Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di martedì 29 giugno 2010
Da circa tre anni una certa pubblicistica sta tentando di individuare quali siano le esperienze politiche e di elaborazione intellettuale di un passato più o meno recente che avrebbero anticipato e prefigurato l'approccio e la sensibilità ormai egemoni a destra dello scacchiere politico italiano. Si parli di vocazione alla condivisione nazionale, di attenzione alla sfera dei diritti, di capacità di autocritica interna, di privilegiare la società civile rispetto alle burocrazie, di apertura alle esigenze delle giovani generazioni, di prospettiva euromediterranea, lo sguardo si è quasi sempre rivolto alle tematiche avanzate dalla cosiddetta "nuova destra" tra il 1977 e il 1984 circa o, in alcuni casi, al movimentismo giovanile espressosi a destra più o meno nello stesso arco temporale...
C'era invece anche altro, soprattutto un'esperienza che resta senz'altro il contributo più avanzato e critico di avviare una nuova fase politica a destra e non solo. Non a caso la ripubblicazione del saggio in prima persona di Luciano Lucci Chiarissi, Esame di coscienza di un fascista (Settimo Sigillo, pp. 143, € 15,00, prefazione di Carlo Garabello e Vittorio Neri) arriva a proposito, contribuendo a riportare all'attenzione degli studiosi e del dibattito pubblico un punto di vista e una prospettiva che anticipavano di oltre un quarantennio l'approccio ritenuto necessario per una politica finalizzata all'indipendenza nazionale e all'integrazione civile.
Lucci Chiarissi, di cui proprio oggi ricorre il ventunesimo anniversario della scomparsa, non svolse mai politica elettorale, come non è stato né parlamentare né dirigente di partito, ma da ex ragazzo di Salò, da avvocato, da intellettuale, da fondatore e direttore della rivista L'Orologio, da scrittore e animatore negli ultimi anni dell'associazione Italia e Civiltà, svolse un importantissimo ruolo di elaborazione e anticipazione di cui con tutta evidenza oggi verifichiamo la giustezza. Lo dimostrano le pagine di questo Esame di coscienza, testo arrivato in libreria nel 1978, la cui attualità è sconvolgente. Per restituire un significato autentico ed efficace all'impegno politico in Italia, sosteneva in premessa l'autore, era necessario un "esame di coscienza" , cominciando da se stessi e dalla propria area di riferimento, proporlo poi anche alla parte avversa e quindi all'intera comunità nazionale. «Poi - aggiungeva - si possono rimescolare le carte, per rintracciare le nuove consegne che possano ridare un senso appunto alla storia e alla vita della comunità nazionale. Ognuno deve, pertanto, assumere delle nuove responsabilità, rivendicando fino in fondo il proprio passato, ma senza presumere di dargli una validità gratuità per il presente». Al posto della tanta evocata "pacificazione" sull'onda di un generico e impolitico "volemose bene", Lucci Chiarissi proponeva invece un percorso di "ripensamento" con il fine esplicito di «conoscere noi stessi per quello che siamo oggi veramente, e non per le maschere convenzionali che abbiamo dovuto o voluto assumere». Cominciando dal nodo-fascismo: «Mussolini - scriveva Lucci Chiarissi guardando al clima dell'imediato dopoguerra - non poteva essere "vendicato" perché Piazzale Loreto non poteva essere interpretato sul piano di un delitto comune, bensì come una pagina di tragedia. Non si impicca, infatti, un uomo con i piedi all'insù, e in un clima come quello, se non in un rapporto di odio-amore che appartiene ai grandi drammi della storia. Mussolini aveva assunto delle responsabilità storiche nelle quali si era misurato e si misurava, con la sua dignità, quella del popolo italiano: non poteva finire che drammaticamente, e non come un qualsiasi pensionato. Si trattava quindi non di "vendicare" Mussolini, ma di sentire il profondo "perché" di quella tragedia, e di proporlo alla sensibilità di un'Italia da riconquistare...».
