venerdì 14 maggio 2010

Osho, il mistico "pop" che conquistò l'Occidente (di Marco Iacona)

Articolo di Marco Iacona

Il 19 gennaio del 1990 moriva a Pune in India il notissimo filosofo e leader carismatico Osho (Rajneesh Chandra Mohan Jain, poi: Bhagwan Shree Rajneesh). Pochi giornali in occasione dei vent’anni dalla scomparsa hanno ricordato l’importanza di questo maestro per quelle generazioni che hanno vissuto in pieno l’ondata di neospiritualismo che ha investito l’Occidente nel dopoguerra, soprattutto negli anni successivi al decennio dei Sessanta. Eppure a tutt’oggi i libri di Osho sono ancora molto letti e l’“utilizzo” dell’insegnamento del maestro spirituale che propone un percorso di liberazione, di consapevolezza di sé, di riscoperta di appartenenza “alla vita” e poi ovviamente di reale benessere e di libera pratica sessuale, lascerebbe pensare a ben altra collocazione nel novero delle personalità dei nostri tempi. Osho è stato peraltro il fondatore del movimento con stile di vita “alternativo” degli “Arancioni” (Osho-Rajneesh movement), diffusi anche in varie città italiane e in passato opportunamente legato al dinamico partito radicale.
Parlare di spiritualismo contemporaneo (e tenere magari ben presente il “criticismo” evoliano) è abbastanza rischioso, soprattutto quando ci si imbatte in personalità come quella di Osho che peraltro venne pure arrestato negli anni Ottanta in America, a seguito di uno scandalo che coinvolse il suo ranch nell’Oregon – una vera e propria città – luogo dove si era spostato agli inizi degli Ottanta, avendo messo su delle attività economiche di vario genere (dalle aziende agricole alle attività commerciali con tanto di casinò), e che solitamente viene citato per l’efficacia e la semplicità (come sinonimo di superficialità) delle “sintesi” dottrinali proposte nel corso degli anni. Per la compianta antropologa e studiosa delle religioni cosiddette alternative, Cecilia Gatto Trocchi critica fino all’ironia verso alcune sette religiose il “successo” di Osho sta infatti proprio nel «sincretismo assai originale fra le varie dottrine orientali». Rajneesh non è il primo a mettere insieme elementi delle più svariate culture del pianeta – ma forse è il più bravo o magari è solo il guru che arriva al momento giusto – e così assembla vari «elementi portanti, come quelli desunti dall’induismo, dal tantrismo, secondo i quali tutto è sacro, compreso l’atto sessuale, anzi il sesso è un mezzo per progredire nell’ascesi spirituale, per arrivare a trascendere la sessualità senza reprimerla». Molto ci sarebbe da dire sul sesso, a cominciare dagli studi di Evola – che precedettero e di molto le idee di Osho – per poi approdare anche alle teorie dell’ex freudiano Wilhelm Reich, e molto ci sarebbe da dire sulla “singolarità” di certe affermazioni oshiane, tanto che diventa subito chiara la circostanza che le possibilità, le vie, attraverso le quali operare una “trasformazione” dell’individuo per Osho sembrano pressoché infinite, perché “infinite” le fonti alle quali egli stesso attinge: buddhismo, pratiche yoga, mistica Sufi, filosofia greca, alchimia medievale, teologia cristiana, tradizione ebraica e zoroastrismo. Un vero precursore della controcultura “New Age” insomma che peraltro adatta alla perfezione “vecchie” teorie o dottrine alle esigenze dell’uomo contemporaneo.
Nel paniere del coltissimo Osho (diecimila libri letti e seicento che raccolgono i suoi “studi” sull’uomo!!) non mancano peraltro le eccellenze occidentali: da papà Freud e tutti i suoi allievi (ovviamente Jung), fino al ben più lontano Paolo di Tarso. Perfino Friedrich Nietzsche, dice ancora la Gatto Trocchi (qui l’appartenenza è del tutto scontata) è uno degli ispiratori del filosofo nato a Kuchwada nel dicembre del 1931, lo si evince da alcune espressioni che (senza peraltro citare la fonte), Osho donerebbe sovente ai propri lettori: «Diventa ciò che sei; Voi guardate in alto perché cercate elevazione, io guardo in basso perché sono elevato, ecc…».
