Il "nostro" percorso da Leo Longanesi a Clint Eastwood
Un saggio che spiega gli strappi con un filo libertario tutto italiano
Articolo di Giuliano Compagno
Dal Secolo d'Italia di venerdì 11 febbraio 2001
E senza aver mai perduto il contatto con la base, che ne aveva seguito il lancio, e poi il volo, dall'infinito spazio delle idee ci giunge forte e chiara la scrittura di Luciano Lanna. Benché sia esausto, come tutti noi, del dover continuamente giustificare e spiegare in che misura le immagini, le narrazioni, i fatti e le cose del mondo siano sempre appartenute a tutti noi per poi esserci tornate in dote da alcuni anni.
Avevamo un problema e l'abbiamo risolto alla radice, annuncia infatti Lanna: destra e sinistra, d'ora in poi, non starà a noi distinguerle. Non a noi che nel pensiero, nelle arti e nelle lettere siamo andati e venuti liberamente, perché superavamo sempre in scioltezza i guardiani delle ideologie… Non controllavano quasi mai i nostri bagagli, ne disprezzavano comunque il contenuto, al massimo una rapida occhiata al bagaglio a mano, tanto per sincerarsi che non nascondesse alcuna apologia… Tra le righe de Il fascista libertario. Da destra oltre la destra tra Clint Easwood e Gianfranco Fini (Sperling & Kupfer, pp. 255, € 17,00), che Lanna regala a chi voglia accedere attraverso l'immaginario e la storia delle idee al XXI secolo, si legge persino una forma di rispetto nei confronti di chi ancora oggi, in questo Paese, proclama la personale necessità di sapere chi vi sia da quella o da questa parte, se postfascista o postcomunista, se odiava i diversi o mangiava i bambini, se gli toglieranno la seconda casa o gli permetteranno di sognare ville ad Arcore e ai Caraibi, se Nietzsche o Marx insomma, e in ogni caso a condizione di non "darsi mai la mano". Sarà anche una piccola Italia trascinata nella deriva della subcultura berluscon-bossiana, ma non è mai nobile abbandonare i propri figli nella nave in tempesta, e comunque è un bastimento da ricoverare in qualche porto. Semmai il disprezzo lo merita chi sguazza al timone, in perfetta malafede, tra le divisioni e i rancori di un Paese che non esiste più, se non nella propaganda di politicanti in vena di populismo.
Potremmo fare nomi e cognomi ma non ci va, preferiamo ripresentare ai suoi stessi lettori quello di Luciano Lanna: intellettuale disorganico, cattolico e laico ad un tempo, studioso di filosofia e dei fenomeni dell'immaginario oltre che giornalista che realizza con questo libro una promessa fatta in vita al compianto Giano Accame e lo scrive in memoria di suo nonno e di suo padre, e nel presente dei cari e degli amici che ogni tanto lo vanno a trovare nella sua dimora d'origine, ad Artena, nella cui biblioteca è custodito il sacco del campo di prigionia di Beppe Niccolai, quando questi era recluso da italiano "non cooperatore", a Hereford. Simbolo di una storia che non fu banale e che proprio per questo si sarebbe «aperta all'imprevisto», nonostante quell'adolescenza che tutti ci ha accomunati, quando era giusto ucciderci, o quanto meno depenalizzato. Ecco, come tanti di noi, Luciano Lanna viene anche lui da quel crocevia di passioni e di contraddizioni, da dove si aprivano orizzonti differenti, squarci di cielo plumbei o assolati a seconda delle giornate. Quella di Stefano Recchioni e di Giorgiana Masi, e le notti di Aldo Moro recluso, ma anche le gioiose mattinate del '77, appena maggiorenni e con tutto il divertimento, innanzi a noi, di poter finalmente scherzare il potere, rientrare a casa con Il Male sottobraccio e però non rinnegare i ghigni e le perfidie dei centropagina del settimanale il Borghese e prepararsi al Campo Hobbit. Perché la nostra vita, la tua, la mia, di chi ci legge con affetto, è stata di una micidiale complicazione, tanto che nel 2011 ci coglie ancora la fatica di dover spiegare da dove veniamo e dove andiamo, da destra, da sinistra o dalla piazza centrale dove transitano tutti prima di riprendere il tragitto. "Che palle!" chioserebbe qualche amico comune. Tu invece, paziente, a ricostruire daccapo l'enigma di noi irregolari, oltre la destra e la sinistra, di destra ma... con tante specificazioni, soprattutto non-allineati e non-conformisti, "fascisti libertari" suggerisce Lanna, spiegando che solo un ossimoro potrebbe raccontare la complessità dei percorsi reali. E poi la nostra sterminata bibliografia di riferimento (che poi rappresenta il nostro vero orgoglio): non solo Drieu La Rochelle, Céline, Julius Evola e Robert Brasillach - che troppo facile sarebbe… - ma Luciano Bianciardi e Alain de Benoist, Albert Camus e Bob Dylan, Montanelli e Mughini, Mino Maccari e Marinetti, Clint Eastwood e Leo Longanesi, Pablo Echaurren e Mircea Eliade, Francesco De Gregori e Ennio Flaiano, Kerouac e Guccini, Pier Paolo Pasolini e Marco Tarchi, Giorgio