giovedì 4 febbraio 2010

Lo Sconosciuto, quel "fascio" senza nome del fumetto italiano

Dal Secolo d'Italia di giovedì 4 febbraio 2010
Era una notte buia e tempestosa – direbbe Snoopy – l’ultima in cui vedemmo lo Sconosciuto. Natale del ’96 o giù di lì. L’avevamo lasciato più di dieci anni prima, torturato e con i denti spezzati. Fuori gioco. E improvvisamente tornava. Senza troppe spiegazioni, come si conviene alla sua figura silenziosa. Il tempo di farsi rimettere a posto per sparire di nuovo. Sapevamo, però, che stavolta il congedo sarebbe stato definitivo. Perché nel febbraio dello stesso anno era morto il suo creatore, Roberto Raviola, in arte Magnus. A quella breve storia pubblicata postuma – Nel frattempo, dedicata all’amico Bonvi, papà degli Sturmtruppen, scomparso nel dicembre del ’95 – non ne sarebbero seguite altre. Anche per questo ci fa particolarmente piacere ritrovare in edicola, nell’elegante collana settimanale dedicata ai “100 anni di fumetto italiano”, Lo Sconosciuto, il figlio di carta al quale l’artista bolognese diede vita nel ’75.
«Non parla, non dice il suo nome, prende la pistola, spara, bam! bam! E la chiude lì», così lo descrisse Francesco Guccini, che collaborò alla sceneggiatura della prima storia, Poche ore all’alba. Un passato da legionario in Indocina e Algeria che ne tormenta il sonno – «meno dormo, meglio sto» – e un presente da “sconosciuto”, il personaggio incarna la generazione di chi, attraversata dal di dentro la follia della guerra, non ha più una bandiera per cui combattere. Di lui non si sa granché. Quel poco che sappiamo ce lo “raccontano” i flashback degli incubi notturni e l’abilità che dimostra nelle tecniche di combattimento. Si fa chiamare Unknow, dal termine inglese unknown (sconosciuto) ma senza la n finale, a sottolineare una simbolica mutilazione. Non è un avventuriero innamorato dell’azione, non ha “spalle” comiche e le donne non cadono ai suoi piedi. Ce n’era una, ma si è suicidata. Non coltiva la velleità di cambiare il mondo. Non ha nulla dell’eroe “buono” dei comics americani ai quali eravamo abituati. Vorrebbe semplicemente un po’ di pace ma va a cercarla nei posti sbagliati, nelle zone più “calde” della terra. E’ un soldato di ventura? Qualcuno potrebbe definirlo “mercenario” ma la sua disillusione non si è trasformata in cinismo e anche se è pronto a uccidere senza esitazioni chi gli sbarra la strada non rinuncia a un personale codice d’onore.
A metà degli anni Settanta, lasciata alle spalle la collaborazione con Max Bunker – un decennio in cui avevano prodotto a ritmi di lavoro vertiginosi «quindici chilometri di fumetti» e fatto nascere personaggi memorabili come Kriminal, Satanik e, soprattutto, Alan Ford e il Gruppo TNT – Magnus decide di iniziare a scrivere le storie che disegna. Dopo la separazione della “strana coppia” – li chiamavano così perché uno, Bunker, era considerato di destra e l’altro, Magnus, di sinistra – paradossalmente sarà quest’ultimo a creare, per «la Legione Straniera dei comics», come chiamava le edizioni del Vascello di Renzo Barbieri (scomparso anche lui nel 2007), Lo Sconosciuto, il personaggio più “fascista” del fumetto italiano.
C’è molto del “punto di vista” di Magnus in questa nuova sfida. «Abbraccia l’idea di quanto nobile potesse essere la sconfitta e di quanto altrettanto nobile potesse essere il raccontarla – ha scritto Luigi Bernardi, già editore di fumetti e romanziere – e d’altra parte la carriera stessa di Magnus è stata all’ombra della sconfitta: è stato uno dei quattro-cinque grandi autori del secolo, ma a parte l’affetto dei lettori non gli è rimasto quasi nulla. Ma non è proprio di un mondo ingrato e egoista che ha sempre parlato Lo Sconosciuto?».
