Articolo di Riccardo Notte
Dal Secolo d'Italia del 4 marzo 2011
Il discusso remake di RoboCop per la probabile regia di José Padilha o il terzo della serie di Iron Man, atteso per il 2013 (contro tutti pronostici sull'imminente fine del mondo), non possono impedire la sensazione che il concetto stesso di cyborg sia sul punto di passare a miglior vita. Il cyborg ha fatto il suo tempo, col suo pesante retrogusto novecentesco.
Inutile negarlo. Il nome stesso involontariamente richiama alla mente gli impacciati Borg di Star Trek, i replicanti di Philip K. Dick, gli ergoni di Ruggero Vasari o i robot protoplasmatici di Karel Capek. Il terzo millennio è degno di ben altro, è pronto ad accogliere qualcosa di nuovo, di meraviglioso di affascinante, di tremendo. Ed ecco profilarsi all'orizzonte il "Technium".
Che cosa sarà mai il "Technium"? È prima di tutto un neologismo indovinato, certamente destinato a replicarsi come un virus; ma in primo luogo esso è il concetto centrale di Quello che vuole la tecnologia, l'ultimo libro di Kevin Kelly appena uscito per le edizioni Codice anche in italiano. Un libro atteso, poiché il giornalista e scrittore Kevin Kelly, cofondatore di "Wired", ecologista d'assalto, è nel suo campo una celebrità già dall'uscita di Out of control, ormai un classico nel suo genere, nel quale egli esaminava la deriva quasi incontrollabile imposta dalle tumultuose trasformazioni tecnologiche, discutendo in esso, peraltro, di una nuova e presunta "biologia delle macchine". Rispetto ai contenuti di quel libro ormai remoto (eravamo nel 1994, quasi nella preistoria) il concetto di Technium ha un valore aggiunto che travalica le virtù o i limiti delle analisi di Kelly. Il Technium sarebbe l'insieme delle tecnologie visibili e delle organizzazioni intangibili, concepite come organismi in mutua relazione: un complesso che comprende tutti gli artefatti, dalle metropoli ai mezzi di comunicazione, dai contenuti del web ai sistemi giuridici o finanziari. In altre parole il Technium è la ben nota tecnosfera, dalla quale l'uomo finisce per dipendere non meno che dalla natura. Però - a giudizio di Kelly - tale complesso sistema si trasformerebbe nel tempo, seguendo gli stessi schemi basilari dell'evoluzione biologica e darwiniana. Da qui l'idea che questo eterogeneo complesso pulsante sia né più né meno che il settimo ordine dei sistemi viventi, pari in dignità ontologica ai batteri, ai protisti, alle piante. In gioco c'è dunque la sopravvivenza dell'intero insieme uomo-tecnologia, perché ogni innovazione reca in sé trasformazioni, ma anche squilibri. "Scopo" del Technium è incrementare la complessità, accelerare l'evoluzione, moltiplicare le esplorazioni e le connessioni, sfruttare ogni possibile forma di energia, sviluppare una non meglio definita "densità del significato" ed espandere lo "spazio delle possibilità"; nozione - quest'ultima - mutuata dal pensiero del biologo molecolare Stuart Kauffman e della quale già ci occupammo su queste pagine. C'è materia per stupirsi e sgomentarsi. A una prima lettura. Però, a ben vedere, dov'è la novità? La tecnologia come organismo che si evolve è tema assai antico. Ne parlava già Samuel Butler in Erewon, e nel 1871! Senza scomodare i trisavoli morti centodieci anni fa, si sa che la fantascienza è stracolma di questi miti. Arthur C. Clarke, Isaac Asimov e schiere di altri autori si sono cimentati con il medesimo concetto, e si registra perfino un caso in cui, quasi quaranta anni fa, l'opera di pura fantasia abbia effettivamente anticipato in chiave allucinatoria una recente, seria e accreditata teoria scientifica. Si tratta di Hellstrom's Hive, di Frank Herbert, mentre la teoria scientifica sopra accennata è quella del cosiddetto "superorganismo", della quale discutono Edward O. Wilson e Bert Hölldobler nell'omonimo libro di prossima uscita per Adelphi. Non dimentichiamo che Wilson, padre della discussa sociobiologia, non è certo uno qualunque, né sembra insensato il salto che egli fa in questo libro passando dall'analisi delle società degli insetti alle comunità umane. Se non che, anche il concetto di "superorganico" non è esattamente una novità, anzi esso è il titolo del più noto testo del famoso antropologo statunitense Alfred Kroeber, il quale, a sua volta, derivò l'idea da Herbert Spencer. Perciò, quantunque le concezioni di ciascun pensatore siano perfino agli antipodi, nonostante l'identità terminologica, non si può certo urlare di attonita stupefazione di fronte a un'epifania concettuale.
