lunedì 11 ottobre 2010

Jeff Buckley... e trovare riparo sotto la pioggia (di Graziella Balestrieri)

Articolo di Graziella Balestrieri
per L'eminente dignità del provvisorio

Per scrivere della musica di Jeff Buckley ho percorso la mia stanza, il terrazzo, il corridoio innumerevoli volte. Ho trascorso la notte con l’I-pod ascoltandolo per poi svegliarmi al mattino con la calma e la bellezza di una spietata malinconia. Non ho trovato libri se non uno che non ho acquistato, un DVD che il mio pc si rifiuta di farmi guardare. Questa volta ho fatto a meno di tutto perché forse non avevo bisogno di niente se non di me e della sua musica. Ho pensato che aveva 28 anni quando uscì Grace, ho pensato che aveva la mia stessa età, e non ho pensato che è morto, ho pensato che se riuscivo a comprenderlo o credere di farlo è perché la vita che si vive è una sola, quello che distingue un individuo da un altro sono solo le sfumature che gli danno originalità. Così tra un sole pallido romano e l’attesa di qualcosa che a 28 anni sai benissimo che non verrà, ho scelto il riparo sotto la pioggia, incessante come la sua musica.
Non lo ascolto quasi mai, se non sempre in determinati momenti. In maniera ossessiva ascoltai Grace qualche giorno fa, ripetutamente fino a sentire attraverso la musica un dolore che fosse più di quello che sentivo nella realtà. Perché per un dolore che ti sembra interminabile ne verrà fuori uno sempre maggiore. Così che il corpo diventa quel luogo dove ogni sentimento si trasforma, si evolve fino a ridarti coraggio, perché superato uno ne raggiungi un altro, raggiunto vuol dire che lo comprendi e quando comprendi affronti. Così non penso che a 31 anni per un bagno è morto. Non so se si sia gettato, o se un’onda se lo sia portato via. Non era ubriaco e non era strafatto, non ebbe la stessa triste e cercata morte del padre Tim, che a differenza del figlio si lasciò annegare in un mare di eroina. Non so se era depresso, non mi interessa sapere perché si è gettato vestito nel Mississipi, e leggendo in giro non credo sia la voce di un angelo. Non ho mai sentito un angelo, non ne conosco le sembianze non credo che Jeff Buckley ci parlasse. Il trovare spiegazione divine alla particolarità terrene di un uomo rende l’uomo sempre più piccolo dinnanzi a ciò che sente. Sentire la vita in tutte le sfumature è tutto, non esiste cosa più divina. Dal dolore alla tristezza dalla tristezza alla malinconia, da un sorriso alla felicità, sono solo sfumature. Si chiama vita, perché trovare altre etichette?
Era un ragazzo, 28 anni, più “sfumato” di altri e nei suoi testi solo quello alcune persone non vogliono vedere. Se ascolti e riascolti Grace rivivi quello che si vive a 28 anni : "Aspetto nel fuoco, e li sento soffocare il mio nome, è così facile sapere e dimenticare con questo bacio, non ho paura di andare , ma tutto procede lentamente…dobbiamo andarcene entrambi domani amore mio… lei piange per lo scorrere del tempo… e la pioggia cade e penso che sia giunta la mia ora e mi ricorda il dolore che devo lasciarmi alle spalle" (Grace ).
L’interminabile paura che il cambiamento non sia veloce, perché sì tutto è destinato a cambiare, ma che faccia in fretta, che il tempo non abusi del corpo e della mente. Che faccia sì che il dolore sia spazzato via subito, se veloce al momento si può trovare la forza, se è lento sembrerà inesauribile e più sembrerà fermo più aumenterà la voglia di non farcela. Così un amore che è destinato a finire nella realtà sembrerà interminabile nel doverlo cancellare dalla propria testa. Come se non si trovasse una fine. E la musica di Grace parte splendida, trionfante, imperiosa tanto a scavalcare la sua voce delicata, ma quando l’onda cade e diventa cavalcabile la voce di Jeff prende possesso delle emozioni. La musica come l’onda, come la vita, la voce di Jeff si lascia attraversare ma poi riprende il controllo, fino a trovare la comunione dell’anima in un urlo delicato accompagnato da una chitarra dolce e penetrante, dove si ristabilisce l’equilibrio sottile tra la resa e l’inizio. Perché se in molti vedono nelle sue musiche una sorta di abbandono, a un convinto lasciarsi andare, in realtà dovrebbero più fare attenzione a quando c’è il suo urlo e non a quante volte sospiri. Ho visto un live mentre canta Halleluja, non scritta da lui, cambiata, in alcuni tratti. In Cohen non è così triste, eppure per scriverla vi impiegò un anno, un processo lungo e tortuoso, non come lo è nello sguardo di un ragazzo di 28 anni che la canta sul palco tenendo gli occhi chiusi, il buio attorno e quando finisce a malapena alza la mano e si avvicina al microfono scandendo un “Thank you” lieve.
