Da Rinascita del 28 gennaio 2011
Il fumetto è stato senza dubbio uno dei protagonisti della letteratura del ventesimo secolo. Un ruolo da protagonista che si è dovuto conquistare a fatica.
Troppa la diffidenza dei benpensanti in servizio permanente e le sentenze emesse in assenza di contraddittorio dalla sedicente intellighenzia. Ancora oggi chi viene sorpreso a frugare negli anfratti più nascosti delle edicole viene guardato con una certa diffidenza. Non parliamo poi degli avventori delle fumetterie che hanno più di quaranta primavere, mostri simili a quelli che popolano i racconti fantastici.
Gli albi che raccolgono le avventure narrate delle “nuvole parlanti” sono ancora oggi considerati letture puerili, giudizio tipico di chi è troppo abituato a fermarsi alle apparenze. La frequentazione delle tavole disegnate con la china fu addirittura ritenuta pericolosa per un’intera generazione. Nilde Iotti su un numero di Rinascita del 1951 arrivò a scrivere che: “La gioventù che si nutre di fumetti è una gioventù che non legge e questa assenza di lettura non è l’ultima tra le cause di irrequietezza, di scarsa riflessività, di deficiente contatto col mondo circostante e quindi di tendenza alla violenza, alla brutalità, all’avventura fuori dalla legge”. Parole troppo severe. Come si può sognare di cambiare il mondo che ci circonda senza possedere un immaginario? Sicuramente la storica leader del Pci considerava più formativo leggere Gramsci, una convinzione legittima ma errata.
Figlia forse di quelle visioni che hanno considerato questo genere un po’ troppo “fascista”. Non a caso Jacovitti, uno dei più celebri disegnatori, non fece mai mistero della sua collaborazione con l’Msi ai tempi della segreteria di Arturo Michelini. Tralasciando la politica, non possiamo non ritenere il fumetto come uno dei patrimoni della nostra cultura, un fenomeno da difendere e valorizzare. Nonostante la crisi dell'intero comparto editoriale le case editrici che pubblicano comics possono fare affidamento su uno zoccolo duro di lettori.
Una nicchia di fedelissimi che non appare affatto disposta ad abbandonare i propri beniamini. Certo, i numeri delle vendite non sono quelli di trent’anni fa, il dato è dovuto però alla moltiplicazione delle collane. Una differenziazione del prodotto che non offusca la fama dei personaggi più famosi: Tex, Zagor, Dylan Dog, Mister No, Alan Ford e tanti altri. Nel suo “All’armi siam fumetti” (I libri de Il Fondo, 210 pagine, 12 euro) Roberto Alfatti Appetiti ci accompagna in questo mondo di carta abitato dagli “ultimi eroi di inchiostro”.
Personaggi che, proprio grazie a questa caratteristica, potrebbero essere facilmente eletti a paladini dell'antimodernità. In un periodo segnato dall'incalzante successo di tablet, ebooks e pubblicazioni online gli interpreti che affollano le strisce potrebbero dare un colpo di coda per allontanare – almeno per un po’ – la scomparsa della carta stampata. Non è scontato che la battaglia debba essere cruenta. Per farlo basterebbe mutuare uno dei comportamenti che contraddistingue Nathan Never, personaggio pubblicato dalla storica Sergio Bonelli. Nel ventiduesimo secolo, era che ospita le avventure cyberpunk di questo detective, supporti elettronici di ogni specie hanno soppiantato libri e dischi, divenuti cimeli per collezionisti. Un dato che non limita la passione del protagonista per questi oggetti figli di un passato lontano. Una resistenza silenziosa in un mondo in cui, complice una mutazione genetica, i giovani sono in grado di controllare qualsiasi apparecchiatura elettronica con un semplice tocco.
Un’altra battaglia condotta in solitaria è sicuramente quella di Andy Capp, instancabile fannullone inglese che trascorre le sue giornate diviso tra il divano e il bancone del pub. Comportamenti che non vanno d’accordo con i diktat imposti dalla società dei consumi, un ribelle anarcoindividualista per questo utilizzato nell’iconografia ultras. “Non siamo di fronte ad un cattivo maestro – ha dichiarato Antonio Pennacchi – Andy Capp è un finto burbero ma ha un cuore d’oro, un po’ come l’Accio Benassi del mio romanzo Il fasciocomunista.
Per vent’anni ho portato il suo stesso cappello, poi l’ho cambiato con uno a tesa larga ma gli resto fedele come a un vecchio amico”. A conferma di come i fumetti siano una cosa seria, si potrebbe citare l'irruzione di Dylan Dog nella querelle legata all’eutanasia e al fine vita. Circa un anno fa l’ex agente di Scotland Yard fu protagonista di un episodio in cui si interrogava su accanimento terapeutico e definizione di vita. Analisi che non ti aspetti da un latin lover perennemente impegnato a sedurre le clienti.
Matteo Mascia
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