L'antagonismo sta in fondo alla curva
I drappi borbonici a Napoli sono la conferma: negli stadi si sfoga la "pancia" del Paese
Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia del 22 febbraio 2011
Le curve come specchio dell'Italia profonda. Quella dei mille campanili e delle divisioni. Della politica e dell'antipolitica. Delle rivendicazioni localistiche o universali. Fino all'attualità della contrapposizione tra risorgimentali e neoborbonici o delle polemiche per gli striscioni sul "Giorno del Ricordo" dei martiri della foibe esposti sulle balconate dello stadio di Dortmund durante l'amichevole Germania-Italia.
Il sociologo Marcel Mauss non a caso aveva definito il calcio è un «fatto sociale totale». E Roberto Stracca, studioso del fenomeno ultras (recentemente scomparso) aveva sottolineato come il tifo fosse diventato elemento ancestrale catalizzatore di energie diffuse nella società: «Il partito è morto, l'oratorio non è che stia così bene, il movimento studentesco è ormai poco più di una barzelletta. L'antagonismo in Italia, anche per la necessità di pacificare le piazze dopo i sanguinosi anni Settanta, ha finito per confinarsi (o essere confinato) nelle curve degli stadi che per lungo tempo sono state vere e proprie zone franche, off limits alle forze dell' ordine, extraterritoriali. Per diventare oggi, in un contrappasso dantesco, un laboratorio di legislazione speciale».
L'esposizione di decine di drappi del Regno delle Due Sicilie sulle gradinate del San Paolo durante il posticipo Napoli-Catania conferma questa tendenza e così accanto alla manifestazione sportiva, lo stadio diventa una vetrina irrinunciabile che unisce l'orgoglio per il Napoli, squadra icona del popolo partenopeo, con la richiesta di una diversa vulgata della storia legata al proprio territorio.
La manifestazione neoborbonica ha avuto una gestazione sul web - la rete non organizza solo le truppe del popolo viola - e all'appello del giornalista sportivo Carlo Alvino contro le "tristi verità risorgimentali nascoste per troppi anni" è stato accompagnato l'invito a portare le bandiere "sudiste". Molto ha contribuito anche la pubblicistica. Saggi come il Terroni di Pino Aprile hanno corroborato un sentimento diffuso. Stefano Lo Passo, presidente del sodalizio "Insieme per la Rinascita" ha puntualizzato le motivazioni che sottendevano la protesta: «Quando ho lanciato l'iniziativa sul web, mai mi sarei aspettato un'adesione del genere. Sono state distribuite oltre duecento bandiere. L'Italia unita - afferma con piglio rivendicazionista - è figlia di un vero e proprio sterminio economico e umano che il Sud subì nel 1861».
A Dortmund, invece, gli Ultras Italia hanno esposto il drappo con scritto "Onore ai martiri delle Foibe" (criticati con troppa severità anche da autorevoli quotidiani sportivi). Ecco l'altra faccia della medaglia del tifo, stavolta declinato con "animus" patriottico e civile. Stracca sulle colonne del Corriere della Sera aveva indicato una lettura anticonformista per cancellare analisi superficiali e stereotipi: «Sia chiaro: la curva non è un mondo perfetto. Tutt'altro. Fate l'elenco di tutti i mali contemporanei e ce li troverete. A cominciare, purtroppo, dalla droga. Dalle canne fricchettone degli anni Settanta alle pasticche sintetiche degli ultimi tempi: sono tutte passate dalla curva. (…) Ma, nonostante tutto, per migliaia e migliaia di ragazzi da Nord a Sud, l' iniziazione al mondo, la palestra di vita, l' apprendimento delle norme non scritte del mondo è stato su un muretto o su una balconata. Tra un fumogeno e un coro politicamente scorretto. Mandata in pensione la naja obbligatoria, adolescenti o post adolescenti hanno imparato la gerarchia e il rispetto dei più «vecchi» prendendo l'acqua su una gradinata o soffrendo fame e sete su un treno topaia. I soloni del calcio entertainment non si vogliono rendere conto che se gli stadi italiani non sono ancora più vuoti e deprimenti di come già appaiono non è per le loro cavolate d' iniziative promozionali. Tanti ragazzi e ragazze continuano ad andare in curva, dove la partita s'intravede più che vedersi, proprio grazie (e solo grazie) agli ultras, per voler stare insieme, per non rassegnarsi a vivere di solo Facebook, per un ideale distorto ma un ideale, per fedeltà alla tribù parafrasando il titolo del romanzo di John King».
Riemersione delle identità e normalizzazione securitaria con la "Tessera del Tifoso" sono due tendenze confliggenti che caratterizzano l'evoluzione del movimento ultras nel nostro Paese, con la variabile della querelle legata allo stile. Scrive Michel Maffesoli: «Lo stile della vita non è una cosa oziosa, perché è proprio quel che determina il rapporto con gli altri: dalla semplice socievolezza (cortesia, rituali, galateo, prossimità …) alla più complessa socialità (memoria collettiva, simbologia, immaginario sociale)». E lo stile delle curve sopravviverà anche alle vicissitudini giudiziarie dei leader delle gradinate (in decine di stadi sono stati esposti striscioni di solidarietà con il Bocia, capo della tifoseria atalantina, colpito dal provvedimento di obbligo di dimora lontano dalla provincia di Bergamo) allo scioglimento dei gruppi storici. A Firenze si è chiusa l'esperienza del Collettivo autonomo viola, il gruppo della Fiesole più caldo, fondato alla fine degli anni settanta.
Michele De Feudis
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