Da Area, giugno 2010
Ovviamente ci attendono tempi grami. Bisognerà stringere la cinghia, crescerà la disoccupazione, molte imprese non ce la faranno, aumenterà il costo della vita. La cosa si può affrontare in maniera responsabile o irresponsabile. Per ora, almeno nei media, prevale la seconda. L’annuncio di una nuova austerity ha dato la stura all’ennesima, noiosa, cialtrona campagna anti-parlamentare. Chi sia l’imbecille di genio che ha creato l’immagine retorica della “casta” non saprei, ma un giorno andrà ricordato...
La suggestione che gli unici denari pubblici sprecati siano quelli degli stipendi dei parlamentari, oltre che sciocca, è pericolosa. Purtroppo ormai è dilagata come una malattia venerea e, semmai ce ne fosse bisogno, la “casta” parlamentare ha dato ulteriore prova della propria insignificanza non potendo far nulla per arginarla. Eppure alcune fievoli voci si sono alzate, se non altro per dire alla folla istupidita: “Ehi! Guardate che vi stanno agitando di fronte un drappo rosso perché non vi voltiate a vedere dove sono le caste vere!”. Ma mettersi sulla strada del toro impazzito non è cosa saggia. A nulla è valsa la vicenda Santoro, che sarebbe stata sufficiente per far vedere la luce anche a un idiota cieco.
Come se il denaro della Rai non fosse denaro pubblico come quello degli stipendi dei parlamentari. E nessuno commenta le minacce dei magistrati, che stanno sui giornali ormai ogni giorno per avvertire la politica che i suoi privilegi non si toccano. L’Anm è ormai l’unico “sindacato rivoluzionario” ancora esistente al mondo. Si può tagliare l’occupazione, i fondi alla cultura e persino quelli per la difesa, ma guai a toccare gli stipendi dei magistrati o le paghe fantastiche dell’aristocrazia del giornalismo. E se per giustificare che un top manager percepisca al mese il doppio di quello che un impiegato prende in un anno ci si attacca al solito, vacuo “ma sono soldi privati”, per giustificare gli intoccabili privilegi delle altre caste si scomodano addirittura la libertà di stampa e la difesa della legalità.
La libertà di stampa, infatti, non è garantita dalla serietà dei giornalisti, ma dal fatto che alcuni di loro possano percepire centomila euro per una trasmissione di un’ora e la legalità non viene difesa con l’impiego di maggiori mezzi o con una maggiore certezza del diritto, processi più veloci o procedure più semplici, ma dagli stipendi d’oro dei magistrati. A nessuno passa per la mente di dire che eliminando i parlamentari si elimini la democrazia parlamentare, ovviamente. Forse perché - ed è sempre più probabile - della democrazia in generale e di quella parlamentare in particolare, non gliene frega più a nessuno.
Eliminiamolo pure il Parlamento, tanto non conta nulla. I parlamentari ne sono testimoni. Non servirà certo a sanare i conti del Paese, ma almeno impedirà alle caste vere di avere uno specchietto per le allodole per distrarre gli sprovveduti. Tanto il potere legislativo ormai è passato in altre mani: quelle della Commissione europea e delle Regioni, con buona pace della sovranità nazionale. E non serve certo andarsi a rivedere il film di Orson Welles per sapere che esiste un Quarto Potere che può distruggere e ricostruire qualsiasi uomo politico, partito o esecutivo. Del potere giudiziario, come già detto, è meglio tacere.
Non male l’idea di una società dove comandano i giudici, i giornalisti e gli attori e dove la classe politica è ridotta solo all’amministrazione pubblica, ricattata e blandita di volta in volta dalla magistratura e dalla stampa, e con una massa di cittadini distratta dal circo e nutrita a gossip. In fin dei conti anche i cittadini dalla politica vogliono solo la raccomandazione, il favore, il finanziamento pubblico, l’appaltino, non già garanzie per l’interesse collettivo... Chi crede che i costi eccessivi della politica siano gli stipendi dei parlamentari è uno sprovveduto, ma chi lo sostiene è un ipocrita. Chiunque abbia avuto a che fare con il mondo della politica (che purtroppo ormai non è più idee, progettualità, valori o foss’anche odii ideologici) sa che il modo in cui questa grava sulla salute economica della Nazione è attraverso il malaffare diffuso apparentmente inestirpabile e dal quale non sembra immune nessuna parte politica.
E non ci sono inchieste, processi o leggi che possano sradicare la percezione diffusa - e oggi ancor più presente tra i giovani che si affacciano alla politica - che l’unico senso dell’impegno sia assicurarsi il modo di poter gestire le risorse pubbliche e che sia un modo di arricchirsi molto meno faticoso. è questa immagine che siamo chiamati a demolire. Il rimpallo di responsabilità non funziona. L’unico strumento è l’esempio. Nella consapevolezza - ahimé - che molti in Italia pensano ancora che “onesto” sia sinonimo di “fesso”.
Marcello De Angelis
Area, giugno 2010
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