Articolo di Marco Iacona
Dal Secolo d'Italia di sabato 2 ottobre 2010
È così vasto il mondo dei Peanuts (le strisce di fumetti con Charlie Brown, Snoopy il cane, Linus, Lucy e gli altri, nate sessant'anni fa - il 2 ottobre 1950), che non basterebbero dieci anni per narrare le vicende dei protagonisti più teneri, quelli che si incastrano perfettamente, l'uno all'altro, come una casetta fatta coi mattoncini Lego.
Quella dei Peanuts è una piccola società per piccoli uomini - non solo bambini ma, proprio, piccoli uomini, personcine appunto - formata da ragazzini che pensano e chiacchierano da adulti in miniatura. I Peanuts sono belli per questo: perché presentano con tutte le pecche possibili un mondo degli adulti praticamente scomparso (il tempo della gioventù, ribelle o moderata che sia, è oramai arrivato), e col privilegio di schivare le responsabilità di generazioni divenute oramai pressoché invisibili. I Peanuts giocano facendo sul serio (e mai il contrario), perché la variabile tempo è sempre una loro fedele alleata. Nel "regno" americano ogni cosa è sempre uguale a se stessa: Charlie Brown sarà per sempre un perdente, un bambino noioso e un amico fedele (potrà dedicarsi a qualsiasi attività, e ogni volta con i medesimi risultati), Lucy una prepotente, Linus un genio incompreso e così via. I Peanuts piacciono anche perché sono una "variazione" sul tema della vita di tutti i giorni (della classe media americana, scriveva Michele Serra domenica scorsa su Repubblica), una vita che, diciamola tutta, si arrampica sull'invariabilità del momento e che lascerà tracce con poche sorprese. Rivoluzionari? Tutt'altro. I Peanuts sono l'emblema dell'"organico", di una geniale, delicatissima, innocente (ecco il perché del mondo dei bambini), prevedibile quotidianità; di un mondo che non muta, non cresce, non si trasforma, i Peanuts sono quella consuetudine che tutti vorremmo, l'utopia realizzata senz'alcun segnale di sovversione, sono la risposta (affermativa) alle migliori pedagogie, una clamorosa "sconfitta" delle "teorie" del bambino persona-non-ancora-compiuta. Tutti (lettori compresi), sanno che Pig Pen il bambino sporco che si muove con una nuvoletta di sudiciume non sarà mai pulito (e magari nessuno lo sogna davvero), che Schroeder il genietto-musicista non abbandonerà il suo piano cedendo alla corte di Lucy, che Linus non cederà la sua coperta a nessuno, che Woodstock l'uccellino amico di Snoopy non si farà mai comprendere, che Sally Brown non smetterà quella sua dolce ingenua semplicità (e che continuerà a parlare alla scuola). Per questo Charles Monroe Schulz - l'autore morto nel 2000 - ha pensato che nel suo mondo "ideale", per poter andare al di là degli schermi di una vita "normale", occorresse un personaggio diverso, biologicamente diverso. Cioè il cane Snoopy.
Un "insignificante" bracchetto bianco dalla orecchie nere, inizialmente soltanto "cane" ma col tempo - dagli anni Sessanta in poi - bestiolina aristocratica e pensante - spesso pensierosa - con tanto di amici e parenti (sette fra fratelli e sorelle). Ed è Snoopy, allora, a spiegarci la legittimità dei sogni e la possibilità di fuga da quel mondo della "perfezione" ove spesso anche i diversivi sono uguali a se stessi. Eccolo così volta a volta campione di golf, di hockey e di pattinaggio, surfista, medico chirurgo, tennista, ginnasta, pesce carnivoro, avvocato, giocatore di baseball, serpente a sonagli, feroce avvoltoio, amico e confidente degli insetti e studente alla moda; e poi ancora: "filosofo", sergente della legione straniera e soprattutto nemico giurato dello stupido gatto dei vicini - a volte un vero mostro - asso della prima guerra mondiale e avversario del mitico "barone rosso" (al secolo: Manfred von Richthofen). Impossibile non capire chi sia in realtà Snoopy, e quale idea egli abbia delle "regole" e della vita, se ci si concentra sul suo modo di stare al mondo: non dentro il suo di mondo, cioè la cuccia (che pare contenga ogni sorta di oggetti, dai libri ai quadri), ma fuori e più in alto, cioè sul tetto della casetta e probabilmente più vicino a quel luogo - il cielo - pronto ad accogliere i suoi sogni da cinico egoista. Ecco