sabato 4 settembre 2010

Il caso Bolaño: la genesi d'una leggenda (di Mario Bernardi Guardi)

Articolo di Mario Bernardi Guardi
Dal Secolo d'Italia di sabato 4 settembre 2010
È morto nel 2003, a cinquant'anni, già con un'aura di leggenda sospesa sul capo e conquistata in pochissimo tempo. Diciamo a partire dal 1998, quando pubblicò Detective selvaggi e si vide offrire proposte di collaborazione da diverse riviste importanti, nonché inviti a tenere conferenze, scrivere prefazioni, presentare libri o partecipare a convegni. Era nato il "caso Bolaño", con i mass-media che ovviamente ci sguazzavano...
 Lui, che peraltro nel 1996 si era conquistata una nicchia elitaria con La letteratura nazista in America e Stella distante, e nel 1997 con Chiamate telefoniche, un po' ne era lusingato, un po' prendeva le distanze. Ironicamente. Gravemente ammalato al fegato, sapeva che di vita gliene restava poca. Non si isolava, però. La riempiva con la scrittura e con il chiasso della famiglia. Perché era un babbo affettuosissimo. Di più: aveva speranza nei bambini. Come dice a Mónica Maristain che va a intervistarlo per l'edizione messicana di Playboy. Lei gli chiede: "Il mondo si salverà?". E lui: "Il mondo è vivo e niente di quel che è vivo si salverà e questa è la nostra fortuna"(Tra parentesi, Adelphi, pp. 379, euro 29). Ancora Maristain: " Lei ha speranza, in che cosa, in chi?". E Roberto: " Mia cara Maristain, lei continua a sospingermi verso i recinti del sentimentalismo, che sono i miei recinti natali. Io ho speranza nei bambini. Nei bambini e nei guerrieri". L'intervista la si può leggere nella citata antologia che raccoglie testi vari: discorsi, interventi, recensioni. Ne viene fuori, come scrive il curatore Ignacio Echevarría, "un autoritratto per frammenti d'occasione". O un'autobiografia, magari "compendiosa", per usare un aggettivo caro a Jorge Luis Borges, lo scrittore a cui Bolaño è stato più volte accostato.
Del resto, Bolaño si profondeva in "esercizi di ammirazione" per "l'Omero bonaerense", qui presente con due raffinate ricognizioni critiche, Borges e i corvi e Borges e Paracelso. Che ha un "incipit" folgorante: "Come tutti gli uomini, come tutte le cose vive della terra, Borges è inesauribile". Inesauribile? Al pari di Borges, Bolaño dà ad ogni aggettivo significati plurali e, al tempo stesso, un contrassegno sintetico carico di senso. La chiave d'accesso è la complicità che si stabilisce col lettore. E che fa scattare l'intesa. Come nella recensione che Bolaño dedica all'autobiografia di Martin Amis (Esperienza) e a quella di James Ellroy (I miei luoghi oscuri). Ecco la conclusione: "Il libro di Amis finisce con dei bambini. Il libro di Ellroy finisce con le lacrime e la merda. Finisce con un uomo solo che rimane in piedi. Finisce con il sangue. Vale a dire, non finisce mai". Inesauribile. Ma nella semantica vorticosa devi inerpicarti con leggerezza. Bolaño - si legga 2666, sempre varato da Adelphi - ha bisogno di divertirsi, più che mai quando affida alla sua straordinaria capacità affabulatoria e mimetica il compito di inoltrarsi nell'universo e dintorni, tra demoni e meraviglie di tutti i generi, con geniali ammicchi borgesiani alle identità multiple propiziate dagli specchi, agli enigmi che partoriscono enigmi, e ai labirinti a un passo da casa (e dal caso, che poi è la causa).
