Articolo di Annamaria Gravino
Dal Secolo d'Italia del 22 febbraio 2011
Dev'essere vero che non lo leggono, perché se lo facessero non potrebbero sostenere la prima accusa che muovono al Secolo: «Ha tradito - tuonano i nostri detrattori - le idee, la storia, la tradizione culturale della destra». L'accusa è funzionale a rivendicare il cambio di linea editoriale del giornale, ma non regge.
Basta riprendere in mano la collezione dell'ultimo anno per scoprirlo e per capire che non solo il Secolo non ha tradito quelle idee, quella storia, quella tradizione, ma le ha portate fuori da certi scaffali impolverati e da certe letture stereotipate per metterle in relazione al presente, anche come chiave di lettura per il futuro. Spesso, poi, ha ricordato o scovato esperienze e personaggi altrimenti dimenticati dalla stampa italiana, anche da quella che dovrebbe essere il modello a cui guardare per preservare la "vera" cultura di destra. Un esempio di pochi giorni fa: l'omaggio a Berto Ricci. Il 2 febbraio era affidato alla penna di Roberto Alfatti Appetiti, collaboratore molto attento alla cultura e all'immaginario della destra tanto da firmare una raccolta di articoli (anche questi pubblicati sul Secolo) dal titolo All'armi siam fumetti. Due giorni dopo Maurizio Bruni scriveva: «Abbiamo aspettato anche il giorno dopo. Ma sui giornali che rivendicano la rappresentanza esclusiva di una certa tradizione politico-culturale (e che non perdono occasione per rinfacciarci il nostro presunto tradimento deviazionista), non abbiamo trovato una sola riga dedicata a un anniversario di quelli che per il cosiddetto "asse ereditario" contano e pesano. Ci riferiamo ai settant'anni della prematura scomparsa sul fronte africano di Berto Ricci, il poeta e scrittore fiorentino che, come scrisse il suo amico e sodale Indro Montanelli, aveva dato vita "all'ultimo tentativo, compiuto da una minoranza di giovani intellettuali, di inserirsi nella vita italiana e di incidervi". Sappiamo che qualcuno ha recentemente eliminato dalla sua bacheca la testata del nostro Secolo per sostituirla con la triade pidiellina il Giornale, Libero e Il Tempo. Giustificando questo gesto con un nostro supposto sconfinamento di campo. Segno, in realtà, che figure come quelle di Berto Ricci non interessano. D'altronde, le idee dello scrittore poco s'adattano alla vulgata pidiellina». Varrebbe la pena riproporlo tutto quel corsivo di prima pagina, che arrivava proprio alla vigilia dell'atto finale della «guerra del Secolo», come alcuni l'hanno chiamata.
Ma di esempi su quale sia stato in questi anni il vero ruolo del giornale della destra italiana ce ne sono tanti, troppi, per fermarsi al primo o per riportarli tutti. Quello che segue, dunque, è solo un campionario assai ridotto e a grandi salti di ciò che "di destra" si è potuto leggere sul Secolo e, in particolare, proprio in queste pagine dedicate all'approfondimento, "Il paginone", che di fatto forniscono anche la chiave del giornale. È soprattutto qui, infatti, che - tra recensioni di novità editoriali, libri e canzoni, celebrazioni di ricorrenze, commemorazioni e racconto di eventi - si capisce come la linea editoriale non sia dettata dal "pensiero debole" o da una presunta sudditanza psicologica alla sinistra, ma da un'elaborazione costante che attinge e approda a una precisa cultura politica. Qualche esempio dal gennaio 2010: si parlò di Alain de Benoist, di Massimo Scaligero, di cui Marco Iacona ricordava il trentennale della morte, di foibe, nella rubrica di Luciano Garibaldi "Storia & storie", che proprio in queste pagine trova spazio. La rubrica di Garibaldi ha poi un motivo di interesse particolare: rappresenta un filo diretto con i lettori, che evidentemente trovano nel Secolo il giusto interlocutore per approfondire alcuni argomenti. Garibaldi, infatti, risponde alle lettere che chiedono maggiori dettagli o una lettura "non conforme" di determinati fatti storici. Quali? I più disparati, ma tutti "cari" alla destra: dal Risorgimento a Mussolini, passando per l'eccidio e l'esodo degli italiani del confine orientale e arrivando ai totalitarismi. Ancora un titolo del gennaio 2010: «Quei fascisti tra John Fante e "Riso amaro"». Ci fu una duplice occasione: la recensione del libro di Luigi Battioni Memorie senza tempo. Quando fondammo il Msi e un attacco del Giornale sulle presunte "appropriazioni indebite", con cui la destra cercherebbe di riciclare in ritardo ciò che la sinistra avrebbe archiviato già da tempo. Fante, secondo il quotidiano di via Negri, faceva parte di questa categoria. Fu il direttore responsabile del Secolo e curatore del paginone, Luciano Lanna, a ricordare che nel «Diario 1934-1944 di Giuseppe Bottai, l'uomo politico fascista annotava la sua lettura de Il cammino nella polvere di Fante nello spazio che dedicava ai libri importanti». Più giù Lanna ricordava che anche Battioni, «un protagonista dell'epopea della destra italiana del secondo dopoguerra», citava Fante fra gli autori di riferimento. Poi, l'articolo, si lasciava i "chiarimenti" alle spalle e proseguiva raccontando quel volume che «ripercorre l'esperienza dei ragazzi che dalla Rsi passarono a costruire un partito nell'Italia del dopoguerra». Stesso mese: «Chi ha paura dei lettori di Ezra Pound?». È ancora Lanna a firmare uno dei tantissimi articoli dedicati al poeta statunitense, che