martedì 5 gennaio 2010

Mancity, tutti pazzi per il calcio poco british (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia di martedì 5 gennaio 2009
«Cosa c’è, ragazzo, meglio del Manchester United?». «Il City, signore». Al dirigente dei Red Devils che si trovava davanti quel piccolo talento calcistico una risposta del genere non sarà sembrata vera: è una delle scene topiche di Jimmy Grimble, film di John Hay del’99, basato sulla contrapposizione tra le due squadre di Manchester, in cui un ragazzino quindicenne si trova a parteggiare per i meno blasonati Blue Moon, proprio negli anni delle vittorie dello United. Chissà se la stessa domanda, dieci anni dopo l’uscita di quel film, è stata posta in qualche maniera a Roberto Mancini, attuale allenatore del City.
Mancini e il Man City: per la stampa e per tutti, Mancity. Un acronimo che il tecnico sembra aver meritato dopo avere plasmato il gioco di una squadra che si stava smarrendo prima del suo arrivo, coinciso con l’esonero di Mark Huges. Tre vittorie in tre partite i numeri delle prime uscite ufficiali della gestione Mancini, due in Premier League, una in FA Cup (la Coppa d’Inghilterra, ben più seguita e avvincente della nostra Coppa Italia): dopo l’iniziale scetticismo tipico di una certa stampa inglese, l’allenatore italiano, «quello che ha riportato le vittorie all’Inter», sembra stia cominciando a convincere. Del resto, al “Mancio” non manca un certo aplomb british: comparso ultimamente in panchina con la giacca del City, con tanto di aquila stellata sulla parte sinistra del petto, sciarpa biancoceleste al collo e cappellino casual, sembra davvero “uno di loro”. Col tempo, magari, si accorgeranno di quanto sia bravo: in Italia lo denominarono Mr. Coppa Italia, per i tanti titoli in coppa nazionale conquistati dapprima come calciatore e successivamente come allenatore, rispettivamente sulle panchine di Fiorentina, Lazio e Inter (due volte). Poi, tra le fila dei nerazzurri, a cavallo degli anni di Calciopoli, ha riportato lo scudetto che mancava da prima della caduta del muro di Berlino. Mancini ha lasciato l’Inter dopo la conquista del sedicesimo, vinto dopo la gladiatoria battaglia di Parma. Poi Mourinho al suo posto e il resto è storia pressoché recente: grandi capacità oratorie, abilità affabulatorie, verve polemica, ma quanto a espressione di gioco, tutti lì, col senno di poi, a dire che «l’Inter di Mancini giocava meglio». Come dire che un allenatore veramente bravo dobbiamo farcelo sfuggire per apprezzarlo veramente.
Se ne sono resi conto, probabilmente, anche gli sceicchi proprietari del Manchester City, anche se il fenomeno degli allenatori italiani richiesti in Inghilterra è da focalizzare con maggiore attenzione. Per uno Special One, Mourinho appunto, che sembra quasi riproporsi al calcio britannico anni dopo avere seduto sulla panchina del Chelsea, i blues si godono la vetta della classifica grazie a un altro italiano di successo, Carlo Ancelotti. E se il West Ham non naviga in buone acque non sembra in discussione la permanenza in panchina di Gianfranco Zola, che ai tempi in cui giocava in Inghilterra era soprannominato Magic Box, scatoletta magica. Non solo panchine, tuttavia: nel campionato inglese stanno trovando sempre più spazio giovani italiani che non sono riusciti a fare fortuna in patria o che più probabilmente risultano maggiormente apprezzati in Gran Bretagna: è il caso, ad esempio, di Alessandro Diamanti del West Ham, Alberto Aquilani al Liverpool, o Federico Macheda al Manchester United. In tempi in cui il calcio nostrano viene sempre più spesso messo sotto accusa, per le poche vittorie in ambito internazionale maturate dopo la conquista del Mondiale 2006, o per la scarsa qualità di gioco che a volte si lamenta, agli inglesi l’Italia piace sempre di più. Una corresponsione d’amorosi sensi che, probabilmente, coinvolge anche i tanti appassionati italiani per i tornei d’oltremanica. Sono sempre di più, infatti, i gruppi organizzati di supporters assolutamente italiani che scelgono le inglesi come proprie squadre del cuore, seguendole dal vivo laddove possibile. Nel 2007 il giornalista di Radio 24 Gigi Garanzini, provando a spiegare la disaffezione dal fenomeno del tifo, insieme a un processo di «disintossicazione» dallo stesso, nel suo libro E continuano a chiamarlo calcio, osservava: «Inevitabile, in queste ultime stagioni, coltivare un debole per il Chievo, farsi catturare da certe straordinarie geometrie della Roma, chiedere asilo politico al calcio inglese in cerca di emozioni quantitative…». Chiedere asilo politico al calcio inglese è quello che hanno fatto in tanti italiani appassionati di calcio. Italian Blue Moon è il nome del gruppo di fans proprio del Man City di Mancini, inevitabile che sulla home page del loro sito (http://www.italianbluemoon.it/) compaia, oltre alla scritta «Tutti pazzi per il Manchester City» e una foto dei fratelli Gallagher (i due componenti fondatori della pop band Oasis, tifosissimi del City), l’immagine di Jimmy Grimble. Non mancano gli Italian Hammers, i sostenitori della squadra di Gianfranco Zola, (westhamitalianfans.blogspot.com), così come gli Italian Hoops, i tifosi del Qpr, il Queen Park Rangers di Flavio Briatore, che milita in Championship, equivalente della nostra serie B. Rivalità accese, per ragioni territoriali, tra Qpr, e gli altri londinesi del Chelsea di Carlo Ancelotti: a sostegno dell’ex tecnico del Milan il gruppo Chelsea Italia. La legione straniera più folta, tuttavia, è quella dei tifosi dell’Arsenal: più eterogenea la rappresentanza dei gunners, suddivisi in sezioni che vanno dalla Toscana al Sud Italia, uniti dietro le insegne degli Italian Gooners, nati nel 2000. Il verbo di Nick Hornby ha fatto scuola anche in Italia.
Giovanni Tarantino è nato a Palermo il 23 giugno 1983. Giornalista attento alle culture e alle dinamiche giovanili, lavora per E-Polis e collabora con il Secolo d’Italia. Si è laureato in Scienze storiche con una tesi dal titolo Movimentisti. Da Giovane Europa alla Nuova destra.

Nessun commento: