Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 31 gennaio 2010
Un’incarnazione? O un’interpretazione? Mister Fantasy è il nome di un programma che andò in onda su Rai Due a partire dal 12 maggio 1981 e che ebbe termine nel 1984. Mister Fantasy era Carlo Massarini. E al tempo stesso non lo era: vestito di bianco, sprofondato in una scenografia avveniristica e suggestiva denominata “l’Iperspazio”, parlava di musica privilegiando le immagini. E di conseguenza, a sua volta, si trasformava in immagine. In icona. Da persona a personaggio. Un personaggio che manteneva molte delle caratteristiche della persona reale, ma che le riversava in una figura troppo nitida e univoca – sapientemente stabilizzata, e stilizzata, a cominciare dall’aspetto fisico e dal modo di muoversi e di parlare – per appartenere alla realtà.
La metamorfosi era cominciata lentamente e a poco a poco si era compiuta. Carlo Massarini aveva iniziato come tutti, dalla passione che mette gli altri, gli artisti, al centro della scena, e alla fine si era trasformato in artista a sua volta. Anzi: in quell’estrema manifestazione dell’essere artisti, e del fare spettacolo, che sono le star. Mister Fantasy appariva, teneva la scena per il tempo del programma, e poi scompariva. Mister Fantasy esisteva solo nella cornice abbagliante dello studio televisivo. Uscito da lì svaniva nel nulla, cedendo il posto a un giovanotto che gli assomigliava da morire ma che evidentemente non era lui: uno che sapeva moltissimo di rock e dintorni, essendosene occupato via via da fotografo, da conduttore radiofonico e da giornalista, e avendo frequentato l’ambiente in prima persona fino a intrattenere rapporti di amicizia con alcuni grandi nomi del panorama inglese e americano, ma che era decisamente troppo gentile e informale, per essere il seducente illusionista che si era visto poco prima sul teleschermo e che giocava con le nuove tecnologie come un prestigiatore col suo mazzo di carte.
Mister Fantasy veniva dal futuro. Carlo Massarini era in giro da un pezzo. A Per voi giovani nel 1971, quando aveva poco più di 18 anni. Poi a Popoff. E infine a Radio Due: 21 e 29, che lasciò nel 1977. Mister Fantasy, in tivù, vi diceva di guardare, ed era sottinteso che lo avreste fatto e che vi sareste meravigliati fino alla fascinazione. Massarini, alla radio, vi invitava ad ascoltare, lasciando capire che se aveste accolto i suoi suggerimenti vi sareste ritrovati in certi posti magnifici che meritavano almeno una visita. Lui c’era stato. Li aveva raggiunti ed esplorati. E aveva capito. Alcune canzoni sono incantesimi, sono formule magiche che aprono delle porte su altre dimensioni. Le copertine dei dischi, a volte, sono visioni di un mondo che ci chiede di entrare: finestre che si possono scavalcare facilmente, a patto che lo si voglia davvero, e che portano in un attimo a migliaia di chilometri di distanza. Late for the Sky di Jackson Browne, per esempio: una vecchia Chevrolet parcheggiata davanti a una casa avvolta nella penombra. Non si vede nessuno. Il cielo azzurro è solcato da una miriade di nuvole bianche. C’è un lampione ancora acceso. E una luce al primo piano della casa. Forse è la vostra automobile, e ve n’eravate dimenticati. Forse è la casa della vostra ragazza, e ve ne state ricordando.
“Peter e Jackson, Eugenio e Antonello, Edoardo e tutti gli altri, all’inizio non erano divi da Hall of Fame e stadi pieni. Erano coetanei cui il destino aveva dato un meraviglioso dono: la capacità alchemica di trasformare quello che è alla portata di tutti – le note, le parole – in qualcosa di unico, di irripetibile, che sapeva toccare il cuore e l’anima delle persone. L’abilità di pescare, giù nel profondo della loro vita, qualcosa che diventasse di tutti, e che parlasse per tutti quando c’era bisogno di farlo. Insomma, ho lasciato perdere l’Università e ho scoperto l’Universalità. Due lettere, a volte, fanno una grande differenza”.
