Articolo di Antonio Rapisarda
Da Ffweb magazine del 28 febbraio 2011
Si presenta come un saggio. Ma in realtà è un romanzo avventuroso nel “bosco” dell’eresia carsica che ha attraversato il Novecento. E che sta guadagnando l’agognata superficie negli anni ’10 di questo secolo. Quello descritto da Luciano Lanna ne Il fascista libertario (Sperling & Kupfer, pp. 256, € 17) è il viaggio di un’opzione - «la via italiana al libertarismo» - che ha preso corpo “nonostante” la rappresentazione dei cliché di destra e sinistra ne abbia in qualche modo delineato il perimetro per tanto (troppo) tempo.
Un’opzione, insomma, che ha dovuto fare i conti con le maglie di una contrapposizione ideologica che ha determinato la storia recente e molti dei suoi parossismi. Ma che proprio all’interno di questa ha trovato la forza per diventare collante per tante storie e solvente, alla fine, per sciogliere proprio le contrapposizioni. E diventare oggi, si spera, terreno di coltura per una nuova cultura della rappresentanza. Ma andiamo con ordine.
Inquieto Novecento, si chiamava una pubblicazione di Settimo Sigillo che raccontava gli autori – Céline su tutti - che “da destra” hanno rappresentato le figure di contatto imprescindibili anche per tanti coetanei dell’altra sponda. E Lanna, proprio da destra, ha riallacciato tutti i nodi con quell’altra «cultura diffusa» che ha determinato la formazione e l’immaginario di un’intera generazione “inquieta” che ha vissuto l’impegno politico a partire dagli anni ’60: dove si era “fascisti” prima di tutto come moto e atto di negazione verso un certo conformismo e le sue strutture sociali. Giovani, appunto, che non credevano nelle due chiese – quella comunista e quelle democristiana – ma non si autorichiudevano, per lo meno con le proprie mani, nelle catacombe esistenziali. Questo perché accanto a Evola e Nietzesche leggevano Camus, Steinbeck, Kerouac. Perché ascoltavano De Andrè, Guccini, Bob Dylan. Perché occupavano Valle Giulia. Perché, semplicemente, erano contemporanei al proprio tempo.
Ecco che allora “l’ossimoro“ con il quale l’autore dà l’imprinting al suo ragionamento alla luce di questo non è più provocazione ma strumento interpretativo per comprendere come un’intera generazione abbia vissuto le lacerazioni avendo in mente più la libertà che le strutture ideologiche per plasmarla. Non è un caso, allora, che l’avventura parta da lontano. Dal mito dei garibaldini per l’esattezza: nel nome del quale – a destra come a sinistra – si impugnarono armi e si proclamarono rivoluzioni o sollevazioni. Lo fecero gli arditi e i legionari di Fiume. Diversi sì, ma uniti, questo sì, da una ribellione che prendeva ispirazione da un’idea profondamente libertaria: l’avventura. Una generazione che – attraversando il fascismo e la fine drammatica di questo - ha vissuto lo stesso dramma, trovandone evidentemente soluzioni diverse, ma tutte nate all’interno di uno stesso patrimonio. Tanto che nel dopoguerra da Longanesi a Pannunzio, dal cinema al teatro, dal cabaret alla politica cercarono – con lo stesso spirito frondista – di rappresentare un’altra Italia.
Quella di Lanna, quindi, è una rilettura “ragionata”di un’intera stagione politica che dal dopoguerra alla Nuova destra fino all’avventura metapolitica di CasaPound ha visto nella contaminazione “motivata” il passepartout sul quale innestare il proprio esserci nella società. Per questo le storie, i personaggi, le biografie, le citazioni, le appropriazioni per nulla indebite abbondano nel libro e compongono oltretutto la chilometrica bibliografia: perché quella di cui si parla non è un’avventura teoretica, accademica ma una vicenda che si è svolta essenzialmente sul piano di quella «liberalizzazione del pensiero» che prima di essere una conquista di massa è una precondizione e un’attitudine individuale. Grazie a questo si comprende l’apredimos a querte di un certo mondo verso Che Guevera, la passione per Rino Gaetano, per i pellerossa, per il tassista giustiziere di Robert De Niro e i surfisti di John Milius. E quindi la cinghia di trasmissione che porta, come recita il sottotitolo del volume, da Clint Eastwood – l’individualista libertario alla continua ricerca del senso della dignità umana - a Gianfranco Fini.
Dire questo per dire cosa? Per smontare, ante omnia, tutta la serie di equivoci che continuano a ostacolare l’emergere di una destra pacificata con la storia. Ad esempio l’equivoco “storico” di Pier Paolo Pasolini solidale con i poliziotti dopo gli scontri di Valle Giulia che per Lanna rappresenta la quintessenza del conservatorismo a cui ha attinto una destra attardata a idolatrare le divise «fossero anche quella del postino». E che dire dell’equivoco sulla xenofobia? Della fascinazione che determinate correnti populiste hanno avuto anche su alcuni esponenti della destra italiana? Ecco qui ci pensa Giano Accame, già nel 1988 e citato più volte nel libro, a far comprendere come l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati siano elementi costitutivi della società italiana e quindi di una destra che si voglia nazionale. Con questo Lanna che cosa dimostra? Prima di tutto la necessità di uscire dalla sindrome del cattiverio, dal culto della destra law & order, dal bigottismo teocon che nulla hanno a che fare con la migliore scuola del pensiero non conformista italiano. Che l’intolleranza, l’autoritarismo non sono tratti identitari ma, al contrario, frutti di una stagione che, purtroppo, dal 1994 assieme alla proposizione di una destra di governo ha proceduto all’«integrazione passiva» di alcuni soggetti che – questi sì – non hanno mai guadagnato culturalmente l’uscita dalle catacombe.
Dire questo, insomma, per dire che esiste una destra che – oggi come ieri - intende prendere spunto dalla società civile per irradiare ciò nella società politica. Nel tentativo di creare un sostrato comune che permetta una volta per tutte al pensiero di prendere il sopravvento sullo “schema” (a maggior ragione quello geografico dei partiti). Per fare questo è necessario fare i conti però con l’ennesimo equivoco: con quella “becerodestra” – come l’ha definita in una recente intervista Tomaso Stati di Cuddia – che è diventata, a parer di qualcuno, una sorta di punto di riferimento per improbabili richiami. Ecco, proprio a questi è consigliata la lettura del libro di Lanna: per studiare davvero come, proprio nell’esperienza della marginalizzazione, sia nata una cultura “maggioritaria” a destra fatta di diritti civili, di cultura dell’ambiente, di problematizzazione e non di propaganda. Una destra che – come quando Accame scriveva «cosa sognava Marinetti: il fascismo nella libertà» - ha sempre cercato nella proiezione e nell’evoluzione di se stessa la chiave di lettura per tramandare la tradizione. Altro che conservazione, di ciò che non si è mai stati per giunta.
Antonio Rapisarda
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Luciano Lanna
Il fascista libertario
Sperling & Kupfer 2011
pp. 256, € 17
28 febbraio 2011
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