Articolo di Giuseppe Mammetti
Dal Secolo d'Italia di venerdì 3 settembre 2010
C'era una volta l'orco: colui che prima dell'evento di Shrek e della sua rivoluzione dell'immaginario era destinato, nelle favole, alla parte del cattivo. Scorrendo le tradizioni popolari, specie quelli germaniche, scopriamo gli orchi come mostri antropomorfi giganteschi, golosi di carne umana e assettati di sangue. Per la verità, la figura nasce con la mitologia romana, dove l'orco è legato al regno degli inferi ed assieme all'orribile Cerbero è un avido mangiatore di uomini. Il termine orco, inteso come mostro indomabile, lo troviamo, e spesso, anche nella lettera italiana del XIII secolo: negli scritti dell'Ariosto, di Fazio degli Uberti, di Jacopo Tolomei e altri. Charles Perrault, quattro secoli più avanti, ne fece un divo delle favole, umanizzandone i tratti e legandolo per sempre alla figura dell'omone malvagio ed ottuso.
Da allora l'orco ha trovato il suo habitat naturale nel mondo dell'infanzia, per lo più come custode di principesse o divoratore di bambini. Ovviamente, Shrek è un'altra cosa. Dalla sua comparsa cinematografica bagnata con l'Oscar per la migliore animazione, l'anno era il 2001, fino all'ultima delle sue avventure - Shrek e vissero felici e contenti, in sala dallo scorso 25 agosto - l'orco bonario e maldestro ha riscosso un successo senza precedenti. Ha costruito un impero economico basato sui sogni, sulla messa in discussione dei criteri estetici (bello uguale brutto), sull'abbandono delle convenzioni (vedi i numerosi eroi delle favole snaturati) e sull'educazione alla tolleranza (il diverso come altro lato di noi). L'ultima pellicola, per la regia del bravo Mike Mitchell, non fa eccezione: nulla aggiunge e nulla toglie a quella grande lezione di bontà che la saga ha saputo inculcare. In Shrek e vissero felici e contenti, l'orco cade nella trappola della routine, la quotidianità con Fiona e i suoi tre pargoli inizia a stancarlo, e lui, complice la nostalgia, darebbe qualsiasi cosa per vivere un solo per un giorno nel suo "amato" passato. Per soddisfare il suo desiderio ricorre ai servigi del nano Tremotino, altro lascito delle favole rivisitato in chiave moderna - era il nano della celebre fiaba dei Fratelli Grimm, contenuta nei Racconti domestici - che grazie ad un semplice incantesimo gli propone il più equo degli scambi: un giorno nel suo passato in cambio di un giorno della sua vita. Shrek accetta soddisfatto, e da lì iniziano tutte le sue disavventure.
In virtù dell'incantesimo, si trova scaraventato in una versione parallela del mondo di Molto Molto Lontano. Fiona è una virago al comando di un esercito di streghe, Ciuchino ed il Gatto con gli stivali non lo riconoscono, il re di Molto Molto Lontano è il perfido nano Tremotino: che adesso ha messo a repentaglio anche la vita di Shrek. Il giorno scelto dallo gnomo magico è quello della sua nascita, senza il quale Shrek non sarà mai esistito. Eppure l'orco ha una possibilità, deve far innamorare Fiona di lui: con un suo bacio sarà salvo. La riscoperta dell'amore, per Shrek, diventa la sola speranza di vita, e per il suo pubblico è l'ennesima occasione per un viaggio nei buoni sentimenti. Le scelte degli autori non hanno mancato, in verità, di far storcere il naso a qualche critico: «Qual è il pubblico di riferimento di un film così?», si è chiesto Paolo Mereghetti sul Corriere della Sera. Dandosi una risposta non tenera nei confronti della DreamWorks: «Non certo i più piccoli (quelli che hanno fatto il successo di Toy Story 3, per esempio), perché il meccanismo del salto cronologico all'indietro è piuttosto complicato e anche un po' farraginoso (rivedere La vita è meravigliosa di Frank Capra per capire come si raccontano certi paradossi temporali). Ma nello stesso tempo scolorano anche le ambizioni di "scorrettezza" su cui la DreamWorks aveva costruito il prototipo per permettersi il lusso di sbeffeggiare la zuccherosità delle favole e che avevano conquistato un pubblico più maturo (qui, piuttosto, si abdica all'accettazione della propria diversità e alla fine si caldeggia un ritorno "nei ranghi" decisamente reazionario). Resta - conclude - solo l'operazione commerciale, praticamente obbligatoria dopo aver raccolto con i tre film precedenti più o meno un miliardo di spettatori».
Nonostante critiche negative di questo genere, il quarto Shrek, adesso in versione 3 D, è ai primi posti nel box office, spadroneggiante sui sonnolenti botteghini d'inizio stagione: in cinque giorni il film ha infatti incassato 5.567.066 euro, di cui 3.527.761 nel solo weekend, staccando così L'apprendista stregone, piazzatosi secondo in classifica. Il pubblico lo ama, senza limiti d'età e condizionamenti. L'orco verde come il dollaro (è questo uno dei commenti più ricorrenti tra gli insoddisfatti) è una delle icone del cinema di questo secolo: irridente, tecnologico e milionario, quasi una metafora. La sua forza è nella capacità di giocare con le convenzioni e di burlarsi delle apparenze, incarnando senza intellettualismi sterili l'anima più sincera del diverso.
Il fascino di questa storia, uscita dalla penna dello scrittore ebreo americano di origine polacca William Steig nel 1990 - Shrek! è il titolo del racconto - si sintetizza con un solo termine: apertura. Il nome della creatura deriva da un termine in vecchio yiddish e significa terrore o paura. Negli intenti dell'autore, che vanta una vita spesa nella letteratura per ragazzi dall'alto valore educativo, questo doveva sembrare un ammonimento. Paura: il sentimento che leghiamo, sempre più spesso, a ciò che non sappiamo comprendere.
Il fascino di questa storia, uscita dalla penna dello scrittore ebreo americano di origine polacca William Steig nel 1990 - Shrek! è il titolo del racconto - si sintetizza con un solo termine: apertura. Il nome della creatura deriva da un termine in vecchio yiddish e significa terrore o paura. Negli intenti dell'autore, che vanta una vita spesa nella letteratura per ragazzi dall'alto valore educativo, questo doveva sembrare un ammonimento. Paura: il sentimento che leghiamo, sempre più spesso, a ciò che non sappiamo comprendere.
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