dunque un dialogo di Snoopy. Linus: «Ho sentito che hai cercato di fare amicizia col gatto dei vicini»; Snoopy: «Stupido gatto … gli ho offerto la mano destra in segno di cameratismo e lui a momenti me la sbranava via!»; Linus: «Forse non avresti dovuto portare un guanto da hockey… forse pensa che non ti fidi di lui…»; Snoopy: «Io mi fido, ma la mia mano no!». Snoopy non somiglia al suo padrone Charlie Brown (personaggio che Schulz definì autobiografico). Sognatore il primo - sempre diverso da se stesso e anche ambizioso e vanitoso scrittore - ancorato alla terra il secondo, allenato ad affrontare sconfitte e delusioni. Anche le vittorie del bambino dalla testa rotonda, le poche vittorie della sua sommessa "carriera" di giocatore di Baseball e di appassionato di aquiloni e "corteggiatore" della ragazzina dai capelli rossi, si trasformano volta a volta in sconfitte, in piccole-grandi illusioni. Ma la semplicità è l'arma migliore per spazzare via ogni tristezza. Charlie Brown è il tipo dello sconfitto ma non del rinunciatario, non è lo svogliato dell'ultimo banco ed è assai diverso da Linus, l'amico del cuore, geniale (e splendida "spalla"), adatto a improvvisare ma sovente pigro e indolente. Ecco un dialogo fra Charlie e Linus. Charlie Brown: «Guarda! Ho una palla con l'autografo di Joe Shlabotnik! ... Questa è la palla battuta da Joe Shlabotnik quella volta che riportò in vantaggio la sua squadra nel nono inning e vinse il torneo»; Linus: «Hai visto? Ha sbagliato a scrivere il suo nome!»; Charlie Brown: «Già, è vero … probabilmente era emozionato per il gioco…». Charlie Brown puro di cuore, ma anche "vittima" designata dell'universo femminile... Vittima della sorella Sally e dei suoi capricci, soccombente di fronte all'iper-dinamicità di Piperita Patty, alla figura della ragazzina dai capelli rossi, innamorata quasi del tutto sconosciuta, e ovviamente anche all'aggressivo "furore" di Lucy, femminista in sedicesimi (ma di quelle "che ci fanno"), amica sfacciata, e sorella (sorella di Linus), non propriamente delicata. Lucy: «Quest'anno mi sento diversa … ho l'impressione di non avere mai avuto tanto vero spirito del Natale come quest'anno!»; Linus: «Perché immagini che sia così?»: Lucy: «Perché l'ho detto io, ecco perché!». Ecco: si potrebbe continuare quasi all'infinito col passare in rassegna un spazio splendidamente organizzato, nel quale questi bambini si incastrano a meraviglia, l'uno accanto all'altro. Una terra ove ognuno, nessuno escluso, custodisce con orgoglio la propria personalità…. Tutto per merito di Schulz: il grande moderato. Quando il papà di Charlie Brown iniziò a pubblicare le vignette sui quotidiani stelle-e-strisce, e quando il boss della "United Feature Syndacate" impose al fumetto il titolo di Peanuts (noccioline) e non Li'l Folks (personcine) come avrebbe gradito l'autore, egli stesso non avrebbe immaginato di creare un universo di personaggi amati da oltre 300 milioni di persone e letti praticamente in un terzo del globo.
L'esplosione - c'era da aspettarselo - ci sarebbe stata dalla metà dei Sessanta fino agli Ottanta, anni nei quali il fumetto cominciava ad andare al galoppo nel lungo periodo, anni nei quali anche in Italia sarebbe nato un periodico - Linus - per diffondere le strisce di fumetti, introducendole nel cuore dell'intellettualità italiana. Quelle di Charlie Brown non sono rimaste le uniche strisce di successo nella storia del fumetto (è ovvio) - e non lo erano neanche al loro debutto - ma hanno segnato un momento fondamentale nell'immaginario collettivo. Quel che ha garantito il successo dei Peanuts è l'immediatezza del "messaggio" schulziano, l'abilità di abbinare testi e disegni per entrare fin nel cuore e nel cervello dei suoi protagonisti. Chi in almeno un momento della propria vita non si è mai sentito un tipo da Peanuts? Lucy la prepotente, il sottile e spontaneo Linus o perfino Snoopy il fantasmagorico? Se Schulz è un "poeta", come ha scritto Umberto Eco, le sue personcine sono qualcosa di più di una "semplice" poesia, sono tutti noi. Ininterrottamente. Nel passato e nel futuro.
Marco Iacona
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