Ma torniamo a Kelly e alla sua domanda che forma il titolo del libro e che spiega il piano dell'opera. Che cosa "vuole", a suo parere, la tecnologia? Stringendo, si può dire che lo "scopo" dell'hi-tech consista nel moltiplicare all'infinito i giochi della complessità e della vita, il che condurrebbe l'umanità, naturalmente attraverso infiniti tentativi ed errori, sovente dolorosi, verso forme di organizzazione sempre più democratiche e rispettose della natura. Insomma, grattata la pellicola della speculazione, spunta l'utopia, in questo caso una nuova utopia tecnologica, che sostituisce le metafore ormai invecchiate e decadute dell'"Intelligenza collettiva" o della "Macchina memetica". "Technium" conquista un invidiabile primato lessicale per il fatto di essere un termine unico e di essere evocativo, ma il suo contenuto non si discosta molto da tutte le metafore che il filosofo statunitense Daniel Dennett riunisce sotto il concetto di "algoritmo evolutivo", per il quale, una volta data la variazione, l'ereditarietà e la selezione, si genererà una pressione evolutiva in qualunque sistema considerato, fosse anche un sistema totalmente artificiale, o un misto di organico e di artificiale. Siamo insomma sempre all'interno di un pensiero tautologico, e di una cornice di riferimento che in nome dell'umanitarismo colloca alla periferia dei sistemi la persona umana. E invece ogni applicazione tecnologica pone evidenti problemi d'identità etica e politica. Da dove scaturisce questa o quella nuova invenzione? A che scopo obbedisce? Come e fino a che punto trasforma le relazioni, la psicologia, l'affettività degli esseri umani? Quanta parte di queste trasformazioni è imposta, pertanto orientata a uno scopo, e quanta invece sarà imprevista? Quali nuovi desideri, credenze, aspirazioni e sogni apporta un nuovo paradigma tecnologico? Da un diverso punto di vista sullo sfondo dell'intelligente e spesso affascinate pubblicistica dedicata all'hi-tech c'è sempre il soggetto mai esplicitamente tematizzato del suo pubblico. Infatti, prima ancora di produrre contenuti, lo scrittore deve tener conto delle attese e delle sensibilità collettive. Ed ecco che il suo primo passo consisterà nella costruzione di un linguaggio convenzionale, che formi una cornice di riferimento. I termini e i concetti di "mente collettiva", "superorganismo", "macchina memetica" e ora il nuovo e stupefacente "Technium" obbediscono alla necessità di incoraggiare forme d'integrazione e di accettazione. Da parte sua, il pubblico desidera che lo scrittore crei una sorta di struttura normativa che sciolga i dubbi, le tensioni e le preoccupazioni legate all'ambiente instabile in cui viviamo. Il pubblico chiede insomma che questi elementi in tensione siano ricondotti entro schemi comprensibili; che lo sgomento, l'apprensione, perfino il terrore per gli effetti cumulativi delle tecnologie, siano sostituite da rassicuranti regolarità, sia pure derivanti da forze "esterne" all'uomo. Ma se esaminiamo le stesse questioni in termini meno astratti, è lecito notare che all'origine dei più profondi comportamenti umani, individuali e collettivi, non troviamo le tecnologie, ma la psicologia. Semmai le tecnologie (per esempio le tecnologie di comunicazione, cioè il "sistema nervoso" del mondo) incidono profondamente sulle dimensioni e sulla persistenza delle risposte psicologiche, individuali e collettive, come mostra il recente effetto valanga delle rivoluzioni a catena.
Riccardo Notte
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