In una ricognizione come Tra parentesi - nella parentesi della vita che si fa scrittura o viceversa - c'è tutto. Ci ritrovi subito, ovviamente, il ragazzo cileno: "sono nato nel 1953, l'anno in cui morirono Stalin e Dylan Thomas" che, militante trotskista (pentitissimo: nel Discorso di Caracas si legge: "Combattevamo nel nome di partiti che se avessero vinto ci avrebbero mandato immediatamente ai lavori forzati, combattevamo e mettevamo tutta la nostra generosità al servizio di un ideale morto più di cinquant'anni prima, e alcuni di noi lo sapevano, non potevamo non saperlo se avevamo letto Trotsky o eravamo trotskisti, eppure combattevamo ugualmente perché eravamo stupidi e generosi come lo sono i giovani…"), riesce a scampare alla dittatura di Pinochet perché uno dei poliziotti che l'hanno arrestato è un suo compagno di scuola.
Zaino in spalla, Roberto vagabonda per l'America e l'Europa, fa il guardiano notturno di un campeggio, il cameriere, il venditore di bigiotteria e un sacco di altri mestieri. Legge, scrive poesie, ruba libri ("Il bello di rubare libri - e non casseforti - è che puoi esaminarne attentamente il contenuto, prima di commettere il delitto").
Alla fine si stabilisce in Spagna, a Blanes. Nel '92, apprende di essere gravemente malato ("ho saputo di non essere immortale, una cosa che, a trentott'anni, era ora che sapessi"), non prende atteggiamenti da eroe stoico, ha paura. Ma si difende con l'umorismo. Non vuole lasciarsi travolgere dalla disperazione, e così - confessa a Mónica Maristain - "mi raccontavo delle storie che mi facevano impazzire dal ridere". Legge, scrive libri, li presenta, forse non li ruba più. Svagato e gentile, ma anche polemico e irriverente, tiene più di ogni altra cosa alla libertà che ancora gli resta di creare mondi iperrealisti e surreali. E alla dignità: "Io posso essere il buffone dei miei lettori, se mi va, ma mai dei potenti. Suona un po' melodrammatico. Suona come una dichiarazione da puttana dal cuore d'oro. Cosa vuoi che ti dica, è così". Proprio così, "buffone" e "testimone". Magari per interposta persona. Magari grazie e attraverso una donna che si presenta come la "versione femminile di don Chisciotte" ed è la protagonista di uno stravagante romanzo (Amuleto, Adelphi, pp.141, euro 15). Si chiama Auxilio Laocuture, la nostra "cavaliera dalla triste figura" ed è una studentessa di origine uruguaiana che, negli anni Sessanta, vive a Città del Messico. Frequenta la facoltà di Lettere e Filosofia, si occupa di poesia e di teatro, tira a campare con mille lavoretti, ma quando va a casa di due intellettuali spagnoli che lì si sono rifugiati, non vuole essere pagata. È contenta della vita che fa. Felice e generosa, la nostra Auxilio. Ma nel settembre del 1968 succede qualcosa. Succede che lei si trova in bagno, al quarto piano della facoltà di Lettere e Filosofia, proprio mentre l'esercito e i reparti antisommossa fanno irruzione nella città universitaria. Sta da sola in bagno, lei, e non la vede nessuno. Mentre la polizia picchia, arresta e sgombra, lei ascolta, guarda, "vede". Racconta, a futura memoria. E nel racconto c'è l'attualità della cronaca bruta, ma c'è anche una realtà che deflagra con effetti stranianti. Le sequenze si intersecano, volti, immagini, eventi si mescolano, i documenti registrano fatti e peripli onirici, incontri che ci sono stati e altri che sono frutto dell'immaginazione (ma è proprio così?). "Borgesianamente" Auxilio è un labirinto, un corpo, una mente, una voce che sono un labirinto.
Ed è qui che Bolãno gioca, complice e ghignante, scatenando tutti i "fantasmi della libertà" che abitano la sua storia intellettuale e civile. Ci si difende anche così dalle prepotenze del potere. Insieme ironico e compassionevole, come è nella sua cifra di uomo che non ritiene "alieno" da sé nulla di ciò che è umano, meno che mai la dismisura del vivere. E del sognare, nonostante tutto.
Mario Bernardi Guardi

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