lunedì 27 settembre 2010

Tifo ribelle: la "malattia" che non passa (di Adriano Scianca)

Articolo di Adriano Scianca
Dal Secolo d'Italia di sabato 25 settembre 2010
«Le migliaia di spettatori che riempiono le gradinate degli stadi per applaudire e ridere sono migliaia di stolti incapaci di praticare lo sport di persona: tanto che stanno allineati sui palchi dello stadio apatici e plaudenti a quegli eroi che hanno strappato loro l'iniziativa dominando il campo, e che si sono accaparrati lo sport requisendo tutti i mezzi prestati a loro vantaggio dalle stesse masse. Le gradinate degli stadi pubblici originariamente sono state allestite per frapporre un ostacolo tra le masse ed i campi e gli stadi: cioè per impedire alle masse di raggiungere i campi sportivi. Esse saranno disertate, e quindi soppresse, il giorno in cui le masse si faranno avanti e praticheranno lo sport collettivamente nel bel mezzo degli stadi e dei campi sportivi, rendendosi conto che lo sport è un'attività pubblica che bisogna praticare e non stare a guardare».
L'autore di questa lunga citazione è niente di meno che Muammar Abu Minyar al-Qadhdhafi. Insomma: il "colonnello" Gheddafi. Ebbene sì, nel suo celebre Libro verde, sorta di bibbia della rivoluzione di Tripoli, il leader libico se la prendeva con il tifo calcistico e sportivo in genere. Lo sport, era il senso della critica, si pratica o non si pratica ma non si sta mai a guardare. Da qui l'idea di una sorta di "lotta di classe" dei tifosi, che avrebbero dovuto espropriare gli espropriatori (cioè gli atleti che gareggiano al posto loro) e abbattere l'iniqua divisione classista fra chi pratica e chi segue l'attività agonistica. O tutti o nessuno, è il senso di questa visione del mondo un po' bislacca.
Ora, nonostante la rinnovata amicizia fra Tripoli e Roma, gli italiani sembrano decisamente non seguire i preziosi consigli del migliore alleato italiano del momento. Ieri, infatti, Repubblica presentava un'indagine in cui si dimostrava come il il 52,2% degli italiani esprima apertamente il proprio tifo per una squadra di calcio. Si tratta di un aumento di quasi 10 punti percentuali negli ultimi 5 anni. Un incremento generalizzato che coinvolge soprattutto i più giovani, che non cessano di ascoltare il "richiamo della curva". Interessante anche il dato circa il tifo femminile, con 4 donne su 10 che si definiscono tifose. Quanto all'intensità della passione, il 13,7% si definisce tifoso "tiepido" (da 1 a 10, cioè, si sente tifoso in un range che va da 1 a 6), il 16,3% è tifoso "caldo (cioè in un grado di intensità tra 7 e 8) mentre ben il 22,1% è addirittura supporter "militante" (cioè tra 9 e 10, il massimo). La squadra con più sostenitori è, come sempre, la Juventus, la Vecchia Signora del calcio italiano. Vanno pazzi per i colori bianconeri il 29% dei tifosi, con un calo di 3-4 rispetto all'era pre-Calciopoli. Dietro a Del Piero e compagni si piazzano l'Inter (17%) che segna il suo sorpasso sul Milan (14%).
Ed è particolarmente interessante che questa fiammata di passione per lo sport nazionale avvenga proprio nel momento in cui, tra strapotere delle tv e repressione delle effervescenze curvaiole, la dimensione della partita vissuta dalle gradinate viene duramente messa in discussione. Forse è proprio vero che, come diceva Pier Paolo Pasolini «il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo». Non si spiegherebbe, altrimenti, questa passione bruciante che resiste a tutto e a tutti, che porta una gioventù ovunque descritta come pigra e indifferente a sacrifici e stress difficilmente comprensibili per chiunque altro. Dopo le dure contestazioni al ministro Maroni a Bergamo da parte degli ultras infuriati per la "tessera del tifoso" Massimo Fini, col suo solito stile schietto e provocatorio, ha potuto scrivere: «Io sto con gli ultras. Anche quelli violenti di Bergamo. Perché mi paiono gli unici ad aver voglia ed energia di rivolta in un Paese in cui i cittadini si fan passare sopra ogni sorta di abusi, di soprusi e di autentiche violenze sempre chinando la testa. Sudditi. Nient'altro che sudditi». Insomma: per quanto siano discutibili molte manifestazioni dell'umanità curvaiola, lo scrittore milanese crede di poter vedere un vitalismo, una voglia di ribellione, un sano spirito di rifiuto proprio in quei ragazzi che tra sciarpe e fumogeni la domenica sono sempre lì, sulle gradinate. Qualsiasi cosa succeda. L'ultras come ultimo ribelle? In molti casi si tratta di una visione idealizzata, ma qualcosa d vero c'è. Il più noto gruppo di rock "non conforme", gli Zetazeroalfa, ha un po' giocato su questo concetto in "Entra a spinta", brano che prende la curva come metafora dell'esistenza.
Alcuni versi sono eloquenti: «Allo stadio o al concerto, a lottare mi diverto. E se torni un po' bambino, calci in bocca al bagarino, il mio amore non ha prezzo, ti regalo il mio disprezzo!». E ancora: «Entra a spinta nello stadio, entra a spinta nell'arena, entra spinta nella vita, entra a spinta pure tu!». L'"entrare a spinta" nella vita è ovviamente un concetto con cui si vuole esprimere il rifiuto vitalistico per ogni società ingabbiata, ingrigita, statica, senile, orwelliana. Una visione che va ben al di là delle semplici faccende di tifo. Qualsiasi ultras che si rispetti, del resto, vi guarderà come foste marziani alla classica domanda bempensante e supponente: «Ma perché tutto questo sbattimento per 11 miliardari in mutande che corrono dietro a un pallone?». Nessun tifoso vero, infatti, va allo stadio per Totti, Del Piero, Ibrahimovic o Eto'o. L'ultras "tifa solo la maglia". Sostiene una città. Difende una bandiera, tiene una postazione. Si può facilmente prendere in giro questa attitudine sullo stile "ragazzi della via Pal". Resta però il fatto che una passione bruciante per una causa forse fittizia è comunque migliore del vivere senza passione alcuna. In questi tempi di sentimenti tiepidi, ogni forma di entusiasmo è un segnale di vita da non sottovalutare. Tutto un discorso a parte, poi, andrebbe aperto sulla cosiddetta "tessera del tifoso". Che ha suscitato aspre critiche e non solo fra i giovanotti scapestrati degli stadi. È ancora Massimo Fini a scrivere: «È intollerabile che uno per andare a vedere una partita di calcio debba chiedere la patente alla società. Una schedatura mascherata, socialmente razzista perché imposta solo ai tifosi che vanno nel "settore ospiti", cioè dietro le porte e nelle curve, mentre chi può pagarsi i "distinti" non subisce questa gogna. In realtà questa misura illiberale va nel segno di una tendenza in atto da molti anni: eliminare via via il calcio da stadio a favore di quello televisivo e degli affari di Sky, Mediaset e compagnia cantante (con corollario di moviola, labiali, giocatori scoperti in flagranti e sacrosante bestemmie - robb de matt - e, da quest'anno, anche la profanazione del tempio sacro dello spogliatoio)». Vita vera contro esistenza plastificata. Anche questa, in fondo, è ribellione.
Adriano Scianca

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