Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di giovedì 14 gennaio 2009
Ci voleva Pierluigi Battista per farci mettere a fuoco il male oscuro del "caso italiano", quello spettro che da quindici anni si aggira per l'Italia dopo essersi sostituito alle precedenti guerre civili, a bassa ma anche ad alta intensità, che avevano già avvelenato il nostro Novecento. Nel suo ultimo saggio, I conformisti. L'estinzione degli intellettuali d'Italia (Rizzoli, pp. 222, € 18,00), da ieri in tutte le librerie, il giornalista del Corriere della Sera individua questo fantasma nella progressiva scomparsa della cultura nell'ambito del nostro discorso pubblico. Per dirla tutta: si è spenta, o proprio a essere ottimisti sarebbe ormai in stato di coma, l'idea e la prassi di un lavoro intellettuale inteso appropriatamente come impegno civico e civile, come sforzo di comprensione della complessità del reale, come autentico esercizio di libertà. E l'arma di questo processo sarebbe, a suo dire, nient'altro che il conformismo, quell'antica attitudine a strumentalizzare la realtà che finisce per distruggere gli individui a colpi di ideologia.
Battista ha ripreso in mano quanto da lui scritto proprio in questi quindici anni, privilegiando le sue riflessioni sul Corriere e in particolare sulla rubrica "Particelle elementari", facendo emergere in presa diretta il mosaico in grado di rendere evidente non solo questa resa generalizzata al conformismo del dibattito pubblico italiano ma anche la deriva di quella che chiama un «primitivo bipolarismo culturale». Il conformismo, infatti, in quanto comodo reticolato di tic mentali, di pigri automatismi culturali, di riflessi condizionati, avrebbe acutizzato nel quindicennio della nostra infinita e mai conclusa transizione - altro che Seconda Repubblica - il simulacro di una guerra civile virtualizzata inscenata ogni giorno da chi crede che il bipolarismo politico si traduca immediatamente in bipolarismo culturale e si sublimi addirittura in un bipolarismo antropologico: «Come se davvero - osserva e ironizza - esistessero due blocchi culturali omogenei, uno di destra e uno di sinistra. Come se davvero esistessero due distinti tipi umani, il tipo di destra e il tipo di sinistra».
Ma non è vero, ribatte Battista, rivelandosi in totale sintonia con quanto anche noi andiamo scrivendo ormai da anni: questi due mondi separati e distinti non esistono nella realtà. Eppure, aggiunge, in Italia sono quindici anni che il dibattito culturale (e politico) è abbagliato da questa finzione classificatoria. La semplicità del ragionamento, il legittimo esercizio del dubbio, il disincanto del realismo, lo sguardo sereno e di per sé condivisibile da tutti alle questioni o ai fatti, sono stati congedati e sostituiti da una parodia di militarizzazione del confronto che mistifica la percezione delle cose e rappresenta la vita pubblica come un continuo conflitto muscolare: o di quà o di là. Finendo con l'annullare il senso stesso del bipolarismo politico inteso come semplificazione delle procedure parlamentari e consegnando tutta la nostra società al gioco delle etichette e dei recinti fasulli: «Con l'invenzione del mito delle due Italie irriducibilmente contrapposte, la sfumatura diventa tiepidezza inammissibile, il chiaroscuro intelligenza con il nemico: mai come in presunti tempi di frenesia dell'"ascolto", si è smesso di ascoltare, riflettere, soppesare gli argomenti dell'avversario». Siamo, insomma, finiti in ostaggio di un assurdo «primitivo bipolarismo culturale». Uno schema che, oltretutto, ci spiega l'origine psicologica dei recenti attacchi a Gianfranco Fini, accusato a ripetizione di tradimento, di aver sfondato a sinistra, di non dire "cose di destra".
È infatti nella natura di questo particolare e nuovo conformismo bipolare, spiega Battista, essere dominato e animato «dall'ossessione del tradimento, dal sospetto del sabotaggio. Cadono le ideologie soffocanti e totalizzanti, stenta però a cadere la mania del "fare il gioco di", la superstizione del "cui prodest"...». È un conformismo a due facce che crea una destra e una sinistra non politiche e virtualizzate in cui si finisce per essere succubi dello schieramento cui si vorrebbe appartenere con fede e fervore. Come se il confronto culturale e quello politico dovessero modellarsi sul modello delle tifoserie calcistiche. Uno scenario che sta all'origine di tutte le più recenti anomalie italiane, tutte derivanti dal conformismo di destra e da quello di sinistra, fenomeni che oltretutto vanno a minacciare quanto di buono può nascere - e sta comunque nascendo - "a destra" o "a sinistra". «Per il conformista di destra - spiega Battista - una ragionevole proposta di cittadinanza per gli immigrati rispettosi delle leggi, che lavorano e conoscono l'italiano, diventa il sotterfugio per stravolgere la nostra identità nazionale. Allo stesso modo, questo conformista di destra vede nella pensione di reversibilità per il convivente di fatto nientemeno che un attentato alla famiglia».
