americana: lezioni al mattino e allenamenti al pomeriggio. Intorno all’avventura sportiva fioriranno amicizie, flirt e immancabili rivalità. La partita più difficile: da una parte l’attrazione per un futuro diverso e dall’altra la nostalgia per ciò che si è lasciato. A cominciare dalla propria infanzia, quando bambino osservava il padre cambiarsi per giocare il doppio con gli amici: «C’era qualcosa in quel rituale di vestizione che mi ricordava Clark Kent e le cabine del telefono. Mio padre non era un tipo sportivo, tutt’altro. Trovarmelo davanti con le Superga e una racchetta di legno in mano era un po’ come frugare nei suoi cassetti e scoprire un mantello rosso sotto le camicie. Poi, con il tempo, Superman aveva ceduto il passo al suo alter ego con gli occhiali». Perché la vita è imprevedibile come molti incontri di tennis. «Sembra che procedano spediti sui binari di una sostanziale parità, e poi cambiano direzione nel breve volgere di un paio di scambi».

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