Carlo Massarini ha aspettato a lungo, prima di raccontare quegli anni che ha conosciuto così bene (che ha vissuto così bene) in un libro. Ed è abbastanza strano che lo faccia solo adesso che la sua notorietà è di gran lunga inferiore a quella di cui godette a suo tempo. Ma allora, probabilmente, si sarebbe trattato di un progetto meno impegnativo, sul piano editoriale, e troppo legato a quel particolare momento. Mister Fantasy, il personaggio, avrebbe rubato la scena a Carlo Massarini, la persona. La produzione degli anni Ottanta, con la sua scoperta delle videoclip come dimensione parallela, se non addirittura prevalente, della comunicazione musicale, avrebbe occupato tutto lo spazio, o quasi. Il passato sarebbe finito in un cantuccio, relegato al rango di prologo imperfetto di uno sviluppo tanto più eccitante e pieno di promesse. Il solito abbaglio: il nuovo è migliore del vecchio; e il vecchio va levato di mezzo, il più rapidamente possibile. Il solito ritardo nel capire che nella fretta di fare piazza pulita hai consegnato al rigattiere anche i mobili di valore, insieme al divano sfondato.
Venticinque anni dopo, o giù di là, la prospettiva è ristabilita. Non solo per Massarini, che al di là di certe apparenze dà l’impressione di non averla mai smarrita, ma per chiunque non sia (più) ottenebrato dalle mode, e abbia quindi imparato a essere meno precipitoso nel gridare al miracolo di fronte all’ultima trovata del marketing. Non sono le impennate a fare grande un pilota di moto. E non sono i testacoda a fare un asso del volante.
La metamorfosi era cominciata lentamente e a poco a poco si era compiuta. Carlo Massarini aveva iniziato come tutti, dalla passione che mette gli altri, gli artisti, al centro della scena, e alla fine si era trasformato in artista a sua volta. Anzi: in quell’estrema manifestazione dell’essere artisti, e del fare spettacolo, che sono le star. Mister Fantasy appariva, teneva la scena per il tempo del programma, e poi scompariva. Mister Fantasy esisteva solo nella cornice abbagliante dello studio televisivo. Uscito da lì svaniva nel nulla, cedendo il posto a un giovanotto che gli assomigliava da morire ma che evidentemente non era lui: uno che sapeva moltissimo di rock e dintorni, essendosene occupato via via da fotografo, da conduttore radiofonico e da giornalista, e avendo frequentato l’ambiente in prima persona fino a intrattenere rapporti di amicizia con alcuni grandi nomi del panorama inglese e americano, ma che era decisamente troppo gentile e informale, per essere il seducente illusionista che si era visto poco prima sul teleschermo e che giocava con le nuove tecnologie come un prestigiatore col suo mazzo di carte.
Mister Fantasy veniva dal futuro. Carlo Massarini era in giro da un pezzo. A Per voi giovani nel 1971, quando aveva poco più di 18 anni. Poi a Popoff. E infine a Radio Due: 21 e 29, che lasciò nel 1977. Mister Fantasy, in tivù, vi diceva di guardare, ed era sottinteso che lo avreste fatto e che vi sareste meravigliati fino alla fascinazione. Massarini, alla radio, vi invitava ad ascoltare, lasciando capire che se aveste accolto i suoi suggerimenti vi sareste ritrovati in certi posti magnifici che meritavano almeno una visita. Lui c’era stato. Li aveva raggiunti ed esplorati. E aveva capito. Alcune canzoni sono incantesimi, sono formule magiche che aprono delle porte su altre dimensioni. Le copertine dei dischi, a volte, sono visioni di un mondo che ci chiede di entrare: finestre che si possono scavalcare facilmente, a patto che lo si voglia davvero, e che portano in un attimo a migliaia di chilometri di distanza. Late for the Sky di Jackson Browne, per esempio: una vecchia Chevrolet parcheggiata davanti a una casa avvolta nella penombra. Non si vede nessuno. Il cielo azzurro è solcato da una miriade di nuvole bianche. C’è un lampione ancora acceso. E una luce al primo piano della casa. Forse è la vostra automobile, e ve n’eravate dimenticati. Forse è la casa della vostra ragazza, e ve ne state ricordando.
“Peter e Jackson, Eugenio e Antonello, Edoardo e tutti gli altri, all’inizio non erano divi da Hall of Fame e stadi pieni. Erano coetanei cui il destino aveva dato un meraviglioso dono: la capacità alchemica di trasformare quello che è alla portata di tutti – le note, le parole – in qualcosa di unico, di irripetibile, che sapeva toccare il cuore e l’anima delle persone. L’abilità di pescare, giù nel profondo della loro vita, qualcosa che diventasse di tutti, e che parlasse per tutti quando c’era bisogno di farlo. Insomma, ho lasciato perdere l’Università e ho scoperto l’Universalità. Due lettere, a volte, fanno una grande differenza”.
