venerdì 2 luglio 2010

Victor Gischler e suoi eroi noir tra gli hobbit e Tarantino

Dal Secolo d'Italia di venerdì 2 luglio 2010
«Ho capito che volevo fare lo scrittore quando ho letto Lo Hobbit di Tolkien». Un “outing” così non te l’aspetteresti dal quarantenne Victor Gischler, senza dubbio lo scrittore americano più noir degli ultimi dieci anni. Tanto pulp da far saltare sulla sedia quel mostro sacro di Joe Lansdale, principale “sponsor” del giovane collega: «Le sue storie sono devastanti, fredde come il ghiaccio secco, piene di intrighi e di divertimento allo stato puro. Victor non si accontenta di spingere al massimo la scrittura, la porta a danzare sull’orlo dell’abisso. Leggerlo è un divertimento selvaggio».
Negli States è già uno degli autori più popolari, per i sette romanzi all’attivo e per la sua attività di sceneggiatore di punta della Marvel Comics. Da noi lo diventerà presto. A scommettere su di lui è la Meridiano Zero che, proprio in questi giorni, assesta un uno-due di quelli destinati a mettere al tappeto il lettore...
 La casa editrice padovana, infatti, ha spedito in libreria, a poche settimane l’uno dall’altro, Anche i poeti uccidono (pp. 286, € 15) e l’edizione tascabile de La gabbia delle scimmie (pp.318, € 10), l’opera prima con cui, nel 2001, Gischler si guadagnò a sorpresa la finale del prestigioso Edgar Award, gli Oscar del noir a stelle e strisce.
Come se non bastasse, il prossimo 5 agosto, 100%Marvel, la “filiale” italiana del colosso americano, pubblicherà i primi sei episodi di Deadpool: merc with a mouth. La serie, scritta da Victor Gischler, negli Stati Uniti ha già registrato un incredibile successo e c’è da credere che Deadpool, «il mercenario con la parlantina», diventerà presto un culto alla pari dei suoi fratelli maggiori: l’Uomo ragno, Iron Man e Hulk. Grazie all’impatto planetario che il grande schermo ha nell’immaginario collettivo. Dopo una prima apparizione al cinema (una “comparsata”) al fianco dei ben più famosi mutanti de X-Men le origini: Wolverine (2009), Deadpool avrà un film interamente dedicato a sé nel 2011, sempre interpretato dall’attore canadese Ryan Reynolds. Deadpool, la cui identità – come nella migliore tradizione dei super eroi – è celata dietro a un costume, una tuta integrale rossa e nera, è uno di quei personaggi che fanno discutere: cacciato dall’US Army per insubordinazione, Wade Winston Wilson (il suo vero nome) ha messo a frutto la sua esperienza nel combattimento corpo a corpo e nelle arti marziali reinventandosi come soldato di ventura, spietato ma con un personale senso dell’onore. «Sono il migliore in quel che faccio ma quello che faccio non è molto piacevole», dice di sé con l’humor che lo caratterizza.
Una passione, quella per le nuvole parlanti, che Gischler ha “contratto” sin da bambino. «Quando avevo otto o nove anni mio fratello e io scrivevamo lunghe storie a fumetti e io facevo i disegni – ha ricordato – e poi le mandavamo alla Marvel Comics. Mi sembra comico, tanti anni dopo, trovarmi a scrivere davvero per la Marvel. Con Punisher e un episodio di Wolverine ho cominciato a scrivere i comics, ma in realtà è con Deadpool che ho trovato la mia vera strada. Lo adoro».
