giovedì 17 febbraio 2011

Il fascista libertario (la recensione di Mario Lavia su Europa)

Nella foto Luciano Lanna
Il fascista libertario, il libro di Lanna sulla Nuova destra
Articolo di Mario Lavia da Europa (11 febbraio 2011)
Verrebbe da dire – parafrasando Gianfranco Fini – che «la ricreazione è finita». Nel senso che è finita anche per lui. A Milano oggi si sancisce l’esistenza di un nuovo soggetto politico e al tempo stesso si segna la fine della sua età dell’innocenza, quella un po’ scapigliata che va dal «che fai, mi cacci» a Bastia Umbra passando per Mirabello, quella di Bocchino in maniche di camicia in tv e di Fini barricato ad Ansedonia, dei manifesti ottobristi e dell’entusiasmo “laico” dei Della Vedova e Moroni: stagione a suo modo esaltante. Bene. E adesso che si fa?
Adesso – scriveva ieri su Europa Franco Cardini – Fli deve fare politica: deve cioè scegliere una linea credibile e coerente. Perché, ben prima della rifondazione di una destra europea, democratica e non padronale, c’è un compito politico drammaticamente urgente: mandare via Berlusconi da palazzo Chigi. Che si intreccia a quello, non meno cruciale, di costruire le condizioni per una sua sconfitta finale. Le due cose stanno insieme: se il paese avrà la sensazione che esistono le condizioni politiche per battere definitivamente il Pdl, allora sarà relativamente più agevole indurlo ad andarsene, con tutti i mezzi (battaglia parlamentare, movimenti di opinione, prese di posizione politiche e istituzionali).
Sta qui il dilemma di Fini: se accelerare sulla costruzione di un blocco politico che nel paese è già maggioranza o scommettere su tempi più lunghi, un’ipotesi – diciamo noi – a maggiore tasso di imprevedibilità. In parole povere, domenica con il discorso milanese il leader di Fli dovrà dislocare il suo partito in maniera più chiara. È disponibile, Fini, a lavorare attorno al progetto di una grande alleanza elettorale per battere il tandem Pdl-Lega? Ed è dunque pronto, su questa linea, a fare la prima battaglia interna contro chi è fermo sull’idea di “restare a destra” (ma quale destra?), rompendo un altro tabù, quello dell’intesa – pur provvisoria e straordinaria – con il centrosinistra? Crede o no, Fini, che è su questa sfida che si gioca anche la questione della leadership politica del Terzo polo?
Ma ci sono domande ineludibili che volteggiano sul congresso che si apre oggi. La prima: è vero o no che l’immagine del suo leader pare meno smagliante? La campagna su Montecarlo, per quanto non vincente, qualche stanchezza l’ha provocata. Quella sulla presunta incompatibilità fra leader di partito e presidente della camera è stata più insidiosa perché non campata in aria. Una certa ritrosia a marciare con gli altri del Terzo polo si è avvertita. Ora, o Fini è in grado di affrontare tutti questi nodi in modo chiaro o rischia di arrostire al sole delle polemiche.
La seconda domanda: perché pare circolare molto meno quell’aria nuova, quell’ansia culturale, dei primi mesi? È un po’ come se si sia smarrito il filo del discorso, come se dopo aver tirato giù tanti cliché e abbattuto parecchi muri i finiani si ritrovassero a camminare sulle macerie di una città distrutta senza aver deciso dove edificare quella nuova, e come. Allora, se indietro non si può tornare, si deve lavorare con il materiale che si ha fra le mani e, se ci si riflette, almeno in teoria loro di Fli di materiale ne hanno parecchio.
Ed è bene che venga alla luce, magari anche un po’ alla rinfusa, come quando uno scopre di avere in cantina o in soffitta beni preziosi che non sospettava. E poco male se si dovrà lavorare di gomito per togliere la polvere. Ben venga, in questo senso, la piccola enciclopedia messa su da Luciano Lanna (Il fascista libertario, Sperling e Kupfer), il direttore responsabile di quel Secolo d’Italia che ormai da tempo è una fucina di quelle idee di destra che accompagnano Fini nella sua impresa politica. Lanna è un uomo molto colto, getta le reti nell’oceano della cultura novecentesca italiana e straniera per tirare su quantità spaventose di spunti, romanzi, aneddoti, convegni, canzoni per la formazione di uno straordinario retrobottega della sua nuova destra.
Dagli anni Dieci a Fini, per intenderci, un salto enorme fra le mille liane di pensieri e parole lungo la coordinata dell’«andare oltre gli stereotipi» e che poi si sintetizzano con quelle che chiudono il libro: «Al di là della destra e della sinistra». Perché l’autore parla di “destra”, certamente, ma “nuova”, tanto nuova da non essere nemmeno più, sic et simpliciter, destra: e non nel senso banalotto che “destra e sinistra non esistono più” che a ben pensarci vuol dir tutto e non vuol dire niente, ma in quello ben più arduo di saper scorgere nella cultura della destra quegli elementi tanto propulsivi e moderni da poter figurare a pieno diritto nell’alfabeto democratico e finanche progressista. È un esercizio acrobatico? In un certo senso sì. E che rischia talvolta di far restare il piede incollato all’acceleratore, così che nel grande cesto della nuova destra ci si trova di tutto, ma proprio di tutto, ed è probabilmente inevitabile che il gioco prenda la mano e che alla fine vengano “arruolati” a destra autori e personaggi che certo non amerebbero essere ficcati lì.
Può stupire tanto “amore” – come altro chiamarlo – verso il ’68, o per una cultura di sinistra eretica, o per certe istanze terzomondiste («Che Guevara in camera da letto»), o per i Beatles di Revolution: ammettiamolo, certe cose sorprendono. O ancora Pavese, o Camus: pensavamo fossero pagine “da questa parte” ed è un ulteriore motivo di ammirazione per loro se entrano oggi nel gioco intellettuali degli “altri”. La stupefazione sale perché pensiamo alla destra di quegli anni, ai suoi capi, ai misfatti, a certe frasi, a ricordi poco piacevoli e c’è poco da fare, abbiamo bisogno di un sovrappiù di pensiero e di frenare certe impazienze per stare dietro al grande racconto che l’autore propone.
È anche un libro di illusioni perdute, questo, di occasioni mancate per una destra lenta a scrollarsi di dosso chili di robaccia che le hanno impedito di conquistare “le masse”, e qui c’è, non diciamo reticenza, ma una qualche insufficienza: ma forse sarebbe stato un altro libro. E dunque Lanna assume i panni del flâneur che vaga per i mille convegni eterodossi, gira fra gli scaffali di libri sorprendenti, va in cerca di una verità che – lo sa lui per primo – tale non sarà mai, ma solo progetto, ricerca, speranza. E non sarebbe poco se Fli diventasse così.
Mario Lavia
Da Europa quotidiano
11 febbraio 2011

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