domenica 7 novembre 2010

Oltre la conoscenza, così Milva canta il pensiero profondo (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia di domenica 7 novembre 2010
L'arte migliore - o la più affascinante - porta con sé qualcosa di inafferrabile. L'artista è un esploratore che accumula impressioni, più che dati di fatto. Più suggestioni che certezze. Si spinge in certi territori sconosciuti, della forma o della sostanza, del cervello o del cuore, al di là delle scogliere dei codici già acquisiti che fanno incagliare l'immaginazione, e delle sabbie mobili dei sentimenti risaputi che risucchiano nel kitsch, e al suo ritorno non redige carte geografiche o classificazioni scientifiche. Scrive poesie e racconti. Compone musiche. Dipinge piccoli acquerelli o grandi quadri o immensi affreschi. Non ama le spiegazioni. Spera che non ce ne sia bisogno. 
Milva e Battiato sembrano rientrare perfettamente nella categoria. Possono rispondere a qualsiasi domanda, per pura cortesia o per obbligo professionale, ma danno l'idea di essere loro stessi i primi a credere che nulla di nulla possa essere aggiunto a ciò che hanno fissato nei loro dischi, o sprigionato nei loro concerti. Come recitano i versi di I processi del pensiero, che fa parte di questo nuovo album di Milva intitolato Non conosco nessun Patrizio! e totalmente incentrato sul repertorio di Battiato, con nove cover e un inedito, "quante relazioni si nascondono nel gioco delle forze che non vedi, all'insaputa della razionalità". L'arte migliore le fa emergere, quelle relazioni nascoste, e confida che in tal modo non stia aiutando soltanto a cogliere ulteriori dettagli ma a scoprire un altro modo di guardare. Anzi, di percepire. L'obiettivo non è un nuovo inventario, che ruota intorno all'idea e al bisogno di possesso - forma suprema, e supremamente subdola, del controllo. L'obiettivo è il superamento, o almeno l'attenuazione, degli schemi mentali che limitano la conoscenza, inducendo ad accorgersi solo di quello che coincide con le proprie aspettative - e quindi con le proprie abitudini.
Se questo è vero in assoluto, al di là del fatto che gli stessi artisti ne siano consapevoli e si trovino d'accordo, lo è ancora di più nel caso di Battiato, che essendo l'autore o il coautore di tutti i brani, nonché il produttore dell'album, ne resta il principale referente artistico. Senza nulla togliere a Milva, che è un'interprete di prim'ordine di cui non si devono certo scoprire oggi le doti, e che del resto ha già alle spalle due esperienze analoghe con lo stesso Battiato (Milva e dintorni nel 1982 e Svegliando l'amante che dorme nel 1989), si potrebbe arrivare a dire che questo è un album di Battiato con la voce di Milva al posto della sua. Il che, come avviene quasi sempre nel caso dei cantautori, accresce la qualità prettamente canora ma tende a ridurre il senso di identificazione. Milva è bravissima; eppure essere bravissimi non significa essere anche carismatici. Battiato non esita a renderle merito: «Secondo me lei canta questi pezzi meglio di me. L'ho convinta a cantare all'ottava più bassa e il risultato è stato ottimo. La sua voce suona più grave della mia, è davvero sorprendente». Eppure, tranne che in qualche passaggio qua e là, il processo di appropriazione non arriva fino in fondo. In parte per responsabilità di Milva, che avrebbe potuto personalizzare di più la modulazione delle parole, e in parte di Battiato, che anche quando modifica le versioni originali non si discosta affatto dal suo tipico sound, giocato sul contrasto tra ritmiche scandite e aperture melodiche.
Così, per quanto il risultato finale sia indubbiamente efficace, e a tratti toccante, manca quel pizzico di autentica sorpresa che fa la differenza tra una semplice conferma, per quanto piacevole, e una rivelazione illuminante. Viene da chiedersi cosa sarebbe accaduto spingendosi al di là di questa formula - le canzoni di Battiato, gli arrangiamenti di Battiato, la voce di Milva - per cimentarsi invece in quel tentativo di reinvenzione vera e propria che è la vera ragion d'essere di una cover. Ad esempio, vista l'antica collaborazione anche con lui, si sarebbe potuta affidare la produzione a Vangelis: che a sua volta ha il gusto dell'accostamento, o della fusione, tra melodie di grande respiro e ritmiche martellanti di taglio quasi computerizzato, ma che avrebbe certamente ampliato i termini della rilettura e permesso di inoltrarsi in direzioni meno prevedibili.
Il rimpianto, senza drammatizzare troppo, è acuito dalla fondata possibilità che si tratti dell'ultimo album di Milva, che nella sua lunghissima attività avviata all'inizio degli Anni Sessanta ne ha pubblicati più di 70, compresi i molti che ha pubblicato all'estero e specialmente in Germania. Ad affermarlo è lei stessa: «A 71 anni e dopo le ultime vicissitudini (la grave e inspiegabile malattia che l'ha costretta a ricoverarsi d'urgenza nel maggio scorso e che ha fatto temere il peggio - Ndr), credo sia giusto dire basta. Niente più tour, forse un recital ogni tanto, magari con qualcuno. E credo nemmeno più dischi. Non ho altri desideri, ho avuto grandi soddisfazioni e ho lavorato con gente come Strehler, Berio, Vangelis. Mi dedicherò a me stessa. Sto scoprendo l'importanza della conoscenza interiore. In passato ho corso troppo: impegni, amori sbagliati, depressione, mai vacanze».
Vada come vada, rimane un percorso straordinario. Che almeno qui in Italia non ha uguali, per vastità di interessi e per l'incessante coraggio di cambiare traiettoria, e che ridicolizza l'arcaica contrapposizione con le due rivali di inizio carriera, Mina e Iva Zanicchi. La prima si è ritirata anzitempo dai concerti e si è limitata a inanellare album infarciti di pezzi strafamosi e di inediti per lo più irrilevanti, troppo spesso dovuti alla penna, tutt'altro che memorabile, di suo figlio Massimiliano (Pani); la seconda è finita addirittura a fare la presentatrice televisiva, l'attrice di fiction e l'eurodeputata. Delle tre, l'unica a non essersi mai accontentata di avere successo, dando al pubblico ciò che il pubblico si aspettava, è stata lei, Milva. Ha fatto del proprio talento il punto di partenza di una ricerca artistica a tutto campo, consegnandosi tra l'altro a un maestro inflessibile come Strehler. Ha fatto della propria carriera una magnifica avventura. Si è guadagnata il diritto di fermarsi: dopo tanti viaggi, e tante esplorazioni, finalmente un po' di quiete.
Federico Zamboni

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