martedì 12 gennaio 2010

Fanno centro le vecchie, care figurine Panini, malgrado la gaffe...

Dal Secolo d'Italia di martedì 12 gennaio 2009
Salutare pausa, lo scorso fine settimana, per personal computer, videogames e tecnologie applicate all’adolescenza. PlayStation e Game Boy hanno potuto tirare il fiato, ovvero far riposare le bollenti batterie. Perché nei tinelli d’Italia è tornato protagonista l’album Panini. A lanciare l’offensiva è stata la Gazzetta dello Sport, che sabato ne ha regalato l’edizione 2009/2010, la 49ª della sua storia. Gustose le novità, tra cui la sezione “Momenti di gloria” con le riproduzioni adesive delle migliori prime pagine che il quotidiano rosa ha dedicato ai successi “storici” delle squadre di serie A. Mentre la distribuzione di figurine con gli autografi originali di 12 campioni – 50 copie ognuno per soli 600 esemplari totali – ha già scatenato una caccia alla “rarità” che farà vacillare la leggenda dell’introvabile Pierluigi Pizzaballa, estremo difensore dell’Atalanta, vera maledizione per i collezionisti degli anni Sessanta.
La risposta del pubblico non si è fatta attendere. Truppe irregolari di ragazzini e Peter Pan d’ogni età, hanno saccheggiato le edicole e consumato l’antico rito: scartare le bustine con l’effige della mitica rovesciata di Carlo Parola. Cercando di evitare che la curiosità degenerasse in foga, mettendo a rischio l’incolumità del santino laico che il tifoso è chiamato ad “appiccicare” con millimetrica precisione.
Il refrain è quello di sempre: «Mi manca, ce l’ho». Già, i doppioni. Da piazzare in cambio di qualche calciatore latitante o da rischiare al gioco. Altro che internet, impresa e inglese. Noi avevamo le tre “s”: soffio, scoppola e scalino. Piccole battaglie quotidiane per vincere la guerra: completare l’album.
«Non ne ho mai finito uno, ma una volta mi mancò soltanto un certo Maddè del Foggia», ci racconta Miro Renzaglia, giornalista e scrittore ma anche ex portiere che non ha mai smesso di giocare a pallone, neanche negli anni più “duri” della militanza politica, e tifoso giallorosso. Come tale, un tantino piccato dalla gaffe della Panini. Che quest’anno l’ha fatta grossa: nella prima versione dell’album, infatti, si attribuiscono alla Roma solo due dei tre scudetti vinti. «Oltre a quello che ci ha tolto la Panini – ironizza il direttore del web magazine Il Fondo – andrebbero aggiunti almeno altri tre che ci hanno rubato nel corso degli anni».
La casa editrice ha prontamente rimediato alla svista, ma i tifosi laziali ancora se la ridono. Tra loro, Fabrizio Ghilardi, studioso di storia del calcio e ideatore di Action Now - Play old style, associazione no profit per la funzione sociale dello sport. «Sì, l’idea di vedere ridimensionato il modesto palmarès della Roma fa sorridere – ci dice – e per noi ha il sapore di una piccola vendetta. Nell’album del 1963-'64, al posto dello stemma del nostro club, la gloriosa aquila delle legioni romane, la Panini, credo per non pagare i diritti d'immagine, scelse di rappresentare la squadra con la figura di una bella donna paesana, con tanto di cesto di frutta in testa, seno prosperoso e abito tradizionale. Il fatto passò sotto silenzio finché, in occasione di un derby cittadino di qualche anno fa, qualche romanista ritrovò l’immagine e fece uno striscione per la curva sud: “STAGIONE 1963-1964: TANA PE' I CIOCIARI”. Proprio a noi che rappresentiamo il calcio capitolino da centodieci anni».
Di tutt’altro avviso Gianfranco Franchi, letterato di sangue triestino, istriano e austriaco ma profondamente romano e soprattutto romanista. Tanto da aver dedicato alla Roma un capitolo di Monteverde, (Castelvecchi, pp. 310, € 16), romanzo di formazione in cui racconta di quand’era bambino e trascorreva le sue domeniche allo stadio con il papà. Bei tempi, nell’ottica giallorossa: «La Lazio rischiava di finire in C e noi eravamo storditi dalla gioia immensa di saperli prossimi al derby con l’allora Lodigiani». In quello che è un refuso, sia pur clamoroso, Franchi intravede «del dolo, perché – ci spiega tra il serio e il faceto – la ripetizione di una menzogna può farsi verità e solo così la seconda squadra della capitale può pareggiare il conto degli scudetti». Poco fair play tra tifoserie avversarie? Il bello del calcio è anche in questo feroce attaccamento ai rispettivi colori sociali.
«Battute a parte – ci confessa lo scrittore – sfogliare un album Panini è sempre un’emozione». Una memoria condivisa si costruisce anche figurina dopo figurina. L’aveva capito bene Walter Veltroni, che a metà anni Novanta fece ristampare da l’Unità, da lui diretta, la collezione storica degli album Panini. Facendo felici laziali e romanisti. «Così – testimonia Franchi – scoprii che Nevio Scala, prima di essere un allenatore, aveva giocato nella Roma e corsi da mio padre a chiedergli come fosse da calciatore». Tramite il calcio altro non cerchiamo che capire qualcosa, della società, delle persone, del nostro tempo, che non avevamo mai capito. Quasi che l’album dei calciatori o l’Almanacco illustrato del calcio, edito dal ’71 sempre dalla Panini, fossero libri dell’oracolo. In realtà, se il calcio ci affascina ancora e più di altri sport, è perché, nella sua incertezza, è simile alla vita e non possiamo fare a meno di immedesimarci in quelle “figurine” che, per dirla con Marco Lodoli, altro scrittore innamorato del calcio, «rincorrono una palla tra caso e necessità, esattamente come noi rincorriamo qualcosa che ci sfugge, che ci frega, che non si fa progettare, che non ha regole certe, che ci esalta e ci deprime e non sappiamo neanche cosa sia. È la vita, che non è pulita, non è onesta, non premia sempre il migliore, ma che non vorremmo abbandonare neanche per un minuto».

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