qualche mese dopo ritroveremo citato anche da Omar Camiletti, che cura la rubrica "Musulmani d'Europa", per spiegare la finanza halal. Inizio febbraio: «Guido Keller, l'eroe dell'aria del '15-'18 che fu pirata a Fiume», di Gianfranco Franchi; «Anche Tolkien una indebita appropriazione?», di Luigi G. De Anna, che tra l'altro ha anche scritto su «Prezzolini spiegato ai finlandesi»; «La pattuglia che anticipò la nuova Italia», recensione della mostra e del libro a più mani e con prefazione di Umberto Croppi Una generazione in fermento. Arte e vita a fine ventennio. Un deputato di Fli, Aldo Di Biagio, qualche giorno dopo firmava l'articolo «Il Giorno del ricordo spiega la mia storia». Stesso giorno, nel paginone: «Un Céline italiano con "quel" poker come metafora», dedicato allo scrittore Augusto Grandi. Ancora Lanna, poi, su Francesco Guccini, con uno di quegli articoli che forse gli sono valsi il bollo di "intellettuale radical chic" da parte dei custodi della "vera destra", ma in cui si sono ritrovati moltissimi fan di destra del cantautore che per anni hanno vissuto in clandestinità. Nei giorni successivi: Enrico Nistri, «Quei libertari nella Fiume dannunziana»; Mario Bortolozzi, «Dove le pietre parlano italiano»; Federica Perri, «E ora un "ragazzo di Salò" a Sanremo?», dedicato a Piero Vivarelli, che sarebbe morto pochi mesi dopo, a settembre, e che il Secolo avrebbe ricordato con un articolo di Maurizio Cabona «Piero Vivarelli, il castrista della X Mas che lanciò Celentano e Dalla». Tra il febbraio e il settembre 2010, la media di articoli dedicati alla cultura della destra e ai suoi personaggi resta invariata, così come lo resta se si guarda più indietro o più avanti. Si va dalla recensione del libro di Franco Servello e Luciano Garibaldi Perché uccisero Mussolini e Claretta, agli articoli «Giovanna d'Arco raccontata da Brasillach» e «Il neofascismo stereotipato degli anni '70», che partendo da Il fascistibile, un libro del ‘73 di Giulio Castelli, smontava parecchi luoghi comuni sulla destra giovanile di quegli anni. Dai Settanta agli Ottanta è stato Franco Cardini a chiedere «Chi ha paura di quei 20 anni movimentisti?». E poi ancora ampio spazio a Giano Accame e a Canale Mussolini di Antonio Pennacchi, affiancato da un'intervista all'autore firmata da Miro Renzaglia e titolata sul fatto che «C'è una pietas fasciocomunista dentro di noi». Aprile: Annalisa Terranova ricordava Tony Augello a dieci anni della scomparsa. «Gli uomini che fecero l'impresa» era il titolo. Sulla pagina a fronte si ricordava l'anniversario della strage di Primavalle. Nello stesso mese, nello stesso anno, se ne andava anche Marzio Tremaglia. «Quella destra di Marzio, oggi viva più che mai», scriveva Lanna. Tra le icone più recenti della destra Paolo Borsellino e Giovanni Falcone tornano spessissimo nei titoli e nelle fotografie. Di nuovo indietro nel tempo, con Julius Evola, indagato come filosofo, poeta e artista, anche in relazione alle molte polemiche sulle opere di Maurizio Cattelan. «Lo spirito libertario con la tradizione? L'ossimoro possibile», era un articolo in cui si parlava di Evola, firmato da Michele De Feudis. E poi ancora Jünger, Mishima, «Quei ragazzi passati da Salò a Pannella» e «La rivincita del Fronte su Facebook»: articoli scritti ogni giorno per raccontare una storia che è in movimento, su un giornale che l'ha sempre accompagnata e che, da qualche anno, riesce anche ad anticiparla. Perché forse il problema è proprio qua, nell'unico vero "tradimento" che si può imputare al Secolo: quello di avere abbandonato la sindrome del torcicollo, che è stata e spesso è ancora una delle più gravi patologie che affliggono certa destra.
Annamaria Gravino
1 commento:
A scanso di equivoci premetto che non faccio più politica attiva da molti anni, continuo a seguirne le vicende comunque perche era e, nonostante tutto, rimane una mia grande passione. Cerco, come tanti altri, di superare i concetti di destra e sinistra, che trovavo inadeguati già quando ero un giovane militante missino del Fronte della Gioventù. Ritengo, anche per questi motivi che mi hanno portato a masticarne tanta di politica, di dover dire che le accuse rivolte al Secolo d'Italia di tradire la tradizione culturale della destra sfiorano veramente il ridicolo. Frequento assiduamente questo blog da oltre un anno e le riflessioni culturali, direi metapolitiche, che prendono spesso spunto proprio dalle pagine del Secolo d'Italia mi fanno, rispetto a quelle accuse di tradimento, dire l'esatto contrario. Quegli autori, quelle figure politiche, se non nelle mie letture e nel mio personale pantheon, non le avrei praticamente trovate altrove. E quindi tanto per fare qualche nome: Berto Ricci, Ezra Pound, Brasillach, Luciano Lucci Chiarissi, Maccari, Bilenchi, Aniceto Del Massa, Evola, etc., etc. Ma di quale tradizione vanno parlando questi signori che accusano il Secolo d'Italia di tradire la storia delle idee e della politica della destra italiana? Forse come me ed altri non "vivevano" nelle sedi del MSI: il libro "Esame di coscienza di un fascista" del già citato Luciano Lucci Chiarissi per esempio lo lessi negli anni '80 proprio nella federazione provinciale missina della mia città. In conclusione: auguro lunga vita alla voce ribelle e non conforme del Secolo d'Italia.
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