Albertazzi e Ezra Pound, Hugo Pratt e Carlo Mazzantini, Perniola e Brassens… Strapaese, Fiume, il '68 e la Nuova destra. Cosa raccontano del passato e cosa annunciano per il futuro queste icone della cultura che ha accompagnato la nostra crescita e la nostra volontà di comprendere il nostro tempo e di fornire una nuostra partecipazione? A esse abbiamo attinto liberamente, fregandocene di chi sospettava quel tasso di compagnitudine superiore allo 0,0001 ancor oggi vigente per via del milleproroghe ideologico reiterato da Gasparri, La Russa o Storace (i nomi scappano come i colonnelli, da sempre…). Avrete notato che non ci è nemmeno sfuggita la domanda: "Ma che cos'hanno in comune tutti questi autori…?", perché la questione suonerebbe, per l'ennesima volta, davvero sciocca. E perché qui sta la rara qualità del pamphlet di Lanna: nell'aver riconsegnato gli uomini alle loro storie individuali - di ex fascisti o di ex comunisti, di ordinovisti o di ex ellecì, di liberali e socialisti o di cattolici popolari - che nel rileggerle ci narrano l'intera vicenda del Novecento italiano, ciascuna con il senso, le ragioni e i torti di un tempo irripetibile. Ora, questo esercizio di sapiente archiviazione, dai cialtroni tuttora in attività, viene falsamente malinteso come un tradimento, o se va bene come l'improvvisa mutazione ideologica di colui che "… fino a un minuto prima, vi assicuro, era di destra, diceva buongiorno e buonasera…". E ora? Cos'è accaduto? "È tanto cambiato…" Se non fosse che la sostanza di tali commenti è vera, sembrerebbe un cabaret alla Zelig, ma è stata la provincialissima politica italiana ad aver accolto così i famosi "strappi" di Fini sui temi che assillano la nazione (satiri e ciechi esclusi): l'immigrazione, i diritti e i doveri, il problema del merito, la bioetica, l'ambiente, la questione femminile… Che c'entra - si legge in quarta di copertina - la destra italiana con il diritto di voto agli immigrati? Cosa hanno in comune il '68 e Fini? Qualcosa, suggerisce il nostro autore, che viene da lontano e fa sì che queste posizioni non siano estemporanee...
«L'impressione - commenta Lanna - è che si tratti di un automatismo, dettato vuoi da un'ottusità preconcetta, vuoi da una volontà deliberata di delegittimazione. Ogni qualvolta da destra sia stata espressa una posizione esplicita - non mediata da convenienze tattiche e affrancata dal classico armamentario retorico con cui si blandisce o si eccita un presunto elettorato di riferimento - immancabilmente si è tornati a parlare di strappo…». Ed è proprio da questa esplicita insofferenza che Lanna riparte, rivisitando le esperienze di chi allora ebbe a mettersi in gioco, senza troppa enfasi eroica, e si ritrova oggi in bella compagnia nei manifesti, nei libri, negli articoli: come Monica Centanni, Peppe Nanni, Omar Camiletti, Annalisa Terranova, Miro Renzaglia, Roberto Alfatti Appetiti e molti altri, nessuno più confinato da qualche parte, o come Umberto Croppi per il quale, pochi giorni orsono, in nome di un progetto culturale avanzato, si è arrivati a riempire un teatro romano di mille posti, di lunedì pomeriggio, fenomeno mai visto prima. Ad alcuni appare stupefacente che questa truppa di briganti irregolari si sia incontrata daccapo in seno a un progetto "moderato". Ma moderato de che?!? Scherziamo o cosa? Qui non si tratta di rinnegare le stupende letture e i fantastici autori che hanno arricchito la nostra giovinezza ma di ricostruire un paese mortificato dall'edonismo depressivo di gruppetti maniacali che gozzovigliano alle spalle di tanta gente normale. Sarà un caso, ma gli stessi che trent'anni fa lanciavano il cuore oltre l'ostacolo di un vecchio parlamentarismo postbellico, oggi si riconoscono più o meno in alcuni desideri irrinunciabili: in una politica che torni a dialogare e a discutere di cose reali; in un consenso costruito non già sulla base di quote o grazie ai collettori di professione ma sulle proposte e sulle strategie; in un azzeramento di tutte le incompetenze che la brutta politica ha causato o avallato invadendo ogni settore creativo e produttivo del Paese; in una nazione che respinga in via definitiva questa pessima, eterna parodia di Peppone e Don Camillo, e che quindi riposino entrambi in pace, che non se ne può più. Se proprio ci tenete, faremo un'ultima commemorazione e per l'occasione leggeremo alcuni passi de Il fascista libertario, di questo libro per un certo mondo importante, che in qualche modo chiude e apre - com'è descritto in un indimenticabile verso di Cummings, con la differenza che il poeta alludeva alle piccole mani dell'amata, mentre Luciano Lanna ha pensato a noi, un po' canaglie, un po' ribelli e molto molto saggi. Fatto sta che "un'altra destra" sembrerebbe possibile.
Giuliano Compagno
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