Ma in An c'era chi tifava per il Che e Vasco
Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia del 24 febbraio 2011
Non possiamo non ringraziare il Giornale di Alessandro Sallusti per aver già scritto ben tre volte di un libro che oltretutto non sembrerebbe troppo gradito da quelle parti. Ci riferiamo al nostro saggio Il fascista libertario (Sperling & Kupfer, pp. 256, € 17,00), di cui nella redazione di via Negri si erano occupati già prima che uscisse con una stroncatura giocata sulla metafora dell'anello tolkieniano del potere del tutto estemporanea ed estranea a quanto scritto nel libro.
Poi è arrivata un'ottima intera pagina firmata da uno studioso autorevole come Roberto Chiarini, tra i massimi esperti della cultura politica della destra italiana del secondo dopoguerra, bilanciata il giorno successivo da uno "spillo" polemico scritto da chi il saggio non solo non l'ha letto ma neanche frettolosamente sfogliato. «Un libro già da riscrivere», annota l'anonimo corsivista, prima inventandosi la finalità implicita nel testo di «coniugare i valori della destra (post)fascista con quelli del "centro" liberale», poi sottolineando la presunta contraddizione che si evincerebbe dalla presenza di una prefazione di Luca Barbareschi. Ora, a parte il fatto che Il fascista libertario non è un libro di cronaca politica o una presunta marchetta di parte ma, basterebbe solo sfogliare l'indice finale, se il nome dell'attore-regista vi compare sta insieme a quelli, tra i tanti, di Gianfranco Fini e di Walter Veltroni, di Gaspare Barbiellini Amidei e di Marco Tarchi, di Francesco Rutelli e di Daria Bignardi, di Massimo D'Alema e di Francesco Guccini, di Fabrizio De André e di Marco Pannella. Altro che da riscrivere: il libro riesce semmai a cogliere nel profondo gli intrecci, anche irrisolti e di lungo periodo, che possono aiutarci a interpretare anche l'ultimo ventennio della nostra storia nazionale.
Le parole del prefatore confermano tra l'altro tutta la nostra impostazione. L'attore-regista, spiegando di condividerla in toto, scrive e fa propri «punti di riferimento culturali che sfuggono alla tradizionale dicotomia destra versus sinistra». Ricorda come anche in passato «rappresentanti di destra e di sinistra» abbiano abbracciato spesso «insieme le stesse cause quando vengono messe a rischio la possibilità di espressione e la dignità». Parla di «recupero condiviso della nostra recente storia» e ci tiene a sottolineare che «le nuove generazioni della destra, oltre il conflitto politico e la sua degenerazione nel terrorismo, si formano anche a fianco degli studenti di sinistra». E la conclusione è sulla «consapevolezza che non valgano più i tradizionali steccati ideologici, la destra e la sinistra». Affermazioni inequivocabili e pienamente coerenti con tutto il libro, che non solo non vanno riscritte ma restano come testimonianza di un clima e una sensibilità. Se poi Barbareschi, garbatamente ma polemicamente, ha contestato in televisione il fatto che il Secolo ha dato spazio a Gad Lerner o Giacomo Marramao, questa è rispetto a sue precedenti affermazioni scritte un'incoerenza tutta sua, non certo nostra.
D'altronde, noi chiudiamo l'introduzione al libro sostenendo «esattamente l'opposto dell'affermare cose di destra, di sinistra (o di centro), con l'opportunità semmai di pensare la politica senza dover più pagare pegno a rendite di posizione ideologiche o appartenenze precostituite, anzi, avendo consapevolmente davanti a sé un orizzonte aperto. Da destra oltre la destra...».
Ma non sono solo quelli del Giornale a fare confusione. L'impressione è infatti di una vulgata messa su da un diffuso ceto di "redenti", per utilizzare l'efficace epressione coniata da Mirella Serri in merito ai tanti che "ritoccarono" la propria biografia politica essendosi trovati in difficoltà di fronte all'improvviso (spesso interessato) campo di fronte, dal fascismo all'antifascismo. A più riprese eletti o parlamentari provenienti dallo stesso mondo esplorato ne Il fascista libertario continuano a rilasciare dichiarazioni che contraddicono il loro vissuto precedente. Pensiamo, tanto per dire, alle polemiche contro il nostro Secolo che avrebbe avuto l'ardire di citare un cantautore libertario come Vasco o addirittura una figura come il Che. Eppure, nel 1988, il FdG romano di Alemanno, Augello e Rampelli, aveva affisso manifesti con le immagini di Guevara e di Vasco. «Vita spericolata» si leggeva in quello con il cantautore di Zocca, in cui c'era la scritta: «La vera avventura è realizzare l'impossibile. Siamo solo noi!».
E se il Che era stato esplicitamente rivendicato come icona eroica dall'attuale europarlamentare Roberta Angelilli in un'intervista su Sette, la stessa figura ha fatto parte dell'immaginario di formazione anche del parlamentare campano Mario Landolfi, lo stesso che adesso si trincera in una immaginaria destra benpensante, infastidito dal movimentismno dei sit-in. Eppure si tratta dello stesso Landolfi che, ancora il 21 dicembre 2003, intervistato dal Corriere del Mezzogiorno sul Che dichiarava: «La sua figura romantica del rivoluzionario che muore da solo per le sue idee è talmente affascinante che può essere condivisa anche da destra. Confesso - aggiungeva - che quando ero giovanissimo avevo anche io una maglietta con la faccia del Che, anche se lo pronunciavo malissimo...». Oggi, lo rimuove.
Luciano Lanna
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