Articolo di Giuseppe Mammetti
Dal Secolo d'Italia di martedì 1 febbraio 2011
Povero maledetto Céline. Essere con Proust il più grande romanziere francese del Novecento, aver ispirato generazioni di artisti ed aver composto capolavori come Viaggio al termine della notte e Morte a credito, non basta più. Circa una settimana fa, in seguito ad una polemica feroce, il cinquantesimo anniversario della morte - nacque a Courbevoie il 28 maggio 1894, morì a Meudon il 1 luglio 1961 - è stato ritirato dal calendario delle celebrazioni nazionali e dal volume annesso, Recueil des Célébrations nationales.
Il ministero della cultura francese, guidato da Frédéric Mitterrand, figlio di un fratello dell'ex presidente, alla fine l'ha data vinta ai delatori. Alle polemiche che Serge Klarsfeld, noto avvocato e cacciatori di nazisti, presidente dell'associazione dei figli delle vittime degli ebrei deportati in Francia (Ffdjf) ha scatenato in patria. A nome suo e dell'associazione, il legale ha chiesto la cancellazione della ricorrenza e il ritiro del volume attiguo, con la motivazione di sopprimere le pagine dedicate a Céline: «A chi non è d'accordo con questa esigenza - continua il comunicato del Ffdjf - rispondiamo che bisogna attendere secoli affinché si celebrino al contempo le vittime e i boia». Già, celebrare "reietto Céline", per la Repubblica francese non è possibile. In lui la negazione dei valori fondamentali dello stato è troppo forte. Ma il sindaco socialista di Parigi, Bertrand Delanoë, ai microfoni di Europe 1 si spinge addirittura oltre: «Ancora una volta Klarsfeld ha ragione. Céline fu un grande scrittore, e un farabutto. Non c'è altro da dire». La posizione di Mitterrand è meno cruenta ma altrettanto decisa. Il ministro ammette di aver ritirato il volume e addirittura soppresso i festeggiamenti dopo una notte di lettura, passata in compagnia di Bagatelle per un massacro: «Una decisione motivata da una seria riflessione - ha precisato il ministro - non dettata dall'emotività». E aggiunge: «Non è una sconfessione nei confronti dell'Alto comitato - organismo incaricato di stilare la lista di personalità - ma una scelta di cui assumo pienamente la responsabilità». Non mancano le voci contrarie, le riflessioni dei sostenitori dei festeggiamenti e quelle dei tanti amanti dell'opera. Céline è un simbolo della cultura francese e anche un suo prodotto, figlio di un'epoca storica controversa e complicata, al cui genio va riconosciuto ogni merito artistico. Tra i più accesi detrattori dell'accoppiata Mitterrand-Klarsfeld c'è lo scrittore Philippe Sollers, che si dice scandalizzato per la decisione.
E Sollers non è uno dei tanti. Da trent'anni è uno dei protagonisti indiscussi del panorama culturale transalpino, autore di romanzi che hanno scosso la Francia, ma anche saggista raffinato, uomo "contro" il sistema dominante. Ha esordito poco più che ventenne con il romanzo La sfida (1957), per poi fondare, tre anni più tardi, la rivista Tel Quel. Vi ha collaborato tutta l'elite intellettuale d'oltralpe, tra i tanti: Roland Barthes, Georges Bataille, Jacques Deridda, Michel Foucault, Jean-Luc Godard, ma anche il nostro Umberto Eco. Dopo l'esperienza della rivista, la vita di Sollers è continuata tra romanzi, saggi e un nuovo periodico: L'infini, nato nell'82 per le Éditions Denoël e passato cinque anni più tardi a Gallimard. A Sollers non piacciono le polemiche troppo semplici e la banalità della politica ufficiale. Quando si esprime pubblicamente su un tema, lo fa perché ne sente l'urgenza. Anni fa, in un'intervista rilasciata a Marco Dotti per l'uscita di uno dei suoi ultimi lavori, Poker, aveva irriso il sistema politico francese dopo il no alla costituzione europea. Nei suoi scritti deplora costantemente il processo di rimozione e liquidazione della storia, additando a cattiva maestra la manualistica scolastica. Il rischio è il raggiungimento di una "lobotomia intellettuale" che arriva tramite la rinuncia ai simboli del passato, indotta quasi sempre da una ricostruzione bugiarda dei fatti. Nella querelle scatenata dal caso Céline, Sollers ne ha preso naturalmente le difese. A scandalizzarlo, tendenzialmente, è stato l'atteggiamento delle autorità: «Insensato che un cittadino (Serge Klarsfeld) chieda al presidente della Repubblica di ritirare un autore dell'importanza di Céline dal volume ufficiale curato dal ministero della cultura. Ma tant'è: non gli si poteva fare una migliore pubblicità». Dal qualunquismo alla miopia, in parole povere. L'atto di estromissione ha finito quindi col giovare alla discussione storica, col metterne in risalto la figura, dando ulteriore visibilità al suo genio. E sulle motivazioni che hanno guidato la protesta dei "puritani", lo scrittore è ancora più categorico: «È una cosa assurda. Io stesso ho raccolto in volume i miei articoli su Céline nel 2009 e questo