Attacchi analoghi avvengono comuque anche sull'altro versante: «Il conformista di sinistra, prigioniero dei suoi spettri, non sa più distinguere tra voto popolare e plebiscito eterodiretto. E sempre per il conformista di sinistra, ascoltare i cattolici che parlano di difesa della vita è un cedimento all'ingerenza clericale che vuole snaturare la laicità dello Stato».
Questo cedimento ai luoghi comuni del pensiero pigro ha però un'origine precisa nella scelta di aver privilegiato il modello dell'ideologia rispetto alla pratica della cultura così come è stata intesa, nel Novecento, dai cosiddetti "irregolari": Albert Camus, Hannah Arendt, Simone Weil, Georges Bernanos, Raymond Aron, Nicola Chiaromonte, George Orwell, Ennio Flaiano, Alberto Arbasino, Vitaliano Brancati, Carlo Fruttero, Dino Buzzati, Eugenio Montale... È l'elenco, non lungo in verità, degli spiriti inquieti e caparbi che hanno amato fornire risposte chiare agli interrogativi che generalmente i conformisti sono inclini a disertare. Coloro che «tradirono la loro appartenenza per non tradire se stessi, domarono l'ossessione che paralizzava la libertà intellettuale di chi preferisce, per conformismo, l'omertà alla verità».
Battista è bravissimo a individuare le precise matrici di alcuni luoghi comuni che animano questo distorto bipolarismo del pensiero. L'ammirazione (e la ripetizione), ad esempio, del celeberrismo verdetto di Pier Paolo Pasolini: «Io so, ma non ho le prove». Lodata come luminoso esempio di coraggio civile e di anticonformismo, quell'invettiva è in realtà espressione del «conformismo più corrivo». Cosa sapeva Pasolini? Niente, ci dice Battista, «ma anche tutto dal punto di vista della religione di cui era guardiano: la certezza di incarnare l'Italia migliore».
Su un altro versante emerge nel dibattito una ripetitiva e stucchevole "crociata laica", una sorta di eterna (e anacronistica) ripetizione del conflitto "laici contro cattolici". Ma è uno schema che non viene prospettato in nessun altro paese del mondo libero: «Solo in Italia, che altrove è semplicemente (e etimologicamente) il non chierico, si sovraccarica di tanto marcati sottintesi ideologici e significati politici». E che tutto questo sia più che falsato risulta evidente a Battista: «Ma se invece - scrive - fosse il centrodestra a sorprendere tutti proponendo un'intelligente, equilibrata, pragmatica tutela giuridica delle coppie non sposate? Se prendesse l'iniziativa di abbreviare i tempi burocraticamente dilatati del divorzio all'italiana, inferno di carte bollate e di attese crudeli e insensate, forse scioglierebbe un equivoco, stabilendo un limite, si dimostrerebbe autenticamente cristiano e non clericale». Purtroppo, stando alla deriva dell'attualità questo non succederà, dice Battista, che vede trionfare il conformismo bipolare. «Ma sarebbe - conclude - il segnale di una politica laica e non laicista, attenta alla sfida cattolica sui temi fondamentali e non negoziabili della vita e della morte e laicamente duttile sulle leggi che registrano una situazione di fatto, regolandone diritti e modalità».
Battista ha ripreso in mano quanto da lui scritto proprio in questi quindici anni, privilegiando le sue riflessioni sul Corriere e in particolare sulla rubrica "Particelle elementari", facendo emergere in presa diretta il mosaico in grado di rendere evidente non solo questa resa generalizzata al conformismo del dibattito pubblico italiano ma anche la deriva di quella che chiama un «primitivo bipolarismo culturale». Il conformismo, infatti, in quanto comodo reticolato di tic mentali, di pigri automatismi culturali, di riflessi condizionati, avrebbe acutizzato nel quindicennio della nostra infinita e mai conclusa transizione - altro che Seconda Repubblica - il simulacro di una guerra civile virtualizzata inscenata ogni giorno da chi crede che il bipolarismo politico si traduca immediatamente in bipolarismo culturale e si sublimi addirittura in un bipolarismo antropologico: «Come se davvero - osserva e ironizza - esistessero due blocchi culturali omogenei, uno di destra e uno di sinistra. Come se davvero esistessero due distinti tipi umani, il tipo di destra e il tipo di sinistra».
Ma non è vero, ribatte Battista, rivelandosi in totale sintonia con quanto anche noi andiamo scrivendo ormai da anni: questi due mondi separati e distinti non esistono nella realtà. Eppure, aggiunge, in Italia sono quindici anni che il dibattito culturale (e politico) è abbagliato da questa finzione classificatoria. La semplicità del ragionamento, il legittimo esercizio del dubbio, il disincanto del realismo, lo sguardo sereno e di per sé condivisibile da tutti alle questioni o ai fatti, sono stati congedati e sostituiti da una parodia di militarizzazione del confronto che mistifica la percezione delle cose e rappresenta la vita pubblica come un continuo conflitto muscolare: o di quà o di là. Finendo con l'annullare il senso stesso del bipolarismo politico inteso come semplificazione delle procedure parlamentari e consegnando tutta la nostra società al gioco delle etichette e dei recinti fasulli: «Con l'invenzione del mito delle due Italie irriducibilmente contrapposte, la sfumatura diventa tiepidezza inammissibile, il chiaroscuro intelligenza con il nemico: mai come in presunti tempi di frenesia dell'"ascolto", si è smesso di ascoltare, riflettere, soppesare gli argomenti dell'avversario». Siamo, insomma, finiti in ostaggio di un assurdo «primitivo bipolarismo culturale». Uno schema che, oltretutto, ci spiega l'origine psicologica dei recenti attacchi a Gianfranco Fini, accusato a ripetizione di tradimento, di aver sfondato a sinistra, di non dire "cose di destra".