In tutta questa abbondanza di riferimenti, emergono delle parole d’ordine oshiane che possono considerarsi determinanti per penetrare l’“insegnamento” di Rajneesh. Al centro di tutto sta la meditazione quale atto di trascendenza della stessa mente dell’uomo. La meditazione è per Osho un andare oltre la mente, quasi una regressione allo stadio fanciullesco un ritorno a una “condizione” di piena innocenza. Meditare oggi – cioè nel mondo moderno – significa in primo luogo svuotare la mente dalle distrazioni esterne mediante tecniche o esercizi ricavati da diversi luoghi del “pensiero” o delle emozioni: dalla danza, al riso, dall’alterazione del respiro al pianto. La stessa meditazione poi – tutt’altro che un esercizio passivo – si basa su principi di tipo psicanalitico oltreché sulla concezione che psiche e corpo sono intimamente connessi. Scopo della meditazione è infine quella di ottenere l’illuminazione che - nella concezione oshana - null’altro è se non l’acquisizione di una piena consapevolezza nelle azioni della più comune quotidianità. Quasi una iniziazione “pop” potremmo dire, nulla di élitario o di esclusivo in fin dei conti. Quasi una iniziazione di tipo “profano” verrebbe da commentare leggendo ancora Gatto Trocchi: «il nocciolo del suo insegnamento è stato negare ogni insegnamento. Non esiste per Osho nessun Dio né l’aldilà dopo la morte. Ognuno deve percorrere la sua strada e può farlo solo dubitando di tutto…». Proprio per questa sua propensione alla “ribellione” perfino nei confronti degli stessi maestri spirituali o guru, Osho è stato considerato a lungo una “guida spirituale” della Nuova sinistra (così lo classificò ad esempio Fabrizio Ponzetta nel suo: L’esoterismo nella cultura di destra. L’esoterismo nella cultura di sinistra, Jubal 2005) a lui furono vicini ad esempio Andrea Valcarenghi fondatore della rivista della controcultura Re Nudo, e Mauro Rostagno; Federico Fellini e Giorgio Gaber firmarono invece petizioni in suo favore dopo che a seguito degli scandali nati degli Stati uniti Osho fu costretto a girovagare per mezzo mondo malvisto dall’America reganiana. Sappiamo benissimo tuttavia che certe classificazioni destra-sinistra oggi andrebbero completamente riviste.
Come per gran parte dei maestri spirituali, Rajneesh giunse alle sue certezze attraverso una ricerca “della verità” che incrociò il proprio punto di vertice un giorno ben determinato. Per lui si trattò del 21 marzo del 1953. Sta scritto infatti nelle note biografiche inserite nei suoi libri che quel giorno «egli si illumina, vivendo ciò che in Oriente è descritto come “l’istante in cui la goccia si fonde nell’oceano, nell’attimo stesso in cui l’oceano si riversa nella goccia”. Per noi è più facile comprenderla come “la totale rottura e la caduta delle maschere con cui ci si identifica per sopravvivere, e attraverso le quali si vivono la propria vita e i rapporti con gli altri, perdendo la capacità di mettersi in contatto con la realtà dell’esistenza”». Insomma: Rajneesh apre gli occhi “sulla realtà” e allo stesso tempo decide di invitare «gli altri esseri umani» alla conoscenza di quel tipo di consapevolezza e alla conseguente trasformazione delle proprie abitudini interiori ed esteriori. Comincia così a viaggiare per l’India, a tenere dibattiti e a coinvolgere sempre più “discepoli”. Nel ’74 si trasferisce a Pune dove fonda un centro spirituale che in pochi anni riesce a calamitare migliaia di visitatori soprattutto dall’Occidente. Perfino il nome col quale è noto (Osho appunto) ricorda il fondamentale tratto biografico del leader degli Arancioni. «Osho ha spiegato che il suo nome deriva dal termine osheanic coniato dal filosofo inglese William James, e da lui usato per indicare l’esperienza del “dissolversi nell’oceano dell’esistenza” comune alle varie forme dell’esperienza religiosa». Osho è dunque colui che compie quella determinata esperienza. Ma Osho è anche l’appellativo utilizzato nell’antico Giappone come segno di rispetto per i maestri Zen: “O” come rispetto appunto, e “Sho” come espansione della consapevolezza...
Alla morte Rajneesh volle la seguente epigrafe: «Osho. Mai nato, mai morto, ha solo visitato questo pianeta Terra dall’11 dicembre 1931 al 19 gennaio 1990». Una frase a effetto: una parola dietro un’altra da profeta dell’ironia, da maestro Zen e da pensatore agnostico. Tutti e tre in un colpo solo.

Marco Iacona è dottore di ricerca in "Pensiero politico e istituzioni nelle società mediterranee". Si occupa di storia del Novecento. Scrive tra l'altro per il bimestrale "Nuova storia contemporanea", il quotidiano "Secolo d'Italia" e il trimestrale "la Destra delle libertà". Per il quotidiano di An nel 2006 ha pubblicato una storia del Msi in 12 puntate. Ha curato saggi per Ar e Controcorrente edizioni. Nel 2008 ha pubblicato: 1968. Le origini della contestazione" globale(Solfanelli) e Il maestro della tradizione. Dialoghi su Julius Evola (Controcorrente).

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