Dal Secolo d'Italia di martedì 28 settembre 2010
Tu chiamala se vuoi fair play: la regola che quasi nessuno rispetta. Perché non è scritta, obietterà qualcuno, ma soprattutto perché essere onesti è sempre più difficile, in campo come fuori. Il significato letterale di questa inapplicata formula magica è “gioco corretto”, ma può essere tradotta più esplicitamente con “lealtà”. Sportività, se applicata al calcio. Un beau geste, se vogliamo restituirne una lettura letteraria.
Protagonista ne è stato domenica quel ragazzaccio di Antonio Cassano, che per una volta ha fatto il “FantAntonio” senza stupire con effetti speciali ma dicendo semplicemente la verità: «L’ho toccata io». La palla, prima che uscisse dal rettangolo di gioco. No, non era giusto che la rimessa venisse assegnata alla sua Samp. Errore, quello dell’arbitro Gervasoni, commesso proprio davanti alla panchina dei bianconeri, comprensibilmente arrabbiata. Facile sarebbe stato fare finta di nulla, ma Antonio ha preferito restituire la palla e prendersi l’applauso del pubblico oltre che la stretta di mano del mister avversario, Guidolin.
Protagonista ne è stato domenica quel ragazzaccio di Antonio Cassano, che per una volta ha fatto il “FantAntonio” senza stupire con effetti speciali ma dicendo semplicemente la verità: «L’ho toccata io». La palla, prima che uscisse dal rettangolo di gioco. No, non era giusto che la rimessa venisse assegnata alla sua Samp. Errore, quello dell’arbitro Gervasoni, commesso proprio davanti alla panchina dei bianconeri, comprensibilmente arrabbiata. Facile sarebbe stato fare finta di nulla, ma Antonio ha preferito restituire la palla e prendersi l’applauso del pubblico oltre che la stretta di mano del mister avversario, Guidolin.
Può capitare quando meno te l’aspetti, quando stai per rassegnarti al peggiore cinismo di chi preferirebbe vedere il calcio defunto rispetto a quello irriconoscibile che ogni tre giorni ci presenta il conto di polemiche, scontri e danni. E allora bene ha fatto l’arbitro Brighi a regalare allo juventino Melo un cartellino giallo sui generis, con una dedica che più irrituale non si può: «A Felipe, fratello bravo di Felipe. Con simpatia».
Chi l’avrebbe detto: una giacchetta nera che fa i complimenti a un calciatore con la fama di killer. A uno che, nella scorsa stagione, i cartellini se li è spesso visti agitare sul volto e non certo come titoli di merito. E che ora sembra diventato un altro, tanto corre senza risparmiarsi. Testa sul collo e piedi a posto, che cercano la palla e non le caviglie altrui. Insomma: cambiare è possibile. Migliorare, se davvero si ha rispetto del pubblico. Una lezione anche per la politica e in particolare per l’antipolitica, che dei limiti e dell’arroganza della prima si ciba. E allora sarebbe bello se al coraggio del dubbio di Gianfranco Fini facesse seguito altrettanta disponibilità e serietà da parte di chi in questo gioco al massacro ha pensato di poterne trarre una qualche utilità. Magari sarà presto per una stretta di mano, ma sarebbe già molto ricordarsi che si gioca tutti per la stessa squadra, l’Italia.
Roberto Alfatti Appetiti
Chi l’avrebbe detto: una giacchetta nera che fa i complimenti a un calciatore con la fama di killer. A uno che, nella scorsa stagione, i cartellini se li è spesso visti agitare sul volto e non certo come titoli di merito. E che ora sembra diventato un altro, tanto corre senza risparmiarsi. Testa sul collo e piedi a posto, che cercano la palla e non le caviglie altrui. Insomma: cambiare è possibile. Migliorare, se davvero si ha rispetto del pubblico. Una lezione anche per la politica e in particolare per l’antipolitica, che dei limiti e dell’arroganza della prima si ciba. E allora sarebbe bello se al coraggio del dubbio di Gianfranco Fini facesse seguito altrettanta disponibilità e serietà da parte di chi in questo gioco al massacro ha pensato di poterne trarre una qualche utilità. Magari sarà presto per una stretta di mano, ma sarebbe già molto ricordarsi che si gioca tutti per la stessa squadra, l’Italia.
Roberto Alfatti Appetiti
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