martedì 28 dicembre 2010

E con "Wembley in una stanza" Ghilardi racconta la stagione del calcio fra sogni e ribellione (di Giovanni Tarantino)

Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia del 28 dicembre 2010
«Dear Santa, this Christmas we'd like Subbuteo with all the trimmings». Ha suscitato ironia e curiosità la lettera che la Federazione dei tifosi inglesi ha indirizzato quest'anno a Babbo Natale. «Vorremmo un Subbuteo con annessi e connessi»: anche questo è un segnale che la Subbuteo-mania è una tendenza di ritorno. Si legge Subbuteo, del resto, e si pensa al calcio dei tempi andati. Scrive di Subbuteo e non solo, parlando del «caro vecchio football», anche Fabrizio Ghilardi, già noto ai lettori del Secolo d'Italia per un pezzo su Roy of the Rovers, fumetto pop britannico sul calcio, oltre che come animatore di Action Now-Play old style, laboratorio d'utopie che si batte in favore di un calcio "sostenibile" e a dimensione di tifoso che, non a caso, utilizza proprio il Subbuteo come icona. 
Ghilardi è adesso all'esordio nel campo della narrazione con Wembley in una stanza (Minerva, pp. 286, euro 15), primo romanzo italiano in cui torna di scena il famoso gioco di calcio da tavolo con cui sono cresciute intere generazioni di ragazzi, capaci di mantenere inalterata la passione anche crescendo. Al centro del racconto le gesta di due bambini che, chini sul tappeto verde, vedono scorrere le vicende simbolo degli anni Settanta e Ottanta, contemplando a distanza il mondo degli adulti, incarnato dai genitori, dagli insegnanti e dal nonno, che regala ai due fratelli l'agognato Subbuteo.
Un viaggio a ritroso nel tempo, tra calcio e politica, amori e letteratura, figurine Panini e campioni, mezzi campioni, carneadi, brocchi, scudetti vinti e scudetti persi, e certe storie, ambientate, a seconda della fantasia dei piccoli giocatori, a Roma o a Torino, a Palermo o a Trieste.
Pagina dopo pagina, scorrendo nomi e vicende, si percepisce il principale merito di Fabrizio Ghilardi, che nel suo libro fa rivivere i nomi e i volti appartenenti alla memoria collettiva da Luciano Re Cecconi a Bobby Sands, da Margareth Thatcher ad Aldo Moro.
Senza lasciare indietro naturalmente i numerosi calciatori italiani e stranieri e causando un piacevole effetto flash back, misto tra ironia e nostalgia, affrontato sempre con forte senso della storia. Tanto per citare l'episodio in cui i due fratellini interpretano il corso delle cose alla loro maniera, sentendo al telegiornale la notizia del sequestro di Aldo Moro: ignorando ancora il ruolo politico dell'ex presidente della Democrazia cristiana, lo associano al nome dei calciatori Adelio Moro dell'Ascoli e Odilio Moro del Brescia, non capendo il perché di tanto odio da parte delle Brigate rosse contro una mezzala e un centrocampista. In Wembley in una stanza non è un caso che anche l'umorismo sia di stile british. A tutto ciò, come non ha mancato di ricordare nella sua presentazione lo scrittore torinese Giuseppe Culicchia, fa da sfondo un'Italia particolare con ancora «una tivù fatta di due soli canali, dove Paolo Valenti conduce Novantesimo minuto, ma da cui entrano nelle case degli italiani anche il mago Silvan, Ernesto Calindri e Loretta Goggi, per tacere di Ugo Pagliai, protagonista all'epoca dello sceneggiato Il segno del comando, o di Renée Longarini, che con Enzo Tortora conduceva Portobello. Così, poco per volta, mentre si completa l'album delle figurine Panini e la Lazio diventa campione d'Italia 1974, prende forma un vero e proprio catalogo».
Coglie pienamente lo spirito del libro anche Darwin Pastorin, nella sua introduzione, che definisce Ghilardi non solo uno scrittore ma «un ribelle, un sognatore, un fuggitivo. Un cantastorie, un bracconiere di memorie, uno che affronta il presente recuperando coriandoli e bagliori del passato». Un libro che, nell'immaginario del giornalista italo-brasiliano, significa tante altre cose oltre al calcio e al Subbuteo. Un periodo, ad esempio. «Le pagine di Fabrizio mi hanno riportato a quella stagione epica - sostiene Pastorin - che era una stagione di sogno e di ribellione, di quando la giovinezza ci sembrava lo scrigno di tutte le meraviglie del possibile. Di quando noi ragazzi leggevamo Hemingway e Kerouac e conoscevamo a memoria l'incipit di Howl, ascoltavamo Fabrizio De André, Francesco Guccini e Claudio Lolli, scendevamo in piazza al fianco degli operai della Fiat Mirafiori in sciopero, degli studenti cileni e dei contadini vietnamiti. Sì, c'era il Subbuteo: ma c'erano anche i tornei studenteschi di pallone (per tre volte vinsi la classifica dei cannonieri), Contessa di Paolo Pietrangeli, le rovesciate di Pietro Anastasi, i fumetti di Tex Willer, e quanto amavamo le vittorie di Aquila della Notte contro i soldati arroganti e i venditori di odio e di morte, i massacratori di indiani».
Nel calcio dei giorni nostri gli "indiani" stanno di sicuro dalla parte del Subbuteo: ai lettori più attenti non sfuggirà di certo chi, invece, può interpretare il ruolo del soldato arrogante. Ne siamo certi, comunque: è quello raccontato in Wembley in una stanza il calcio che abbiamo sempre sognato.
Giovanni Tarantino

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