Carlo Massarini ha aspettato a lungo, prima di raccontare quegli anni che ha conosciuto così bene (che ha vissuto così bene) in un libro. Ed è abbastanza strano che lo faccia solo adesso che la sua notorietà è di gran lunga inferiore a quella di cui godette a suo tempo. Ma allora, probabilmente, si sarebbe trattato di un progetto meno impegnativo, sul piano editoriale, e troppo legato a quel particolare momento. Mister Fantasy, il personaggio, avrebbe rubato la scena a Carlo Massarini, la persona. La produzione degli anni Ottanta, con la sua scoperta delle videoclip come dimensione parallela, se non addirittura prevalente, della comunicazione musicale, avrebbe occupato tutto lo spazio, o quasi. Il passato sarebbe finito in un cantuccio, relegato al rango di prologo imperfetto di uno sviluppo tanto più eccitante e pieno di promesse. Il solito abbaglio: il nuovo è migliore del vecchio; e il vecchio va levato di mezzo, il più rapidamente possibile. Il solito ritardo nel capire che nella fretta di fare piazza pulita hai consegnato al rigattiere anche i mobili di valore, insieme al divano sfondato.
Venticinque anni dopo, o giù di là, la prospettiva è ristabilita. Non solo per Massarini, che al di là di certe apparenze dà l’impressione di non averla mai smarrita, ma per chiunque non sia (più) ottenebrato dalle mode, e abbia quindi imparato a essere meno precipitoso nel gridare al miracolo di fronte all’ultima trovata del marketing. Non sono le impennate a fare grande un pilota di moto. E non sono i testacoda a fare un asso del volante.
Dear Mister Fantasy, questo splendido volume che si autodefinisce il “foto-racconto di un’epoca musicale in cui tutto era possibile” e che circoscrive quel periodo straordinario agli anni che vanno dal 1969 al 1982, è il libro di bordo di un appassionato che è rimasto tale, anche se nel frattempo ha accumulato innumerevoli esperienze e una crescente consapevolezza. Quasi 350 pagine costellate di centinaia e centinaia di fotografie inedite scattate dall’autore, e cucite l’una all’altra col filo, tanto robusto quanto prezioso, della partecipazione diretta. Dear Mister Fantasy non è solo il titolo: è l’inizio di una lunghissima lettera a una star televisiva di quasi trent’anni fa, per dirle che quel periodo in tivù è stato bello ed eccitante, ma che c’è stato anche tantissimo altro. E che non ne è andata perduta nemmeno una scena.
Federico Zamboni, nato a Milano nel 1958 ma cresciuto a Roma, è giornalista e conduttore radiofonico. Tra il 1979 e il 1981, con lo pseudonimo di Claudio Fossati, ha tenuto una rubrica (quasi) fissa sul quindicinale “Linea”, dedicata a quella che allora si chiamava la “musica giovanile”. Dopo aver smesso di scrivere articoli per circa 15 anni, dedicandosi a tutt’altre cose, ha ripreso a pubblicare regolarmente nel 2000 su Ideazione.com. Attualmente, tra l’altro, cura la rubrica “Ad alto volume” sull’edizione domenicale del "Secolo d’Italia" e collabora al mensile “La voce del ribelle”, la rivista diretta da Massimo Fini.
Federico Zamboni, nato a Milano nel 1958 ma cresciuto a Roma, è giornalista e conduttore radiofonico. Tra il 1979 e il 1981, con lo pseudonimo di Claudio Fossati, ha tenuto una rubrica (quasi) fissa sul quindicinale “Linea”, dedicata a quella che allora si chiamava la “musica giovanile”. Dopo aver smesso di scrivere articoli per circa 15 anni, dedicandosi a tutt’altre cose, ha ripreso a pubblicare regolarmente nel 2000 su Ideazione.com. Attualmente, tra l’altro, cura la rubrica “Ad alto volume” sull’edizione domenicale del "Secolo d’Italia" e collabora al mensile “La voce del ribelle”, la rivista diretta da Massimo Fini.
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