È infatti nella natura di questo particolare e nuovo conformismo bipolare, spiega Battista, essere dominato e animato «dall'ossessione del tradimento, dal sospetto del sabotaggio. Cadono le ideologie soffocanti e totalizzanti, stenta però a cadere la mania del "fare il gioco di", la superstizione del "cui prodest"...». È un conformismo a due facce che crea una destra e una sinistra non politiche e virtualizzate in cui si finisce per essere succubi dello schieramento cui si vorrebbe appartenere con fede e fervore. Come se il confronto culturale e quello politico dovessero modellarsi sul modello delle tifoserie calcistiche. Uno scenario che sta all'origine di tutte le più recenti anomalie italiane, tutte derivanti dal conformismo di destra e da quello di sinistra, fenomeni che oltretutto vanno a minacciare quanto di buono può nascere - e sta comunque nascendo - "a destra" o "a sinistra". «Per il conformista di destra - spiega Battista - una ragionevole proposta di cittadinanza per gli immigrati rispettosi delle leggi, che lavorano e conoscono l'italiano, diventa il sotterfugio per stravolgere la nostra identità nazionale. Allo stesso modo, questo conformista di destra vede nella pensione di reversibilità per il convivente di fatto nientemeno che un attentato alla famiglia».
Attacchi analoghi avvengono comuque anche sull'altro versante: «Il conformista di sinistra, prigioniero dei suoi spettri, non sa più distinguere tra voto popolare e plebiscito eterodiretto. E sempre per il conformista di sinistra, ascoltare i cattolici che parlano di difesa della vita è un cedimento all'ingerenza clericale che vuole snaturare la laicità dello Stato».
Questo cedimento ai luoghi comuni del pensiero pigro ha però un'origine precisa nella scelta di aver privilegiato il modello dell'ideologia rispetto alla pratica della cultura così come è stata intesa, nel Novecento, dai cosiddetti "irregolari": Albert Camus, Hannah Arendt, Simone Weil, Georges Bernanos, Raymond Aron, Nicola Chiaromonte, George Orwell, Ennio Flaiano, Alberto Arbasino, Vitaliano Brancati, Carlo Fruttero, Dino Buzzati, Eugenio Montale... È l'elenco, non lungo in verità, degli spiriti inquieti e caparbi che hanno amato fornire risposte chiare agli interrogativi che generalmente i conformisti sono inclini a disertare. Coloro che «tradirono la loro appartenenza per non tradire se stessi, domarono l'ossessione che paralizzava la libertà intellettuale di chi preferisce, per conformismo, l'omertà alla verità».
Battista è bravissimo a individuare le precise matrici di alcuni luoghi comuni che animano questo distorto bipolarismo del pensiero. L'ammirazione (e la ripetizione), ad esempio, del celeberrismo verdetto di Pier Paolo Pasolini: «Io so, ma non ho le prove». Lodata come luminoso esempio di coraggio civile e di anticonformismo, quell'invettiva è in realtà espressione del «conformismo più corrivo». Cosa sapeva Pasolini? Niente, ci dice Battista, «ma anche tutto dal punto di vista della religione di cui era guardiano: la certezza di incarnare l'Italia migliore».
Su un altro versante emerge nel dibattito una ripetitiva e stucchevole "crociata laica", una sorta di eterna (e anacronistica) ripetizione del conflitto "laici contro cattolici". Ma è uno schema che non viene prospettato in nessun altro paese del mondo libero: «Solo in Italia, che altrove è semplicemente (e etimologicamente) il non chierico, si sovraccarica di tanto marcati sottintesi ideologici e significati politici». E che tutto questo sia più che falsato risulta evidente a Battista: «Ma se invece - scrive - fosse il centrodestra a sorprendere tutti proponendo un'intelligente, equilibrata, pragmatica tutela giuridica delle coppie non sposate? Se prendesse l'iniziativa di abbreviare i tempi burocraticamente dilatati del divorzio all'italiana, inferno di carte bollate e di attese crudeli e insensate, forse scioglierebbe un equivoco, stabilendo un limite, si dimostrerebbe autenticamente cristiano e non clericale». Purtroppo, stando alla deriva dell'attualità questo non succederà, dice Battista, che vede trionfare il conformismo bipolare. «Ma sarebbe - conclude - il segnale di una politica laica e non laicista, attenta alla sfida cattolica sui temi fondamentali e non negoziabili della vita e della morte e laicamente duttile sulle leggi che registrano una situazione di fatto, regolandone diritti e modalità».
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia. Alcuni suoi articoli sono raccolti su questo blog.
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