lunedì 7 marzo 2011

Dispersa e senza leader la diaspora della destra italiana (di Mattia Feltri)


Articolo di Mattia Feltri
Da la Stampa del 6 marzo 2011
D’improvviso, mentre la Seconda Repubblica volge a sera, la destra non c’è più. Se ne raccattano i pezzi, gli storaciani nel loro semi-ghetto, i berlusconiani aggrappati al governo, i finiani vaganti altrove. Ci sono pure gli apolidi, Domenico Fisichella a casa, i Silvano Moffa e i Pasquale Viespoli perduti nei gruppi misti parlamentari. Il fascismo fu archiviato con tutto il Novecento in sbrigativi congressi o addirittura in isolate e apodittiche sentenze ma, quando sarà conclusa la galoppata di Silvio Berlusconi, è la destra che rischia di svaporare senza un lamento.  
Perché adesso? Perché nel lampo di pochi anni? «Perché tutto è finito», dice Pietrangelo Buttafuoco, il più affascinante fra gli intellettuali usciti dal Movimento sociale. L’arrivo della stagione del potere, spiega, ha dato l’occasione a ognuno «di farsi i fatti propri». Alessandro Giuli (vicedirettore del Foglio di Giuliano Ferrara e autore del Passo delle oche, bel saggio edito da Einaudi che quattro anni fa analizzava la sterile identità postfascista e i guai che ne sarebbero derivati) condivide e la spiega così: «Il Movimento sociale era programmato per rispettare una leadership carismatica, magari contendibile ma non contestabile. Fosse Romualdi o Almirante non importava, ci si divideva in correnti, ma davanti a un leader indiscusso».
C’era naturalmente l’istinto di sopravvivenza del branco, dice Giuli. C’era l’arco costituzionale, i fascisti erano i topi di fogna, «e magari nelle sezioni ci si prendeva a cazzotti, ma fuori i comunisti ci davano la caccia. Fuori si rimaneva una falange», dice Giuli. Quando non è più una questione di sopravvivenza, quando arrivano Berlusconi e il potere, «il gruppo dimostra di non avere tenuta. Già nella legislatura 2001-2006, Gianni Alemanno coltivava relazioni col mondo cattolico, Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri erano detti berluscones e restavano con Fini per un rapporto personale alla lunga insufficiente», osserva Giuli.
E Buttafuoco rincara: «Una destra al potere la si penserebbe capace di dare una struttura all’establishment, di avere legami stretti con la scuola, con l’università, con la magistratura, con l’esercito. Non è successo niente di tutto ciò. Pure alla Rai, che è l’industria culturale, ci si è limitati a piazzare qualche parente e qualche famiglio». Buttafuoco aggiunge che non è stata formata una leadership, e in effetti le facce sono le stesse da anni. Insomma, è una destra che non resiste a Berlusconi e alla prova del potere. Ma qui Luciano Lanna (firma del Secolo di Flavia Perina e autore del Fascista libertario , un manifesto culturale del neofuturismo appena uscito con Sperling & Kupfer) devia un poco: «Non credo che nella diaspora attuale c’entri la conquista del potere.
Penso si tratti di una scomposizione e ridefinizione post-ideologica. La Prima Repubblica ha tenuto sulla barricata missina persone profondamente diverse fra di loro, e le ha tenute insieme provocando grossi equivoci. C’erano i nostalgici, c’erano i conservatori, ma c’erano quelli come me che di destra non erano, che leggevano Junger e Pavese, che già allora si sentivano più vicini ai radicali, ai socialisti, al giovane Francesco Rutelli che a Storace». La ratifica è di Buttafuoco: «Soltanto per ignoranza ci si stupisce che alcuni fra i finiani dicano cose di sinistra. Ma le dicevano ai tempi dell’Msi... Quello era un partito all’avanguardia, che si permetteva libertà sconosciute ad An o al Pdl e al Fli. Nel Msi c’era dibattito, spazio per tutte le idee, fermento, persino lacerazione. Questo improvviso e recente incendio, questo prevalere delle tensioni culturali, lo trovo molto interessante».
Lo sarà, soprattutto, se contribuirà a un passo ulteriore. Ne dubita Giuli, che considera quelli come Lanna «la cosa più genuina prodotta da Fli». Ma nel loro portentoso ecumenismo culturale, Giuli vede «una danza infinita sopra l’immaginario, da Evola ai Beatles (cita un capitolo del Fascista libertario , ndr)... un clamoroso complesso di inferiorità». Non sarà da lì, dice Giuli, che uscirà una destra nuova. «Il fallimento attuale è figlio della liquidazione del fascismo senza l’elaborazione del lutto, soltanto perché un giorno Pinuccio Tatarella ci disse di levarci i calzoni neri e di indossare la grisaglia. Non si diventa grandi così.
Forse una destra nuova, interessante, sorgerà soltanto al collasso della Repubblica antifascista», è la conseguenza che trae Giuli. E sul punto non è lontano Lanna: «Io non faccio politica dal 1991. Non ho mai votato An ma voterò Fli. E spero che davvero sia arrivato il momento di buttare a mare destra e sinistra. Mi immagino un’alleanza della politica contro l’antipolitica, e soltanto dopo si riuscirà, spero, a cogliere quella fantastica occasione mancata con la Bicamerale del ‘97, quando ex fascisti ed ex comunisti stavano riscrivendo la Costituzione e cambiando la storia».
Un refolo di ottimismo che a Buttafuoco non muove un capello: «Temo che la destra sia legata inevitabilmente a dei blocchi sociali o delle stagioni, e che non sia capace di radicarsi, come dimostra la lunga stagione berlusconiana durante la quale non si è costruito nulla. Osservo. In particolare non mi piace nessuno. Dedico le mie simpatie a Casa Pound, l’unico luogo dove ancora si fronteggia il pregiudizio».
Mattia Feltri

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