martedì 8 giugno 2010

Lippi, un po' Tex e un po' Jenkins di Dylan Dog... (di Michele De Feudis)

Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia di martedì 8 giugno 2010
Si schierano Italo Cucci, Ivo Germano, Gino Agnese e Pippo Russo ...
I Mondiali del Sudafrica saranno indissolubilmente i campionati di Marcello Lippi. Il ct azzurro non solo è il "deus ex machina" della spedizione ma rappresenta in pieno pregi e difetti dell'italianità. Nelle ultime settimane sta inanellando brutte figure sul campo, una dopo l'altra. Una sconfitta con il Messico e uno striminzito pari con la Svizzera sono il misero bottino del ritiro pre torneo al Sestriere. Le ultime uscite pubbliche del viareggino sono spiazzanti...
Per motivare il gruppo ricorre ad una icona del tennis: "Francesca Schiavone è il modello da imitare". Mai si era verificato nel Paese dove il pallone è la più praticata religione civile che si esaltassero archetipi di sport nobili ma alla fine minori. Sul piano tattico, parafrasando lo scrittore Sandro Veronesi, si assiste impotenti ad un autentico "Caos Calmo". "4-3-3 o 4-1-4-1, è un po' la stessa cosa. Ho sempre detto che i moduli contano relativamente. Ne ho parlato ai ragazzi, ne abbiamo provati due o tre, siamo una squadra versatile ed è un vantaggio. Al momento giusto, alla vigilia della partita contro il Paraguay, valuterò le condizioni dei giocatori e sceglierò lo schema giusto": Lippi non sembra avere le idee affatto chiare.
Abbiamo chiesto allora a quattro intellettuali di fornirci una chiave per decifrare il personaggio del ct della Nazionale, tra una figura che possa ispiralo e una incursione nel mondo dei fumetti.

Italo Cucci, opinionista di Raisport nonché storico direttore del Guerin Sportivo e del Corriere dello Sport, ne difende il carisma e richiama alla memoria un insuperato timoniere azzurro, il trionfatore dei campionati del 1934 e del 1938. "Marcello Lippi - spiega il giornalista di Sassocorvaro - insegue il mito di Vittorio Pozzo. Il record di coppe del mondo vinte è condiviso da Italia e Brasile, quello dei due trofei di fila è appannaggio solo dell'allenatore torinese". Giorgio Bocca ne esaltava le doti con questa formula: "Un tipo di alpino e salesiano arrivato chissà come alla guida degli azzurri senza essere né un allenatore di professione né un burocrate dello sport ma semplicemente un piemontese risorgimentale ciecamente convinto delle virtù piemontesi". Cucci, invece, loda le qualità del viareggino nella gestione dello spogliatoio: "Cura il gruppo come nessun altro. E' un vero condottiero. Se fosse un protagonista dei fumetti non avrei dubbi: mi ricorda Tex Willer alla testa dei suoi pard".



Feroce censore lippiano è il sociologo Ivo Germano, fine osservatore delle contaminazioni tra sport e immaginario: "Il nostro ct ha portato in Sudafrica una Nazionale già vecchia. E' una perfetta icona reazionaria. Un Paperon de' Paperoni, chiuso nelle sue ataviche convinzioni. Nella sua esaltazione del gruppo c'è senza dubbio un riconoscimento dei contenuti del suo lavoro e delle qualità dei vari giocatori. Allo stesso tempo è la certificazione della sua vera natura: è uno spegnitore-affossatore di talenti. L'infortunio di Pirlo, unico fantasioso della rosa, è un inevitabile contrappasso dantesco... La brigata azzurra assomiglia ad un undici coeso ma senza genio". E, se al momento il ritiro azzurro è un cantiere a cielo aperto, una reminiscenza alla Brera potrebbe dargli una scossa: "Lippi può solo affidarsi alla dea Eupalla. Privo del necessario "realismo magico" alla Borges, non gli resta che chiedere lumi alla immaginaria divinità del calcio... Per il futuro non ci resta che sperare nella scommessa antropologica alla quale è chiamato Prandelli".



Gino Agnese, direttore della Quadriennale nonché biografo di Umberto Boccioni e Filippo Tommaso Marinetti, non ha dubbi e ricorre ad una delle più diffuse figure retoriche partenopee: "Lippi davvero è una capa tosta". Le rughe sul viso e la stanchezza che trasmette a tifosi e addetti ai lavori è un dato di fatto. "Il commissario tecnico sembra un vecchio circense. Qualcuno - insiste Agnese - avrebbe dovuto dirgli in tempo di passare la mano. Il calcio è un mondo nel quale la generosità e la gratitudine scarseggiano. Un giorno si è eroi per una vittoria, quello successivo si può cadere nella polvere a causa di una battuta d'arresto. Un po' tutti in questi mesi hanno provato a dargli consigli, ma Lippi non si è mosso di un millimetro, prigioniero delle sue certezze". Per chiudere l'intellettuale napoletano rievoca una indimenticabile freddura del grande giornalista e umorista Leo Longanesi: "Quando osservo l'allenatore toscano al cospetto dei giornalisti mi sembra che stia per sentenziare la massima dello scrittore di Bagnacavallo: grazie dei consigli, ma so sbagliare da solo".



Un salto pop negli Stati Uniti con la lettura del caso Lippi di Pippo Russo, sociologo e commentatore sportivo per l'Unità e la Repubblica. "La figura dei fumetti che gli assomiglia di più é JJJ, John Jonas Jameson: burbero e antipatico come il direttore del Daily Bugle, il giornale nel quale lavorava Peter Parker, alter ego dell'Uomo Ragno. Incarna l'animo totalizzante di un assolutista, che vorrebbe fare tutto da sé, e si relaziona con il prossimo in maniera biliosa. La sua mancanza di umorismo fa tornare alla mente l'idiosincrasia per la leggerezza di Jenkins, l'agente di Scotland Yard che compare nelle avventure di Dylan Dog". Per Russo c'è solo un'ancora di salvezza: "Spero che nel sonno Lippi riceva una visita da Nereo Rocco, profeta del calcio italianissimo. Gli darebbe la dritta giusta. Ma Marcello negherebbe fino alla morte di averlo mai incontrato".

di Michele De Feudis

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