non ha fatto certo di me un nazista». Il problema è nell'incapacità di rileggere la storia nella sua interezza, nel perenne imbarazzo che la società francese, per tornare ad un tema caro a Sollers, prova nel trattare alcuni frammenti del secolo passato. Gli scheletri con cui fare i conti sono soprattutto tre, uno più ingombrante dell'altro: il collaborazionismo di Vichy, la guerra di Algeria e il Sessantotto. In pochi sembrano volerli affrontare. Uno di questi è Sollers, che ultimamente, per questa sua tendenza a riscoprire la storia, passa addirittura per reazionario. In molti lo definiscono "passatista", uomo ancorato alle vecchie convinzioni. Ma il lavoro di questo scrittore, la visione positiva della vita e l'autoironia che pervadono i suoi scritti, non hanno nulla di obsoleto. Quando chiede di riscrivere l'Enciclopedia è solo per reazione al disfacimento culturale in corso o alla tendenza a mistificare. Le critiche più dure, ammette sempre nell'intervista di Dotti, gli vengono sopratutto da sinistra. Già, la politica. Nella vicenda Céline la faziosità fa la sua parte. Ma di quel Céline che è anche lo scrittore preferito di Nicholas Sarkozy, la Francia progressista e perbenista sembra volersi disfare. Céline di cui "le Président" possiede un autografo originale regalatogli dai suoi collaboratori nel 2008, per il suo 53esimo compleanno. Céline che Sarkò cita nei suoi discorsi e inserisce di buon grado nel personalissimo pantheon. Céline che tre anni fa lo fece inveire senza mezzi termini contro chi gli chiedeva conto della sua "passionaccia": «Si può amare Céline senza essere antisemiti, come si può leggere Proust senza essere omosessuali», disse allora. Non era una giustificazione, ma un atto d'accusa. Nella Francia di oggi si può perdonare Battisti ma si dimentica Céline. La presenza delle sue opere nella Bibliothèque de la Pléiade, la collana editoriale francese più prestigiosa, sembra l'unica possibile ricompensa per un genio che ha influenzato l'arte ed il linguaggio contemporanei, che ha scatenato tributi e primeggia nella cultura continentale. Per i benpensanti è persino diventato un nemico pubblico.
Bisogna combatterne il culto, ostacolarlo, trattarlo come si conviene ad un maestro cattivo ed imbarazzante. Il ricordo da serbare per le generazioni future è soprattutto quello di un antisemita convinto, di un dissoluto che incarna, al di fuori dell'opera letteraria, il male che ha attraversato la società francese del XX secolo. Ma può un paese moderno, di quelli gelosi della sua cultura, di quelli affezionati profondamente alla propria storia, mettere in cantina un emblema del suo passato o ridurlo ad una caricatura? E dire che Céline la amava la Francia. Nel ‘14 partì per la guerra volontario, fu ferito e decorato. Al ritorno studiò medicina ed iniziò la sua avventura professionale nella Società delle Nazioni e poi a Montmartre, come "medico dei poveri". In quei luoghi, con quelle esperienze, maturò le due convinzioni che hanno animato tutta la sua avventura letteraria: il viaggio come metafora dell'esistenza, la povertà come malattia endemica. Le tristezze, le ragioni e le gioie della Francia del tempo, vengono espressamente raccontate nei suoi scritti. Filtrate da una visione libertaria della vita, narrate con un linguaggio che fonde la raffinatezza con la vulgata popolare. Nei virtuosismi letterari di Céline c'è la società di allora, ma anche il futuro: il nostro presente.
Bisogna combatterne il culto, ostacolarlo, trattarlo come si conviene ad un maestro cattivo ed imbarazzante. Il ricordo da serbare per le generazioni future è soprattutto quello di un antisemita convinto, di un dissoluto che incarna, al di fuori dell'opera letteraria, il male che ha attraversato la società francese del XX secolo. Ma può un paese moderno, di quelli gelosi della sua cultura, di quelli affezionati profondamente alla propria storia, mettere in cantina un emblema del suo passato o ridurlo ad una caricatura? E dire che Céline la amava la Francia. Nel ‘14 partì per la guerra volontario, fu ferito e decorato. Al ritorno studiò medicina ed iniziò la sua avventura professionale nella Società delle Nazioni e poi a Montmartre, come "medico dei poveri". In quei luoghi, con quelle esperienze, maturò le due convinzioni che hanno animato tutta la sua avventura letteraria: il viaggio come metafora dell'esistenza, la povertà come malattia endemica. Le tristezze, le ragioni e le gioie della Francia del tempo, vengono espressamente raccontate nei suoi scritti. Filtrate da una visione libertaria della vita, narrate con un linguaggio che fonde la raffinatezza con la vulgata popolare. Nei virtuosismi letterari di Céline c'è la società di allora, ma anche il futuro: il nostro presente.
quella Francia che non vuole onorare Céline
Giuseppe Mammetti
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