martedì 22 marzo 2011

"Eroi e cialtroni: 150 anni di controstoria" (Gabriele Adinolfi recensisce il libro di Augusto Grandi e Teresa Alquati)

Articolo di Gabriele Adinolfi
Da Noreporter del 21 marzo 2011
Ad Augusto Grandi piace accostare gli opposti. Baci e bastonate si chiamava la sua raccolta di raconti militanti sugli anni '70, un libro profondo e delicato, a tratti poetico, che ha la prerogativa rarissima, forse unica, di esprimere esattamente quell'epoca su cui tanti hanno sproloquiato dottamente e invano. Un vero capolavoro pubblicato nel 2007 per l'Angelo Manzoni editore, in vendita a 12 euro e da non perdere in alcun caso.
Eroi e cialtroni si chiama il libro appena uscito per le edizioni Politeia che tratta 150 di controstoria italiana. Una controstoria economica e sociale che pur si legge d'un fiato, malgrado la materia in sé possa presentarsi ostica.
Augusto Grandi, giornalista del Sole 24ore, non è per niente prigioniero di schematismi o tecnicismi ma rende piacevole e scorrevole la lettura del saggio storico che presenta con Teresa Alquati, firma più volte apparsa sul settimanale Linea.
174 pagine per 15 euro. Centosettantaquattro pagine che ripercorrono i fils rouges della storia incompiuta di un Paese che ha sempre esitato a farsi, e soprattutto, a sentirsi, Nazione.
Così si scoprirà che sono centocinquantanni di lotta tra individualismo egoistico e sentimento comune, centocinquantanni di contrasto tra le classi dirigenti inadeguate e cialtrone e l'inventiva di base. Si noterà che in Italia permane lo scontro tra classe e nazione. E che ciò avviene più dall'alto che dal basso, la risposta sociale essendo stata quasi esclusivamente indirizzata a farsi nazionale.
Questo spiega anche l'incredibile feeling che si sviluppò tra padronato e Cgil ed enfatizzerà il ruolo antisociale, antinazionale e oligarchico del sindacato comunista italiano.
Ne emerge altresì la conflittualità continuativa tra Stato e oligarchia industriale e finanziaria, con tutto l'operato antistatale – o di affossamento e sfruttamento statale – da parte delle poche famiglie dominanti. Una fatica improba, vinta, almeno in parte, solo con il dirigismo, l'impegno totalitario e l'esempio.
“Era evidente che Mussolini aveva trasformato l'Italia in una potenza industriale, nonostante le resistenze degli industriali stessi” afferma, giustamente Grandi nell'affrontare la grande rivoluzione socioeconomica e morale del Ventennio.
Ma lo sforzo ventennale è poco rispetto a centotrent'anni d'improvvisazione egoistica, di assenza di programmazione, di rifiuto d'investimenti, di puro e semplice sciacallaggio.
Una piaga, lo sciacallaggio, che viene da lontano, che è pre-unitaria e che continua a fare dell'Italia un Paese con la mentalità e le strutture del Terzo Mondo. Solo che un secolo e mezzo fa si trattava di un Paese che doveva crescere, oggi invece è un Paese in competizione perdente con tante e tante economie emregenti ed ha, quindi, avanti a sé prospettive molto buie.
Così assume una luce più precisa e rigorosa anche la questione del Mezzogiorno che non si può esaurire con le pur opposte affermazioni sloganistiche e pretestuose dei padani e dei meridionalisti.
La politica di rapina post-unitaria da parte piemontese giocò un ruolo importante nell'acuire il distacco tra nord e sud ma ci furono anche altre ragioni. Come per esempio l'impossibilità del Meridione di creare sistemi a rete visto che aveva due grandi città, Napoli e Palermo ma, per il resto non vi erano lo sviluppo territoriale e la possibilità sinergica già riscontrate in Piemonte e Lombardia.
L'Italia unita peraltro era povera; in tre decenni emigrò il quaranta per cento della sua popolazione, i due terzi dei migranti partirono dal nord e il terzo restante fu meridionale. Il vero gap, a favore del settentrione, si verificò però non tanto con l'azione da predoni dei Savoia nel sud, quanto a partire dell'elettrificazione e della costituzione del polo industriale nel nord-ovest.
Il fascismo mise tutto in piedi per attenuare le differenze ma incontrò resistenze soprattutto a sud dove assistenzialismo e rifiuto d'investimento rappresentarono i maggiori contrappesi all'unica politica meridionale efficace.
Nel dopoguerra, insieme alla subordinazione dello Stato a poche famiglie e allo sfruttamento delle risporse pubbliche, insieme alla privatizzazione di guadagni e alla socializzazione delle perdite, insieme alla metastasi dello stato sociale trasformato in assistenzialismo paralizzante e in burocraticismo clientelare e inefficiente, si acuì ulteriormente il disavanzo nord-sud per colpa degli egoismi, e delle culture egoistiche, di ambo le parti.
Eroi e cialtroni ripercorre a volo d'uccello tutte le fasi della nostra storia socioeconomica e mette dovutamente in luce come il tentativo di Enrico Mattei di dare un seguito alla politica economica del Ventennio, pur sostenuto da Fanfani, restò pressoché isolato.
A salvare il salvabile, ma in un insieme di chiaroscuri, l'avvento del piccolo. Il sistema Pmi (piccole e medie imprese) ha concesso un sussulto all'Italia dopo i disastri degli anni Settanta ed ancor oggi fornisce qualche appiglio per il futuro. Ma, come segnala Grandi, senza strutture e ossatura davanti alle sfide della globalizzazione, non sarà possibile far nulla senza un intervento politico e programmatico di ampio raggio che, sulla base della nostra tradizione storica e dei dati attuali, appare piuttosto improbabile.
Come sviluppare questo intervento politico e programmatico non viene assolutamente nascosto da Grandi e Alquati; non si tratta di gente abituata a criticare e a non mettersi in gioco di persona.
Un libro prezioso, istruttivo e imprendibile. Senza uguali nel settore.
Gabriele Adinolfi

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