lunedì 7 marzo 2011

Luci e ombre dell'era Obama (di Michele De Feudis)

Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia del 5 marzo 2011
A grandi aspettative spesso corrispondono grandi delusioni. È questo il profilo dell'analisi della politica americana che muove il saggio di Nico Perrone Obama, il peso delle promesse (pp. 153, € 13,00) pubblicato per la Settecolori. Lo storico dell'Università di Bari capovolge il fortunato slogan della campagna elettorale dell'ex senatore dell'Illinois: "Yes, we can't" diventa il filo rosso che sintetizza il raffronto tra la retorica del programma che ha portato il democratico alla Casa Bianca e l'elenco delle mancate realizzazioni.
Obama ha rappresentato un vero elemento di rottura negli schemi della politica nazionale e internazionale degli Usa. L'aver riavvicinato alla politica masse disorientate e non garantite attraverso l'annuncio di riforme nel campo dell'assistenza sanitaria e del welfare è un dato incontrovertibile in un paese dopo la massima carica è stata in passato eletta da meno do un un quarto dell'elettorato attivo. Ma il fenomeno della riscoperta della partecipazione alla vita pubblica, seppure secondo rituali e formule tipiche della tradizione a stelle e strisce, non è bastato a mettere in ombra la mediazione esasperata la quale sembra diventare, secondo lo studioso barese, il vero leit motiv dell'era targata Obama.
Perrone - già autore di saggi come De Gasperi e l'America (Sellerio), John F. Kennedy e Due secoli di capitalismo Usa (Dedalo) - focalizza fin dalle prime pagine l'attenzione sulle conseguenze della ricerca di un dividendo elettorale, da ricercare nei settori economici ostili al cambiamento, come un dato predominante della prima parte del mandato del presidente. «È stato un eccellente stratega della propria campagna elettorale. Ha battuto Hillary Clinton, una professionista della politica. Barack Obama sarà ricordato per avere ridestato la passione politica in America. Ma dopo l'insediamento, egli sembra preoccupato soprattutto della sua rielezione: alla caccia dei voti che gli erano mancati». Il successo ampio nello scontro con McCain è stato di contro segnato anche da aperture al realismo politico in piena dissonanza con la visione di George W. Bush. Illuminante la riflessione sul tema cruciale della democrazia da esportare, argomento di grande attualità in vista della ormai prossima "primavera araba" scaturita dalle rivolte popolari e giovali delle ultime settimane. «Negli ultimi anni, non poche controversie hanno circondato il concetto di democrazia, specie a proposito della guerra in Iraq. In questa sede pertanto vorrei ribadire che nessuna nazione può permettersi di imporre a un'altra un qualsiasi sistema di governo. L'America è pronta ad ascoltare le voci pacifiche che vogliono farsi sentire nel mondo, anche se si trova in disaccordo con esse». Perrone, del resto, è convinto che la linea che governerà un mondo finalmente multipolare è ancora da scrivere: «Il futuro mostrerà se la "legalità" sarà quella delle Nazioni Unite, o quella degli States». Obama ha elaborato nei suoi discorsi posizioni che si prestano senza dubbio a interpretazioni controverse, ma l'aspirazione messianica di imporre il proprio decalogo di valori occidentali sembra un proposito ormai accantonato. Sull'autodeterminazione degli stati il presidente americano è stato chiaro: «Noi accogliamo tutti i governi pacifici ed eletti dal popolo, purché siano rispettosi dei loro cittadini»; ha sottolineato il ruolo della libertà religiosa e sui diritti delle donne ha garantito aperture a sensibilità molto distanti: «Respingo quanto si sostiene talvolta in Occidente, che la donna che decide di coprirsi il capo si consideri in un certo senso inferiore. Sono fermamente convinto, invece, che negare l'istruzione alle donne significhi negare loro il diritto all'uguaglianza». Interessante, alla luce degli ultimi sviluppi geopolitici, appare anche l'approfondimento svolto da Perrone sul discorso pronunciato al Cairo. «Il messaggio di Obama rispetta dunque la tradizione di consegnare a una esternazione del presidente linee fondamentali della politica estera degli Stati Uniti. Obama ha scelto un paese del terzo Mondo, l'Egitto per il suo messaggio. Ma l'Egitto è un paese molto particolare. È forse il più occidentale, ma anche un paese islamico, nel quale l'islamismo convive con significative presenze di religioni occidentali». E la novità sostanziale del nuovo inquilino della Casa Bianca non può non passare inosservata, soprattutto per le conseguenze che potrebbe avere sul piano geopolitico: mette in discussione la libertà, affermando che non deve esistere isolata dall'uguaglianza, significa cominciare a mettere mano a un cardine del sistema americano. «In America - sottolinea Perrone - l'uguaglianza semplicemente non è un valore...».
Il mandato di Obama attraversa una fase problematica, acuita dalla crisi economica persistente sul piano interno e dagli indecifrabili scenari in politica estera. I nodi delle guerre in Iraq e Afghanistan restano insoluti, al pari dell'ancora carente equilibrio nell'affrontare la questione israelo-palestinese. Ma Perrone sembra essere ancora speranzoso sulle possibilità di disegnare un mondo a più voci, nel quale l'immenso territorio americano possa diventare laboratorio di un nuovo corso. «Se il risultato della campagna elettorale di Obama si rivelasse solo quello di avere avvicinato più americani alla politica, già sarebbe notevole. La struttura dell'elettorato è molto complessa. Contiene interessi contrapposti anche nell'ambito dello stesso schieramento politico. Il bisogno attraversa una parte non trascurabile dell'America, e questo può allontanare dal voto. Se Obama fosse capace di portare i grandi problemi Usa a una più larga attenzione, avrebbe già conseguito un successo».
Michele De Feudis

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