Poco dopo, come accennavamo, l’incontro con i romanzi di Tolkien. Raccontato così: «Un’estate, avevo dodici anni, ero in viaggio con mio padre. Eravamo andati a trovare uno dei suoi vecchi compagni di scuola e lui tirò fuori da uno scaffale Lo Hobbit di Tolkien e me lo diede dicendo: “Tieni, divertiti un po’ con questo”. Io già leggevo abbastanza, ma fu la prima volta che mi immersi completamente nel mondo creato da un autore. Capii che era quello che volevo: creare mondi in cui il lettore potesse entrare dimenticando tutto il resto». Ed è quello che accade leggendo i romanzi, dal ritmo martellante, di Gischler. «Li ho divorati. Non riuscivo a staccarmene», ripete Lansdale, insieme al quale sono stati qui in Italia lo scorso mese di maggio. Una tournée durata una decina di giorni, trascorsa a parlare di romanzi e fumetti, dal festival blues di Piacenza a One shot, la giornata dedicata al pulp noir organizzata a Padova da Sugarpulp, il movimento letterario che fa della «narrazione a duecento all’ora e montata in modo ipercinetico e del modo di scrivere che mescola il linguaggio cinematografico della sceneggiatura con i profumi di sangue e zucchero della Bassa» il proprio manifesto d’intenti. Dalla Bassa (Padana) a Baton Rouge, in Louisiana, corre qualche chilometro ma anche diverse affinità, abbastanza da fare di Gischler uno dei principali punti di riferimento dei giovani scrittori di Sugarpulp. Una comunanza di passionacce: «Io adoro il pulp, i B-movie e tutta la cultura popolare – ha detto lo scrittore americano – e mi piace mescolare nei miei romanzi l’energia del rock’n’roll con il dinamismo parossistico dei fumetti e l’approccio cinematografico». Una sorta di «Cormac McCarthy sotto anfetamine», come ama definirsi, una vera e propria centrifuga degli stili narrativi di Quentin Tarantino, Robert Rodriguez, Sam Peckimpah e Frank Miller. Il tutto arricchito da una cifra individuale notevole, da un talento immediatamente riconoscibile. Capace di conciliare credibilmente una violenza senza filtri morali e la crudezza del mondo criminale con un tono scanzonato e veloce. Persino ironico, da black comedy. Dimostrando una conoscenza dell’antropologia delinquenziale degna di Edward Bunker ma senza alcuna pretesa di realismo o, meno che mai, di denuncia sociale: «Rispetto gli autori che utilizzano il realismo per dire la loro, ma io non lo faccio. A me piace andare oltre il limite». I suoi malavitosi sono certamente gente dal grilletto facile e tipi poco raccomandabili ma non necessariamente peggiori delle loro vittime. Non traccia una linea di confine netta e riconoscibile tra bene e male, buoni e cattivi. Rivendica la scuola di Tolkien: «Nel Signore degli anelli, - spiega – quando Frodo e gli gobbi incontrano per la prima volta Aragorn e decidono se dargli fiducia o meno, Frodo sottolinea che il servitore del nemico “potrebbe sembrare più accattivante, ma essere più cattivo”. Io mi sono sempre trovato a costruire i miei personaggi allo stesso modo. Parafrasando Frodo, la bellezza non va di pari passo con la bontà e la bruttezza non è automaticamente sinonimo di cattiveria».
E decisamente accattivante, oltre che cattivo, è Charlie Swift, il protagonista de La gabbia delle scimmie, gangster senza paura e pronto a tutto per aiutare il suo capo ma fidanzato e figlio affettuoso con le due donne più importanti della sua vita, Marcie e sua madre. A dare il voto a Charlie sarà un attore molto famoso, ma Gischler preferisce – per scaramanzia – non parlarne, anche se il film è ormai programmato e regista e sceneggiatori sono già stati incaricati di mettersi al lavoro per restituire, nella trasposizione cinematografica, un personaggio altrettanto credibile. Fare quello che Gischler non ha mai voluto fare: «Il non dovermi preoccupare dei lettori o delle regole e pensare solo a scrivere. Ero felice di non doverlo rendere un eroe buono, ma lasciargli fare quello che avrebbe fatto uno come lui». È solo questione di tempo e sul grande schermo finirà anche l’annoiato e svagato professor Jay Morgan, protagonista di Anche i poeti uccidono: poeta tutt’altro che animato dal sacro fuoco della poesia, una docenza di letteratura inglese a contratto per un campus universitario dell’Oklahoma utile soprattutto a coltivare studentesse spregiudicate in cerca di una scorciatoia per sostenere gli esami. Almeno fino a quando non troverà una di loro morta nel suo letto per overdose e la sua, di vita, inizierà a correre a zig zag tra colleghi, studenti, pusher e, ovviamente, assassini. Sempre presenti, un po’ come i cadaveri, in crescente esubero.
Il romanzo, com’era prevedibile, ha suscitato un vespaio di polemiche, in particolare nel mondo accademico, che si è sentito messo sotto accusa. «Una bella occasione di mettere alla berlina tutta la presunzione e culto di sé che dominano nel mondo accademico – ha dichiarato Gischler, un passato da docente di scrittura creativa – dove ci sono troppi professoroni innamorati del suono della propria voce. Ho un amore/odio per un mondo che amo – ha spiegato – perché l’università è un luogo di libero pensiero e di creatività e di idee, ma che odio allo stesso modo per la pretenziosità ostentata e l’autoreferenzialità». Niente di più estraneo a questo autore fieramente pop che, pur essendo ormai un autore affermato, continua con lo stesso entusiasmo degli esordi a misurarsi con il fumetto e persino con generi deprecati come l’horror. Tanto da avere in preparazione la sceneggiatura di un film sugli zombie. Di contro ai tanti fantasmi e morti viventi che popolano la nostra letteratura.
Roberto Alfatti Appetiti
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