L’idea per il soggetto, del resto, gli era venuta durante un viaggio in Nord Africa, proprio dopo aver conosciuto degli ex combattenti, reduci segnati dagli eventi che mal si adattavano a un presente ostile. Malgrado Unknow si trovi decisamente dalla parte del torto, però, il suo successo in edicola è immediato. Quella che oggi chiameremmo miniserie – sei numeri dal luglio ’75 al gennaio ’76 – è sufficiente per farne un vero e proprio cult. Il formato è quello tradizionale dei poket ma non poteva esserci albo più innovativo: per la prima volta l’attualità irrompe in una striscia popolare d’avventura, relegata istituzionalmente al mero intrattenimento. «Mentre il fumetto d’autore si autocelebrava attraverso le sue riviste – scrive Luca Raffaelli nell’imperdibile antologia Tratti & Ritratti. I grandi personaggi del fumetto da Alan Ford a Zagor (Minimum Fax 2009, p. 385 € 17,50) – Magnus era un nomade alla ricerca di se stesso e intraprendeva un percorso di autore solitario che lo portava a sperimentare con ostinazione nuove possibilità grafiche e narrative del medium». Se fino a quel momento i fumetti si avvalevano di location estranee alla realtà socio-politica che in diversa misura chiamavano in causa – dalla Londra di Kriminal alla New York di Alan Ford – Magnus decide di far muovere il proprio personaggio nel presente, senza filtri o ipocrisie. La violenza è la stessa che viene raccontata dai telegiornali e il terrorismo internazionale è servito direttamente in edicola, quasi una sorta di giornalismo a fumetti ante litteram reso efficacemente dallo stile fotografico della retinatura.
In sei albi il protagonista attraversa quattro continenti, passando dalla Roma degli anni di piombo alle realtà incandescenti del Medio Oriente, dall’America latina dei narcotrafficanti ai Caraibi sull’orlo della rivoluzione. Nell’ultimo dei sei, Vacanza a Zahkè, l’approccio di Magnus nei confronti dell’Islam, in un periodo in cui se ne sapeva molto meno di oggi, va nella direzione opposta al conflitto di civiltà e denuncia l’ingiustificata paura dell’uomo occidentale nei confronti di una cultura che non cerca neanche di capire. Il tutto citando il poeta arabo Shanfara.
«Sono un pirata che ha scoperto un’isola piena di tesori: l’immaginario collettivo – diceva di sé Magnus – e vi approdo con la mia barca, saccheggio, porto via e poi faccio dei collages di fantasie e di costumi». Immaginario contaminato dalla realtà e viceversa, una miscela esplosiva. «Dal mondo letterario – ha scritto Giulio Ciccolini in Magnus. Pirata dell’immaginario (edito da Black Velvet nel 2007) – Magnus ha assorbito lo spirito libertario che anima tanti degli eroi avventurosi che lo popolano e lo ha assunto come regola di vita sino a trasferirlo ai suoi personaggi». Eppure il fuoco di sbarramento della critica è totale. In fondo, come quello di Unknow, anche il passato di Magnus era impresentabile: aveva disegnato fumetti neri, con Bunker aveva sbeffeggiato vizi e conformismi della nostra società e, per di più, collaborava con una casa editrice – quella di Barbieri – che aveva prodotto collane “pornografiche” come Isabella, Candida la marchesa, Zora la vampira e Lando (e anche ne Lo Sconosciuto il sesso non era certo un tabù). Cosa assai più grave, Magnus aveva avuto successo. Imperdonabile. «Per alcuni popolare significa di serie B – scriveva rispedendo le critiche al mittente - ma il fumetto di serie B e anche di C non è quello popolare, bensì quello non recepito, senza pubblico...».
Quel pubblico che apprese con dispiacere la decisione di Magnus di togliere di torno Unknow con due proiettili in corpo, sparati da un terrorista mentre lui cerca di evitare una strage. La meticolosità dell’autore, attento a ogni dettaglio nei testi e nel tratto, e la sua indisponibilità ad affidare a chiunque altro le sue creature, configgevano con l’incalzare della periodicità mensile. Serialità che, peraltro, mal si addiceva a un personaggio estremo, vulnerabile nella sua umanità, come lo Sconosciuto, le cui sette vite non potevano certo diventare decine e decine.