A partire dal 1947, invece, chi doveva proporre questa prospettiva si carratterizzerà, sostiene Lucci Chiarissi, da un lato con la politica dell'inserimento nei giochi determinati dagli altri (scelte obbligate tra Usa o Urss, destra o sinistra, liberismo o dirigismo, religione o laicità...), dall'altro mobilitandosi per il "dissidentismo" interno secondo cui le cose andavano male a causa dei tradimenti della classe dirigente di partito (eludendo così il necessario "esame di coscienza" e limitandosi all'estremizzazione delle stesse declinazioni politiche del partito ufficiale, e cioé dell'anticomunismo, dell'occidentalismo acritico, quando non addirittura dell'atlantismo). Per non dire - e anche qui l'analisi sulle scorciatoie di una destra impolitica è d'estrema attualità - di quella che qui viene chiamata l'infatuazione per un certo spiritualismo politico che punta ad accreditare «la Chiesa cattolica come l'alfiere della crociata per la libertà contro il totalitarismo comunista». Ma il problema italiano, annotava Lucci Chiarissi, «non poteva e non può essere risolto dalla Chiesa». Ma deve essere affrontato dagli italiani tutti, attraverso un percorso di vero esame di coscienza in grado di approdare alla riapproprazione delle «chiavi di casa». Il che significa, anche e soprattutto, guardare in faccia gli altri, farsi carico anche della loro storia. Non a caso il libro si apre con una lunga citazione di Cesare Pavese a mo' di epigrafe. È il passo da Prima che il gallo canti in cui lo scrittore piemontese accennava, dal suo punto di vista, all'"altra parte": «Ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblicani. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico diventa morendo una cosa simile, se ci arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue...». Questo stesso atteggiamento Lucci Chiarissi lo avrebbe voluto espresso politicamente anche dai fascisti. Occorreva guardare positivamente all'Italia contemporanea: «Si stava costruendo il miracolo economico, c'era un'Italia viva, malgrado ogni apparenza ufficiale, per la prepotente emergia costruttiva degli italiani. I quali, proprio attraverso tanti avvenimenti, guai e vicissitudini, avevano aperto gli occhi sul mondo, e più non si accontentavano della meschina realtà che per secoli li aveva tenuti prigionieri, nei borghi e nelle loro case, di una società fossile. Erano sorti dovunque cantieri, fabbriche, centri di lavoro. Forse a modo loro gli italiani tentavano così di riscattare le ore della disfatta...». E quest'Italia andava interpretata politicamente. Ma gli ambienti della destra, rileva amaro Lucci Chiarissi, non solo non seppero comprenderlo ma, in realtà, tutti i fermenti vitali e nuovi espressi nella società italiana li hanno visti estranei e ostili. Il miracolo economico e l'Italia di Enrico Mattei vennero snobbati con la banale battuta della "Repubblica fondata sulle cambiali". «Tutto questo - si legge - avvene con una stato d'animo assieme di pigrizia intellettuale e di concreta inerzia politica, motivata a volte addirittura dalla presunzione di essere a priori nella verità e nella luce della Tradizione e non dover quindi perdere tempo a comprendere la realtà umana...». Analogo discorso per il '68: «Costituiva un dato vitale nella società di allora. Ma proprio di fronte a esso vennero a galla gli equivoci dell'ambiente "nazionale". Quando ci si caratterizza come "nemici della sovversione rossa in quanto portatori degli eterni valori dello spirito" non si è infatti in grado di sfuggire al ricatto dell'ordine costituito». Da ex fascisti a estremisti di destra al servizio degli equilibri conservatori. Contro questo Lucci Chiarissi, insieme a chi la pensava come lui, aveva fondato, nel 1963, L'Orologio: «Annibale non è alle porte. E comunque - vi si leggeva - non lo è a causa del centrisinistra». Non a caso Esame di coscienza si conclude così: «Nella lotta politica non esistono posizioni gratuite. L'avvenire non può essere ipotizzato su schemi a priori, ma dev'essere conquistato. Esso sarà di chi avrà più fantasia e creatività politica».
Luciano Lanna
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