Sì, credo proprio che si parli di tristezza, che Hallelujah trasmetta un senso profondo di angoscia e comprensione, per come lui la interpreta, per averla fatta sua, per averla cantata con il senso del vuoto di un uomo e la dispersione di un ragazzo di 28 anni.
“Baby sono già stato qui ho visto questa stanza e ho camminato su questo pavimento ero solito vivere da solo prima di conoscerti, ho visto la tua bandiera sull’arco di marmo, ma l’amore non è una marcia di vittoria, è un freddo e rotto Halleluja.. non è un pianto quello che senti di notte non è qualcuno che ha visto la luce, è un freddo e rotto Halleluja” (Jeff Buckley). E nemmeno le parole rendono l’idea, non è possibile quando non si vive sapere quello che si dice. Sentirla: Halluja è viverla. Il sospiro che apre la canzone, non è quello che fai quando comprendi, non è quello che credi sia interminabile ma che ha subito una fine?
La chitarra che continua nella medesime corde, per intonare la stessa melodia, che cosa è se non la stessa ricerca verso quel Superiore che non sai se esiste ma a cui poni sempre la stessa domanda? Da cui non hai risposta. Non si permetterebbe mai l’uomo nella sua ipocrisia di non aver fede, ma esige una prova ed intona sempre la stessa cosa un Halleluja. E non crede che per intonare il canto non ci sia il bisogno di esercizi e di sacrifici, di dolore, di stati dell’anima persi, non pensa che per vivere bisogna necessariamente sentire e superare il dolore. Un rimedio si trova nella canzone e nell’interpretazione: nelle parole, non l’arroganza di aver a tutti i costi la fede, ma il dubbio di non saperla gestire, la certezza però di aver trovato qualcosa di gelido e rotto che sta nell’amore.
Solo il calore della sua voce scioglie il gelo e raccoglie i pezzi ad un ad uno. Ci sono emozioni che rimangono lì sospese. Un ragazzo pieno di dubbi, come tutti, la paura di aver sbagliato e la richiesta al tempo di tornare indietro e di farsi avanti, amori consumati e bruciati troppo in fretta per rendersene conto, solo quando al mattino ti svegli perché di notte non hai dormito, quando rivedi la stesa finestra la stessa pioggia ti domandi perché non è cambiato nulla, perché ammettere è come sbagliare di nuovo, perché tornare indietro è un errore, non farlo il principio dell’errore: "Forse sono solo troppo giovane per fare che il giusto amore non diventi sbagliato, oh amore saresti dovuta venire da me, perché non è troppo tardi, mi sento troppo giovane per aspettare e sono troppo vecchio per spezzare i legami e scappare, troppo sordo muto e cieco, per vedere il danno che ho fatto. Solitaria è la stanza, il letto è fatto, la finestra aperta lascia entrare la pioggia, bruciando all’angolo, c’è solo quello che sogna di averti avuta con lui…così stanotte sei nella mia mente così non lo saprai mai. Lei è la lacrima che resterà sospesa nella mia anima per sempre" (Love you shoul’d ve come over).
Più di tutte Liliac Wine per aver il pensiero ossessivo e normale che appartiene a qualsiasi ragazzo, non per forza “un depressone”, l’aver cercato in altro cose quello che non puoi avere. “Ho messo il mio cuore in questa ricetta, mi fa vedere ciò che voglio vedere ed essere ciò che voglio essere , quando ti penso più di quanto ti voglio pensare, faccio cose che non dovrei mai fare, bevo molto più di quanto dovrei perché mi riporta da te”. La confusione che genera una serata di alcool che ti riporta alla certezza dei tuoi sentimenti. Come il vino non placa la sete però così la confusione del momento non placa il pensiero e la passione. Perché l’amore è tutto tranne che controllo. E’ morto, vero,ma non capisco perché in tanti vogliano vedere la sua musica attraverso quel suo gesto.
La musica di Jeff Buckley? Solo una passeggiata sotto la pioggia, in riva al fiume. C’è chi il fiume lo guarda e ci chi si ci butta dentro.
Crescendo avrai la presunzione di trovare riparo sotto un ombrello, dietro le bugie, negli occhi di altri colori. Nel ritornare bambino avrai l’innocenza di trovare riparo sotto una pioggia battente.
Graziella Balestrieri

1 commento:

Lucy in the Sky with Diamond ha detto...

Sto piangendo come una bambina. Stesse sensazioni, stesse identiche sensazioni.