Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia di martedì 8 febbraio 2011
“La sua storia sembra un romanzo, ma credo sarà facile ritrovarsi in tanti episodi: nasciamo tutti nello stesso modo e tutti – Giovanni ne è stato la dimostrazione – possiamo trovare il modo di emergere. Se troviamo coraggio di prendere la vita nelle nostre mani, quelli che oggi sono sogni domani possono diventare realtà”: una biografia sul più importante picchiatore della boxe moderna italiana può diventare una lezione esistenziale che dal ring offre un modello a tanti giovani imbolsiti dalla spasmodica ricerca di affermazione personale senza percorrere la strada in salita del sacrificio e dell'impegno.
“Il pugno invisibile – Essere Giovanni Parisi” (pp. 223, euro 15, Add editore), scritto da Roberto Torti e Silvia Parisi, è il racconto della vita intensa e ricca di successi del pugile di Vibo Valentia, prematuramente scomparso nel 2009 in un incidente stradale. Le vicende sportive, lastricate di vittorie sorprendenti e contro ogni pronostico, fanno il paio con la cifra umana di un atleta che ha lasciato traccia del suo impegno civile, a favore dei meno fortunati e dei giovani che attraverso la disciplina della “noble art” possono trovare una bussola per non perdere l'orientamento nel labirinto nichilista della postmodernità.
Parisi regalò all'Italia la medaglia d'oro nei pesi piuma alle Olimpiadi di Seul. Stese il rumeno Daniel Dumitrescu, con un sinistro d'incontro poderoso che gli valse il gradino più alto del podio. Una tappa luminosa per un figlio del Sud emigrato dalla Calabria a Voghera, in provincia di Pavia. Come se la passava la sua famiglia? La sorella Giulia ne offre uno spaccato: “Stavamo in cinque in una stanza, il bagno era a all'esterno e per dirla tutta non era nemmeno nostro, lo dividevamo con gli altri inquilini di quel caseggiato. Fu in quella stanza di via Longa che le precipitarono in fretta e cominciarono i guai. Mio padre ne faceva di tutti i colori e mia madre un giorno lo cacciò. E restò da sola con noi tre”. Nell'umiltà e nell'istinto di sopravvivenza di una mamma coraggiosa si è forgiato il carattere guerriero di Giovanni. A scuola veniva descritto come spigoloso: “Era un'impresa mettere i piedi in testa a quel ragazzino scontroso”. Gli piaceva lo sport. Il calcio. Era un leader nato, ma la sua strada era con guantoni. Livio Lucarno, il suo maestro dal 1980: “Era soprattutto ansioso, chiuso, aspro, frenetico. Ma anche umile e appassionato. E sincero, e dolce sotto quella scorza. La boxe gli ha dato una regola e un obiettivo preciso. E io sono fiero di averlo visto crescere, in statura e personalità”. Ai suoi giovani allievi continua a spiegare che Giovanni “era un grande pugile, leggero, veloce, potente ed intelligente. Che lo chiamavano “Flash”. Che ti castigava con il sinistro ma anche con il destro. Che schiantava tutto. Che non mollava mai”. Ecco, dietro quel volto scuro e meridiano albergava la consapevolezza che arrendersi era l'unica opzione non prevista nella sua visione del mondo. Nel libro sono ricostruiti i primi incontri di Parisi, con la canottiera della Associazione Boxe Voghera a Trezzano sul Naviglio, nel 1981, e da un ring all'altro si arriva alle Olimpiadi sudcoreane. Giovanissimo “danza, attende, sfugge, valuta, controlla il match nella prospettiva di cogliere l'attimo e liberare tutta la sua potenza”. Non ha solo una forza esplosiva nei colpi. La sua marcia in più è nella capacità di leggere gli incontri, di elaborare in pochi istanti la strategia per perforare la guardia dell'avversario, mettendone a nudo le debolezze. Alla vigilia della competizione in Oriente perse la mamma Carmela, si candidò alle elezioni comunali e subito dopo si ritrovò catapultato in una avventura che avrebbe per sempre cambiato la sua vita. Da riserva della squadra azzurra arriva in finale. Il 2 ottobre 1988. Gelindo Bordin vinse la maratona e Parisi l'oro nella finale con il rumeno Dumitrescu (finirà borseggiatore a Roma, arrestato nel 2009). “Il pugno invisibile, sì. Un lampo. Primo round, un minuto e quarantuno. Il sinistro parte e arriva in una frazione di secondo sulla mandibola di Dumitrescu. Non c'è molto da raccontare di quel match, deciso da un solo pugno. E forse non c'è molto da raccontare nemmeno di quel pugno: perfetto, sublime. Cos'altro dire? Certo, l'effetto è deflagrante, e non solo tecnicamente. Riempie l'attimo in cui si decidono i percorsi di due vite. (...) Otto anni dopo essere entrato nella palestra di Voghera si mette al collo il sogno di ogni atleta di qualsiasi sport. Esulta, fa una capriola, si rialza, salta, vola, ride, piange. In otto anni passa dal niente al tutto, che ottiene con la sua forza e il suo talento, e con l'aiuto di persone che non dimentica di ringraziare. (...) Guarda quante cose può cambiare un pugno”. Il salto da professionista fu inevitabile e meritato: detentore della corona WBO dei pesi leggeri dal 1992 al 93, fu iridato WBO dei superleggeri dal 1996 al 1998. Il prete che ne officiò il funerale, don Gianni, rese onore alla generosità di Parisi, orientata una volta conclusa la carriera all'educazione dei figli, al progetto di un campus per giovani pugili (opera che sarà portata a termine da una fondazione) e dalla vicinanza mostrata per i disabili della scuola nuoto di Voghera. Testimonianze concrete, stavolta sì visibili, del cuore del campione che resta nella storia del pugilato italiano.
Michele De Feudis
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