martedì 23 novembre 2010

Egemonia addio, perché Pasolini ci anticipò tutti (di Mario Bernardi Guardi)

Articolo di Mario Bernardi Guardi
Dal Secolo d'Italia di oggi
Pasolini, ovvero all'insegna della contraddizione. Quando era in vita e dopo che è morto. Giusto trentacinque anni fa, di sicuro ammazzato, ma con molte ombre a proposito del chi, del come e del perché. In ogni caso, se si litiga sulla morte, si litiga anche sulla sua identità politica. È da un po' che destra e sinistra se lo contendono, anche se da qualche tempo a questa parte si fa strada una certa voglia di "sintesi".
 Più o meno: Pasolini era di sinistra e di destra; Pasolini era un eretico di tutte le idee e di tutte le parrocchie; Pasolini guardava nel lontano e nel profondo, dunque era "oltre" (per un dibattito in materia si veda - e se n'è già parlato su queste pagine - Una lunga incomprensione. Pasolini fra destra e sinistra di Adalberto Baldoni e Gianni Borgna, prefazione di Giacomo Marramao, Vallecchi, pp. 342, € 16,00). Vero. PPP era lungimirante e, al tempo stesso, radicato nella tradizione italiana. Era davvero nazionalpopolare e davvero cristiano. Anche comunista? E in che modo lo era e perché?Accennando al museo che Roma dedicherà a Pasolini, nonché alle dichiarazioni di Gianni Alemanno («È un intellettuale che fa parte della cultura di sinistra, ma che parla a tutti», Sebastiano Vassalli ha sul Corriere della Sera del 7 novembre ha voluto mettere i puntini sulle "i": «Pier Paolo Pasolini non era di sinistra, anche se in certi momenti e per certi versi avrebbe voluto esserlo: lo "spirito del tempo", le amicizie, le persecuzioni dei benpensanti lo spingevano lì: perché non dirlo?» ("PPP e il piagnisteo di quell'eterna egemonia culturale").
Giusto, andava detto. E proprio ieri sera, nella seconda presentazione romana del libro, lo hanno ribadito Marramao, Antonio Gnoli di Repubblica e il "nostro" Luciano Lanna. Bisogna, infatti, come sosteneva Céline, dire tutto, "urlarlo", se necessario. Perché finché ci sarà una cosa non detta o non capita, taciuta o mistificata, rimossa o ignorata, il mondo della cultura - che poi è il mondo dell'umanità e dell'umanesimo - sarà povero, amputato della sua ragione più intima, che coincide con la verità. Parola che si fa fatica a pronunciare, ma che deve essere più che mai un'insegna: culturale e politica.
Torniamo a PPP. La cosa migliore è scavare dentro questa personalità così complessa, illuminare le opere e i giorni, vagliare scritti, documenti, testimonianze. Ed ecco, per farlo, una nuova, potente "occasione": quattrocento "pezzi" tra poesie, manoscritti, disegni, oggetti e pitture esposti a Firenze all'archivio contemporaneo Bonsanti del Gabinetto Vieussex fino al prossimo 21 gennaio. Il titolo della Mostra, "Pasolini. Dal laboratorio" (il catalogo, a cura di Antonella Giordano e Franco Zabagli, stampato da Polistampa, pp.136, € 18, comprende anche la pubblicazione di un album fac-simile della sceneggiatura a fumetti disegnata da Pasolini per il film La terra vista dalla luna), si richiama direttamente a immagini che erano care allo scrittore. PPP, infatti, come ha ricordato Gloria Manghetti, direttore del Vieusseux, amava definire "laboratorio" il suo spazio lavorativo, il suo fervoroso cantiere, il luogo-appartato, privato, ma sempre figlio di una forte esperienza di vita pubblica - dove plasmava materiali creativi, spesso incandescenti. E qui ce ne sono tanti, visibili per la prima volta e provenienti da quel Fondo Pasolini, che fu donato all'Istituto fiorentino nel 1988, per volontà di Graziella Chiarcossi, l'erede della madre del poeta. Tante carte - lettere, poesie, sceneggiature, interventi critici, appunti, disegni, foto ecc. - ma ben sistemati secondo un puntuale criterio cronologico, sezione per sezione.
Si parte da "Friuli, la zoventud"(1940-1950), dedicata ai manoscritti (prose narrative, testi teatrali e perfino il primo soggetto cinematografico, Il giovine della primavera, scritto da un Pasolini "dannunziano" nel 1940 per i fascistissimi Littoriali della Cultura) e alle edizioni delle poesie giovanili in dialetto friulano e in lingua italiana. È il battesimo di un intellettuale pieno di contraddizioni: il fratello, partigiano patriota e azionista della "Osoppo", è stato ammazzato dai comunisti, ma lui, nel dopoguerra, sceglie falce e martello. Con cuore gramsciano. Fatto a brandelli, allorché il Partito Padre Padrone espelle dalle sue file il giovane professore, colto in flagranti "atti impuri" omosessuali.
Ed ecco le altre sezioni: "Roma", riguardante la fase della poesia civile, con scritti dal '50 al '60, tra cui la prima collaborazione cinematografica con Fellini in La dolce vita; "All'inizio di una nuova preistoria", dedicata al periodo cinematografico e alle sceneggiature scritte a mano dal '60 al '70, tra cui i documenti di preparazione dei film- scandalo Accattone, Mamma Roma, La ricotta e Il Vangelo secondo Matteo; Il corpo in lotta, che racconta gli anni dal '70 al '75, e cioè il Pasolini autore cinematografico nonché giornalista - "corsaro", "a Dio spiacente e agli inimici sui", e tuttavia coccolato dal padronale e borghese Corriere della Sera, chiamato a scrivere dall'ex caporedattore del nostro Secolo d'Italia, Gaspare Barbiellini Amidei. Campeggia in mostra, a oggetto di culto, la celebre macchina da scrivere "Olivetti Lettera 22", altrettanto gloriosa per PPP che per Indro Montanelli.
Sorprese, scoperte in questa rassegna di "modernariato" intellettuale a icona unica? C'è di tutto e di più in questo laboratorio che straripa. C'è anche un numero de Il Setaccio, rivista dei giovani universitari fascisti bolognesi: PPP fece parte della redazione, e vi collaborò con scritti e disegni. E c'è una tessera di corrispondente de Il Friuli sportivo: cosa amava di più PPP, la poesia o il giuoco del calcio? O il partito? Ed ecco due tessere di iscrizione al Pci: 1948 e 1949. Poi, l'espulsione. PPP come Pier Paolo Pasolini. O Pervertito, Pederasta, Pedofilo. Anatema! Lo scagliarono tutti, caro Vassalli: i benpensanti conservatori, certo, ma anche i benpensanti del Pci, stalinista e rivoluzionario, e al tempo stesso "virtuoso", moralista, bigotto e timoroso di bruciarsi a quell'inferno pieno di slanci, tenerezze, affanni che era Pasolini, arcitaliano amaro.
Mario Bernardi Guardi

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