Ciònonostante, dopo sei anni di assenza dalle edicole, tra l’82 e l’83 Magnus lo fa ricomparire sul mensile di fumetti Orient Express. È necessaria una difficile operazione chirurgica e l’esportazione di un rene ma i tre episodi brevi che ne seguiranno (raccolti in Traffici nel ’92) sono tra i migliori. Nel terzo – L’uomo che uccise Ernesto Che Guevara – viene quasi ucciso. E non ne sappiamo più nulla fino a quell’ultima apparizione del ’96. Valeva la pena aspettare, però. Ne sanno qualcosa Sergio Bonelli e i lettori di Tex. Per disegnare un albo gigante del celebre ranger – La valle del terrore (giugno ’96) – Magnus si prese la bellezza di sette anni. Giusto in tempo per completarlo (ma non per vederlo in edicola). Intervistato sul perché avesse voluto misurarsi con Tex, rispose: «Perché era una buona bandiera sotto cui cadere. E dovendo cadere, tanto vale cadere ad Alamo».
Cosa conservano gli eroi attuali del nostro Unknow? Poco, il dramma sembra consegnato a tempi lontani, oggi si consumano dolori televisivi usa e getta. Troppa fiction, almeno per i gusti di quel vecchio fascio di Unknow.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Acquistato ieri. Condivido l'articolo, un fascista immaginario alla Pratt, un po' più rude.

giovanni fonghini una voce fuori dal coro ha detto...

Eravamo intorno al 1975:io ero un giovane studente liceale, alto, magro, allampanato (un pò come il nostro Alan Ford), ma per tanti altri ero soprattutto un giovane "fascio" con l'aggravante familiare di essere anche figlio di un Fascio vero che aveva fatto la guerra dalla parte sbagliata, indossando le mostrine della RSI.
Quel giovane fascio dei caldi anni '70 era peraltro un accanito lettore di fumetti (viste le scarse risorse familiari pochi ne acquistavo e volta per volta ne barattavo altri con i ragazzi del quartiere).
Ma gli albi di Alan Ford, del mitico scalcinatissimo gruppo TNT, quelli proprio no: non li barattavo, anzi li custodivo gelosamente.
Ricordo, come fosse oggi, con quanta ansia e trepidazione aspettavo l'uscita del mio mensile preferito, per elemosinare 200 lire (poi 250) da mia madre per correre -ero allora un discreto centometrista mancato- dal mitico Otello dell'edicola di Piazza della Rocca a Viterbo, la mia città da sempre.
Tutto questo per dire che Magnus alias Roberto Raviola e Max Bunker alias Luciano Secchi sono (per uno dei due purtroppo erano) mie vecchie frequentazioni da quasi 40 anni. La prima raccolta che iniziai di Alan Ford correva l'anno 1973 o giù di lì.
Ho ovviamente pochi mesi fa subito ordinato la nuova raccolta dei mitici primi 60 numeri del nostro Alan, alcuni dei quali li possiedo in albi originali.
Anzi sto ogni giorno imprecando contro le nostre Poste, perchè non ho ancora ricevuto nemmeno un pacco.
L'ultimo "remember" per non rischiare di annoiarvi troppo: ricordo perfettamente quando si consumò il divorzio artistico tra Magnus e Max Bunker: eravamo all'incirca intorno al numero 72.
Io e tanti altri affezionati lettori,nel numero successivo al loro divorzio, rimanemmo anche un pò sconcertati dalla diversa mano grafica dei nostri beniamini di carta.
Eravamo i feroci giovani fascisti degli anni di piombo: io leggevo Alan Ford, l'indimenticabile Mario Zicchieri "Cremino" della sezione Prenestino dell'MSI, ucciso a 16 anni nel 1975, stava andando a casa a vedere Happy Days.
Questi erano i nemici da abbattere dell'Italia democratica e Antifascista(intanto i faccendieri come Sindona e Gelli facevano i loro sporchi giochi , talvolta grondanti di sangue, con la collaborazione attiva dei "servizi deviati" e i ministri della Repubblica Italiana chiudevano i loro occhi).
Giovanni Fonghini